Aldo, l’adorabile Aldo

25 Apr 2015 | 0 commenti

Lo scrittore Aldo Busi

Lo scrittore Aldo Busi

                                 

 Quando viene ad accoglierti alla porta di casa, per farti attraversare il salotto onusto di quadri e puntare la cucina al fine di allestire un caffè, indossa un maglione a toppe colorate. Al collo una sciarpa. Non sta tanto bene. Lo stress del nuovo libro – «L’ho riscritto 23 volte, ma sempre meglio de El especialista de Barcelona.

Quello l’ho riscritto 64 volte, e quando scrivo non dormo, procedo onomatopea per onomatopea, cesello son che non mi suona, io le cose le devo sentire musicalmente» – ha un po’ lasciato il segno.

Però basta un attimo perché, partendo da Vacche amiche (un’autobiografia non autorizzata) pubblicato da Marsilio (pagg. 178, euro 15), la sua vocazione a raccontare prenda il sopravvento. Del resto, la trama autobiografica, un flusso di coscienza con al centro tre donne e un viaggio-sogno verso una «montagna incantata», si presta.

Vacche amiche, ma che titolo è?

«Beh… È un po’ “Va’ che amiche…”, un po’ “hai delle amiche vacche” con connotazione oscena ma neanche poi tanto. E poi ci sono delle mucche vere, quelle che immagina il protagonista. Sono tutte lì in calore in mezzo alle montagne innevate di Davos».

C’è un Busi essere umano, un Busi scrittore e un Busi protagonista dei suoi romanzi. Dialogano?

«È un rapporto polifonico. Il movente del libro in fondo era proprio andare contro il Busi scrittore. Per scrivere in italiano io ho rovinato la mia vita. Avevo altre possibilità, potevo andarmene all’estero, parlo inglese, francese, spagnolo, tedesco. Nel libro c’è molto dell’astio che provo nei miei stessi confronti. Lo scrittore ha costretto l’uomo a stare qui per dare una letteratura da scrittore alla lingua italiana che ne aveva solo una di abati, ma l’uomo non voleva. Questo Paese mi ha costretto a una vita in deficit di piacere, di sesso, di amore… Io non sono per la gelatina in tutto e pappa e ciccia, sono per le regole, per me molto meglio la Germania».

Ma è romanzo o autobiografia?

«Romanzo. Il romanzo è dato dalla scrittura, nel romanzo è il linguaggio che predomina. Ogni parola è tornita. E anche i periodi. Ora un sacco di gente scrive come se avesse il singhiozzo. Io ho potuto frequentare la scuola solo sino alle medie e alle scuole medie nessuno ci diceva che devi per forza comporre frasi brevi. Imparate un po’ la sintassi, i pronomi relativi, l’interpunzione… E certa poesia? Io come vedo le parole: mare, vento, capelli, percorso, abbandono, lacrime, occhi, carezza… Come le vedo sento voglia di sangue!».

Lei scrive da quando era alle medie?

«Ho scritto da sempre, avrei scritto anche senza pubblicare. Io non faccio libri di genere, di cassetta. Anche se potrei benissimo. Ma mi vergognerei di firmare un certo tipo di bestseller».

Il libro di genere non la tenta?

«Io non scrivo su commissione, non perché me la tiro ma perché non mi viene, a volte se ho la cosa giusta ai giornali la regalo… Anche perché gli articoli non potrebbero pagarmeli delle cifre ragionevoli. E non parliamo della televisione, non ne voglio più fare. Al massimo faccio una cosa per il libro, per promuoverlo, più per l’editore che per me. Ma non mi faccio buttare in un talk show dove magari mi becco due querele da due delinquenti donne o da una troia di regime uomo».

Però di tv ne ha fatta tanta…

“Tanta no. Se ne è parlato tanto. Se si mette assieme tutta la mia presenza in onda non si arriva a 18 ore. È che sono state 18 ore pregnanti!».

Ma la tv era promozione, divertimento o cosa?

«Era una cosa che pensavo in funzione di se stessa. Io sono andato all’Isola per dire quello che ho detto. Che l’omofobia è una forma di omosessualità repressa. Punto e basta. Che Berlusconi non aveva abbassato le tasse e che il segretario del Pd era inesistente».

