A bbasta….Contro la rottamazione- Questa storia della rottamazione è un imbroglio- Oggi per vendere le auto ti allettano con la super rottamazione, ma per le persone come la mettiamo nella post-modernità 2.0.? Cosi la pensa Geppetto.
Se la rottamazione diventa un’idea dominante e una prassi generalizzata siamo rovinati. In Italia ha furoreggiato in campo politico ed è stata alla base del successo di Matteo Renzi. E non poteva che essere così. La politica non è mai stata così in basso, i politici mai così sputtanati, i partiti, o quello che ne resta, mai così liquidi. La porta del Palazzo d’Inverno era mezzo sfondata, è stato sufficiente scuotere i battenti che le ante si sono sbriciolate. Le teste sono saltate come coriandoli a carnevale, da destra a sinistra, in alto e in basso. E dove non è arrivata la ramazza rottamatrice c’ha messo del suo la magistratura, sempre più occhiuta e insofferente, tanto da rievocare “mani pulite”.
La politica è stata sempre sangue e merda, ora si è aggiunta un po’ di ruggine, e non mi sembra ci si debba scandalizzare, anzi dobbiamo essere grati a chi ha usato quest’arma semantica impropria per fare un po’ di largo, purché si sappia che chiodo scaccia chiodo, ma sempre di chiodo si tratta. Insomma, non illudiamoci che cambi la politica. I primi due anni del governo Renzi non mi pare abbiano chiuso col passato, com’era nella pr(e)omesse.
Non di ruggine però si tratta, quando parliamo di persone, ma di qualità. I criteri di selezione della classe politica sono tanti. Ne pongo uno discriminante: credo che bisognerebbe mettere in Costituzione quanto diceva Platone: la politica la possono fare solo coloro che hanno più di 50 anni, perché si suppone abbiano acquisito una certa saggezza, siano più disinteressati per sé e ricchi di maggiore esperienza. Mentre scrivo mi viene alla mente un’immagine e un nome, forse ispirato da un articolo appena pubblicato sul sito: Marco Pannella, chi più di lui! Non ve lo vedete arringare nell’agorà o al senato romano per ubriacarli di suadenti parole?
Domandiamoci dunque: se parliamo delle persone, della vita di noi comuni mortali, possiamo affidare tutto ai compleanni? Talenti, abilità, esperienza, saggezza appunto, possono avere una data di scadenza, come una mozzarella? Magari una persona a 30 anni non è più utile nemmeno a se stessa, figuriamoci agli altri. Ma vogliamo considerarla un’eccezione ( di cui avere cura, intendiamoci), ma non la regola! Allora perché tenere in piedi leggi che stabiliscono, anzi impongono, che raggiunti ics anni il primario che tante vite a salvate non può più entrare un camera operatoria, o il cattedratico in aula per continuare a insegnare, o l’infermiere, o l’impiegato, o il meccanico, o il commerciante ……….?. Perché tale sciupio, tanta dissipazione di competenze e abilità? Rottamiamo un usato sicuro anziché valorizzarlo, come sarebbe interesse di tutti.
E, per cortesia, non mettiamo i vecchi contro i giovani, che è un’operazione odiosa e stupida. E’ un po’ come mettere insieme pere con mele. Poi, il permanere di più al lavoro non nasce dal capriccio di Elsa Fornero, ma dalle aspettative di vita. Critiche tanto più inspiegabili in un paese com’è il nostro dove si fanno pochi figli e la popolazione invecchia. Chi è nato all’inizio del secolo potrà campare fino a 100 anni, e andare in pensione a 70 anni non gli sembrerà, allora, una bestemmia. Specie se potrà deciderlo lui e non perché impostogli, a prescindere della sue reali necessità e condizioni, come succede adesso. Anziani e giovani vanno affiancati nel mondo del lavoro, dove non è come in politica, non c’è nulla da rottamare. E in ogni caso non è rottamando che si creano posti di lavoro, ma con l’innovazione di processo e di prodotto, gli investimenti e la formazione del capitale umano. Ecco perché io mi immagino (credo con realismo) il luogo di lavoro come un’agorà dove anziani lavoratori e giovani si possano incontrare, l‘inesperienza imparare dall’esperienza, l’impeto trovare misura, la forza accompagnare la perizia, i talenti sappiano riconoscersi. Sarà tutta la società a fare un salto in avanti e a vivere più armoniosa.
