SULLA NOBILE ARTE DELLA SPREZZATURA, CIOÈ VIVERE CON DISTACCO, CON IMPERTURBABILE SERENITÀ. OGGI, PIUTTOSTO, È IL REGNO DELL’ARROGANZA, LA PREVALENZA DEL CRETINO
È un’arte oggi in larga parte dimenticata, in Italia, da quella stessa gente che l’ha creata portandola ai suoi più alti vertici, la “Sprezzatura”.
Termine desueto e antico, ma nobile, che si potrebbe riassumere per le menti meno aduse alla speculazione intellettiva, come “quella capacità di rendere semplici le cose più difficili”. In breve essa sarebbe l’esatto contrario della burocrazia e delle rivoltelle cerebrali dei vari “UCAS” nostrani, acrostico che cela semplicemente quegli Uffici Complicazioni Affari Semplici che dilagano appunto, in ogni settore del nostro Bel Paese.
Il termine “Sprezzatura” nasce del primo Cinquecento, indicando una condotta individuale di assoluto autocontrollo, come ne parla Baldassar Castiglione nel suo Il Cortigiano: «Trovo una regula universalissima, la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane che si facciano o dicano più che alcun altra: e cioè fuggir quanto più si po, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte e dimostri ciò, che si fa e dice, venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi… Da questo credo io che derivi assai la grazia: perché delle cose rare e ben fatte ognun sa la difficultà, onde in esse la facilità genera grandissima maraviglia; e per lo contrario il sforzare e, come si dice, tirar per i capegli dà somma disgrazia e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch’ella si sia. Però si po dire quella essere vera arte, che non pare essere arte; né più in altro si ha da poner studio che nella nasconderla: perché, se è scoperta, leva in tutto il credito e fa l’omo poco estimato».
Quindi appare evidente come la Sprezzatura altro non sia se non quella disinvoltura con la quale l’uomo nobile affronta le difficoltà della vita che gli astri pongono sul suo cammino. Equilibrio nelle passioni e nelle virtù, perfetto controllo di sé stessi e al contempo un aristocratico distacco, fanno sì che l’uomo che li pratica aderisca pienamente all’arte sublime della Sprezzatura. Inoltre il termine del Castiglione, ha indubbiamente un certo non trascurabile legame con l’essere e con il mostrarsi sprezzante, con la voluta, studiata noncuranza di colui che ben conosce sé stesso, i propri limiti ma anche le proprie capacità.
È il disprezzo per le cose volgari, non per i più deboli né per gli umili, ma per tutto ciò che non persegue né Bellezza né Armonia e dunque è alieno alla Conoscenza.
L’assenza di questo atteggiamento, sostituito dalla protervia, dall’arroganza, dalla presunzione da parte di coloro che non sanno fare ma fanno, non sanno dire ma dicono, è uno dei peggiori mali del nostro tempo. È ciò che ha portato a dominare, pressoché ovunque, quella “superbia dell’umile” della quale scrive Seneca, trasmutatasi nei nostri giorni nella mediocrazia e quindi nel predominio del mediocre, nella “prevalenza del cretino” insomma. Sprezzatura non è saccenza, ma consapevolezza di essere differenti, del fatto che non esiste alcuna uguaglianza tra gli uomini e che ognuno dovrebbe assumere il proprio ruolo naturale nella vita se si vuole mantenere intatto l’Ordine cosmico. Platone aveva già detto tutto secoli addietro.
Chi avesse cognizione delle discipline orientali, del Bushido e dunque dello Zen, troverebbe di certo particolari consonanze tra la Sprezzatura rinascimentale e i coevi distacco e imperturbabilità del Samurai nel mondo del Giappone feudale. Fare sì che se nulla si possa sul destino, nulla il destino possa su di noi, avrebbe detto Julius Evola altrove. Sprezzatura anche questa, indubbiamente.
L’arte di vivere questa vita in maniera sprezzante, indifferente, di farne un continuo balocco che, qualsiasi cosa succeda, come nella lunga poesia di Rudyard Kipling Se, nulla ci turbi e si affronti ogni evento del Fato con la medesima eleganza: «Se riesci a mantenere la calma quando tutti su di te / la stanno perdendo».
La sprezzatura non si cura quindi delle apparenze, ma sfrutta i difetti di colui che la possiede trasformandoli in pregi, unendo alchemicamente funzionalità e bellezza.
Essa è l’opposto dell’atteggiamento del parvenu, del villano rifatto, che crede di poter sopperire con l’arroganza e con la maleducazione all’autorevolezza che non possiede. Ecco dunque qual è la volgarità del nostro tempo, l’assenza di vera nobiltà del cuore e dello spirito. Assistiamo ovunque a gente che grida, urla, strepita sbavando e livorosa insulta con rabbia bestiale, incapace di assumere un atteggiamento di decoro e d’indifferente disprezzo ai mali di questo mondo.
L’arte, qualsiasi forma d’arte, riesce tanto meglio quanto meno si vede la fatica che l’ha creata. Perfettamente dissimulata da una forma di disinvoltura che la fa apparire semplice, sebbene mai facile. La Sprezzatura è dunque un paradosso, e come ogni ossimoro contiene in sé il germe d’una verità d’ordine superiore.
Esempi illustri di Sprezzatura sono Leonardo da Vinci, Benvenuto Cellini e Raffaello Sanzio, così come agli antipodi di essa si pongono il tormento e l’estasi di un Michelangelo Buonarroti o anche, qualche tempo più tardi, un Michelangelo Merisi da Caravaggio. Padrone di quest’arte sarà certo Wolfgang Amadeus Mozart, irridente e irriverente bambino prodigio che trova il gioco in ogni cosa e la compie con facilità, così come lo saranno un Lord George Gordon Byron e dopo di lui Charles Baudelaire e Oscar Wilde.
A quel punto, forse, la nobile e raffinata arte della Sprezzatura si trasformerà in dandysmo, adattandosi a tempi meno civilizzati pur di conservare intatta la sua carica eversiva contro un mondo volgare e pervertito, ignaro di cosa siano la Bellezza, l’Amore e l’Arte… il mondo che abbiamo a noi intorno, opaco, senza più passioni né eroi.
Articolo di Dalmazio Frau per il sito www.pangea.new
*In copertina: Albrecht Dürer, “Ritratto di Oswolt Krel”, 1499