Era anche ben pagato però…

«Un sacco di soldi nominali. Ma tra Enpals, le tasse e il resto… E ho rischiato la vita almeno due volte. A partire dal tuffo con l’elicottero. Però per me vale più quello, che un premio Nobel. Sono fierissimo di averlo fatto. Anche se non ho un bel ricordo perché sull’Isola non c’erano persone interessanti. Io però potevo dire tutto. Non sono venuto via per le zanzare, le sigarette o la fame. Non sopportavo più gli umani. E poi c’erano un machete e delle persone schizzate, sono cose che andrebbero tenute separate…».

E degli editori cosa pensa?

«Gli editori sono troppo impuri. Non ascoltano, non sono capaci di procurarsi un occhio terzo rispetto ai loro gusti. Dovrebbero essere capaci di pubblicare anche il libro di un nemico, un libro che non condividono ma scritto bene. Non succede più. Sono ammanicati, sono lì con le loro sagre del libro. Tanto i libri non li compra più nessuno. Lei le ha viste le Feltrinelli RED? Ma come esce da lì uno scrittore? Devono sopravvivere, lo capisco, ma non le chiamino più librerie. Le chiamino le “Fantasmelli” non Feltrinelli. E poi le case editrici: non c’è più nessuno che risponda nelle redazioni, tutte mezze smantellate, solo la centralinista che osa dirti “Ma non si preoccupi”…».

Mancando i soldi…

«Hanno detto che sono fuori dal coro perché non sono contrario alla fusione Mondadori-Rcs Libri. Ma è ovvio che tra chi investe in libri e chi disinveste in libri io preferisca chi ci investe. In questo caso perciò preferisco la Mondadori con cui io non ho più alcun rapporto. Sono scappato anni fa con El especialista de Barcelona, non ho interessi personali in ballo. Chi se ne frega del monopolio di una perdita progressiva!».

Se le dico «Strega»?

«Di questo non voglio dire niente. Non si può sprecare il tempo di Busi a parlare di questo… lo scriva: “Non si può sprecare il tempo di Busi a parlare di questo”. Basta banalità, come quando mi intervistano e scrivono scrittore omosessuale. Io sono uno scrittore, saranno loro gay-qualcosa. Detto da uno per cui gli omosessuali sono il sale della terra. A patto però che non figlino. Almeno così freniamo il boom demografico. Se no diventano dei banali etero mancati. L’utero in affitto mi fa orrore ma forse ancor più quello in dono… anche ieri, obtorto collo, ho avuto la conferma che è una favola, ma qui mi taccio».

La polemica su Dolce&Gabbana?

«Hanno scritto che li ho difesi, addirittura che la penserei come loro, loro chi? Io ho detto che l’utero in affitto mi fa orrore. Alimenta lo sfruttamento delle donne. E un figlio non è un diritto. Ma non si possono definire “artificiali” i figli di qualcun altro, è un’ignominia di rara insensibilità etica. I bambini una volta al mondo sono bambini sacri e necessari, Pertengono all’umano anche se li avesse portati la cicogna».

Nel suo romanzo c’è anche malinconia, spazio alla vecchiaia.

«Io ho 67 anni e sono più grato a chi mi ha respinto che a chi mi ha preso. E poi sa a me interessava scrivere, vivere l’ho lasciato agli altri, ai giornalisti… Io la vita l’ho messa nei libri. Anche in questo. Ora sono vecchio, mi disferei di tutto, anche in questa casa – indica mobili e quadri – non c’è niente che mi rappresenti.  Certo sono contento di non morire in miseria e, comunque, sono pronto a ogni istante, mi sembra di aver vissuto 670 anni e di essere ancora qui a braccio teso a farmi cavare sangue dalle rape. La vecchiaia ti consente di riflettere. La vanità se ne è andata. Vede io sono anche ingrassato, imbruttito. Ma l’ho molto voluto, il mio modello è Marlon Brando da vecchio. La mia è una bruttezza orgogliosa e sublime. Resto pur sempre civettuolo e adorabile, non trova?».

Tratto da Matteo Sacchi Il Giornale 23 marzo 2015

 

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