Si impone, insomma, un cambio drastico delle regole del nostro sistema di welfare, che sono antiquate, quelle sì andrebbero rottamate. Fino a quando non ripenseremo mister Beveridge non ne usciremo, e ogni paio d’anni saremmo alle prese con quella tela di Penelope che in Italia sono le pensioni. Iniziò Dini nel 1995, poi tocco a Treu, Maroni, Sacconi, per finire alla Elsa piagnens.
L’attuale presidente dell’Inps Boeri si cincischia col problema da quando è stato messo lì. Sta spedendo 2,8 milioni di buste arancioni agli italiani. Sono quelli con meno di 5 anni di iscrizione. Così potranno sapere quanto sarà la loro pensione fra 30/40 anni. Boeri parla di operazione trasparenza, a me pare una propalazione indebita di dati allarmanti la cui certezza è equivalente alla lettura della linee di una mano o al responso dei fondi di caffè. Chissà quanto costerà all’Inps spedire tutte ‘ste buste.
Ma per venire a cose serie, ecco cosa, a mio avviso, si potrebbe fare e non si fa. Mi rendo conto che l’argomento per alcuni si fa ostico e non ho la pretesa di dare una ricetta perfetta, ma ci provo.
-Dividere previdenza da assistenza. Almeno sapremo quanto va alle pensioni e quanto a sostenere il reddito dei soggetti più bisognosi. Questa sì sarebbe trasparenza! E’ chiedere troppo che l’assistenza sia a carico della fiscalità generale e non pesare sulla mia pensione, visto che oltre ai contributi pago anche le tasse? Usino quelle per l’assistenza.
-Fissare un limite (minimale e massimale) di versamenti in modo che ognuno si progetti la sua pensione. Questo vorrà dire che le pensioni si personalizzano dipendendo dal numero di contributi e dal loro ammontare. Il minimale, sulla base del quale calcolare pro rata i contributi, è vincolante in modo da evitare che qualcuno faccia la cicala e poi…. si affidi alla carità pubblica. Nel caso in cui il minimale non fosse raggiunto per qualsivoglia ragione (malattia, disoccupazione, inabilità permanente, ecc.) l’Inps liquida a domanda in capitale quanto versato. Se il cittadino venisse così a trovarsi in stato di indigenza passa, se ne ha diritto, in carico all’assistenza pubblica (reddito di cittadinanza e simili). Viene abolita la pensione sociale a carico Inps.
-Fissare il tetto minimo di contributi base uguali per tutti per maturare il trattamento di pensione ordinaria, che è la minima per garantire condizioni dignitose. Raggiunto tale tetto lasciare al cittadino la facoltà di permanere al lavoro o ritirarsi. Ogni anno in più di lavoro, aumenta la pensione fino ad un massimale prestabilito di trattamento. Potrà essere consentita l’adesione al fondo pensione integrativa di cui appresso in qualsiasi momento si sia raggiunto il tetto minimo di contributi.
-Oltre tale massimale si passa in regime di contributi facoltativi, che vengono conteggiati in un fondo speciale gestito a capitalizzazione e con criteri privatistici di valorizzazione (la famosa pensione integrativa). In questo caso i trattamenti saranno due: quello ordinario a ripartizione e quello integrativo a capitalizzazione. Non esiste più la distinzione fra pensione di anzianità e di vecchiaia. Non ci saranno più pensioni da fame né d’oro, nel senso che ognuno avrà secondo quanto versato. Il criterio solidaristico sarebbe salvaguardato, grazie al coesistere dei due criteri, quello a ripartizione e quello a capitalizzazione.
-Riformare le regole del lavoro permettendo forme di flessibilità, part-time, a progetto, telelavoro o analoghe (con relativa decurtazione dello stipendio) in modo che il lavoratore anziano, su base volontaristica e in accordo con datore di lavoro, possa uscire gradualmente dal lavoro e il giovane inserirsi, eventualmente con salario iniziale più basso, agendo su un mix di salario/contributi/agevolazioni fiscali. Ciò implica l’estensione dell’abolizione dell’art. 18 dello Statuto del lavoratori anche a tutto il pubblico impiego.
Ma concludo uscendo dal tecnico e per ricordare un grande vecchio, Norberto Bobbio, il quale nello scritto De senectute, riflettendo sul rapido mutamento dei costumi e sui progressi della tecnologia, conclude che la vecchiaia è un’età espropriata da tutto, a cominciare dal futuro. Ma è vero progresso quello che butta a mare tutto solo sulla base di un dato anagrafico? Rottamare? No, grazie, se vuole dire emarginazione della memoria e delle storie esemplari dalla società.