IL NUOVO MONDO AMBIGUO
Destra, sinistra, progressisti, conservatori Le categorie tradizionali vengono logorate: difficile decifrarle
Mondo nuovo, parole vecchie. Nel terzo decennio del XXI secolo sia la politica che certi commentatori continuano a usare parole e, con esse, interpretazioni della realtà, che poco hanno a che fare con il presente. È vero che, a beneficio del grande pubblico, la politica debba sempre semplificare gli eventi correnti. Ma nel mondo complicato di oggi l’ambiguità è in aumento e bisogna tenerne conto. L’ambiguità di eventi e situazioni poteva essere ignorata nel mondo più semplice del XX secolo, ai tempi della Guerra fredda: bianco e nero, o di qua o di là, eccetera. Oggi non è possibile. Prendiamo il caso della Siria. È stato spazzato via un regime sanguinario? Certo. È stata una sconfitta per i suoi sponsor Russia e Iran? Vero. Dopo di che si entra in una terra incognita. La Siria, se non si disintegrerà come è accaduto alla Libia, diventerà uno Stato-cliente della Turchia, il vero vincitore. Non c’è solo il fatto che i liberatori della Siria vengono dal jihadismo (il che non tranquillizza nessuno). C’è anche che la Turchia di Erdogan gioca da tempo su tutti i tavoli possibili: membro della Nato, interlocutore di Putin, sostenitore di Hamas e di altri estremisti islamici in Medio Oriente e altrove. I suoi interessi non coincidono con quelli europei. Alleanze fluide, amici infidi, nemici che, a volte, prendono il posto di altri nemici: è il nuovo mondo. Niente che l’europa non abbia già conosciuto nei secoli passati.
Solo che allora non c’erano democrazie né pubblici a cui si dovesse spiegare alcunché. Ora ci sono ma si fa fatica a trovare formule semplici per raccontare un mondo così complicato e ambiguo. L’ambiguità logora anche le categorie tradizionali con cui gli europei interpretano la politica, in età moderna: destra, sinistra, progressisti, conservatori, eccetera. Si consideri il caso delle elezioni presidenziali americane. Perché in Europa molti di coloro che erano consapevoli della posta in gioco tifavano per Kamala Harris anche se, a casa loro, non avrebbero mai votato per una candidata simile? Non perché Trump fosse il candidato «di destra». No, tifavano Harris, pur non apprezzandola, perché Trump è uno che si considera leader dell’america, non dell’occidente. Uno per il quale la categoria «Occidente» non significa nulla. E che pertanto può imprimere una accelerazione al declino (iniziato da tempo) dell’ordine internazionale creato dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale. Con un danno per l’europa. Dal punto di vista europeo, ricorrere alle categorie abituali («destra» e «sinistra»), era ed è una insensatezza.
A scanso di equivoci, non si sta sostenendo che destra e sinistra abbiano perso utilità in ogni circostanza. No, continuano a orientare molti elettori, generano immagini semplificate/banalizzate utili come indicazioni di massima, offrono una bussola, ancorché imprecisa, di grossolana fattura, ai tanti che si interessano di politica solo al momento del voto (se votano). Il problema sorge quando l’uso di quei termini impedisce di vedere le nuove divisioni che attraversano il mondo.
A cominciare da una frattura, già in atto da tempo, e che potrebbe acquistare un valore decisivo, generando nuovi riallineamenti politici, in un prossimo futuro. Mi riferisco alla divisione fra coloro che, sia in Europa che negli Stati Uniti, difendono la società occidentale, i suoi principii, le sue libertà, e coloro (sono ormai tantissimi) che la irridono, la disprezzano, le sono ostili. E che operano in obiettiva alleanza con le potenze, dalla Cina alla Russia all’iran, che considerano il mondo occidentale il nemico da battere. La bella intervista di Stefano Montefiori a Michel Houellebecq (Corriere, 11 dicembre) sulla volontà di suicidio dell’occidente ha raccolto l’ultima in ordine di tempo di tante grida di allarme lanciate da autorevoli osservatori. Essi puntano il dito sull’odio di sé che componenti rilevanti della comunità occidentale manifestano e che esercita una forte attrazione su porzioni significative del mondo giovanile.
Questa divisione o frattura non coincide con la tradizionale divisione destra/ sinistra, la taglia trasversalmente. Tanto nel campo detto «di sinistra» quanto nel campo detto «di destra» si trovano esponenti di entrambi i fronti (pro e anti-occidentali). La politica tende a rimuovere il problema. Si capisce il perché. Consideriamo il caso dell’italia: prendere atto di questa divisione avrebbe effetti disfunzionali per le coalizioni che si fronteggiano. La loro stabilità può esserci solo se i leader glissano, minimizzano, poiché è una divisione che attraversa le rispettive coalizioni.
Perché la contrapposizione fra pro e anti-occidentali è destinata a diventare sempre più importante, in Europa soprattutto? Per due ragioni. In primo luogo, perché questa è una fase di oggettiva debolezza delle democrazie occidentali. Ogni segno di debolezza aumenta la baldanza e l’aggressività dei nemici delle democrazie, esterni e interni. La seconda ragione è che l’aspra competizione internazionale fra le varie potenze è destinata a durare. Da qui la ricerca di differenti referenti esterni da parte delle varie fazioni fra loro in lotta entro le democrazie europee.
Che questi processi taglino trasversalmente gli schieramenti politici ancorati alla divisione destra-sinistra è ben esemplificato da quanto accade in Francia: qui una maggioranza di parlamentari che va dai socialisti alla destra moderata si colloca dentro il campo occidentale. Mentre l’estrema sinistra e l’estrema destra (con i loro referenti internazionali) vi si oppongono. È da vedere se, nel caso francese, la maggioranza «occidentalista» saprà compattarsi, superando la barriera fra destra e sinistra, o se non sarà in grado di farlo.
Non sembra che nel mondo nuovo siano state ancora inventate le parole per descriverlo ai pubblici delle democrazie.
Articolo di Angelo Panebianco, Corriere della Sera