MOLTO PRIMA DELLA BALLATA DEL MARE SALATO DI UGO PRATT, MOLTO PRIMA DELLE STORIE UNDERGROUND DI ROBERT CRUMB, MOLTO PRIMA DI ANDREA PAZIENZA. IN UN ARTICOLO DI FRANCESCO BOILLE LE ORIGINI DEL ROMANZO A FUMETTI GIAPPONESE. OPERE REALIZZATE DA PERSONE CHE CERCAVANO, ATTRAVERSO LA POESIA, DI USCIRE DALLA POVERTA’ MATERIALE E ESISTENZIALE.
di Francesco Boille, esperto di cinema e fumetti. Rivista Internazionale 20.7.2016
E se fossero stati i giapponesi a inventare il romanzo a fumetti intimista e autobiografico? Già alla fine degli anni cinquanta, ben prima delle graphic novel – definizione lanciata dallo statunitense Will Eisner nel 1978 – trovava la sua concettualizzazione e la sua affermazione pratica il geki-ga (storie drammatiche) in contrapposizione al man-ga (storie d’intrattenimento). Ora una collana della Coconino Press-Fandango, che si chiama appunto Gekiga, intende portare in Italia questo genere con sistematicità. Storie poetiche e innovative, profonde e umane, forti nella rappresentazione della società. Soprattutto, storie raccontate da angolazioni inedite che possono arrivare a tutti.
Con i titoli notevolissimi editi dalle edizioni 001 (ma con il logo di Hikari) e gran parte della bibliografia di Shigeru Mizuki pubblicata in Italia da Rizzoli Lizard (Mizuki fu membro della società antropologica giapponese e un autore ultra-pacifista che rilesse con poesia e profondità tradizioni e archetipi giapponesi) ora il lettore italiano può finalmente inoltrarsi nella foresta del fumetto giapponese più adulto.
Se il romanzo a fumetti già esisteva in occidente e spesso con alcune caratteristiche tipiche della graphic novel – basti pensare a un’opera dal carattere molto intimista celato dietro all’avventura come Una ballata del mare salato di Hugo Pratt, o i racconti dal sapore autobiografico di Robert Crumb, figura simbolo dell’underground statunitense, o più tardi di Andrea Pazienza – questa cominciò a imporsi in occidente alla fine degli anni settanta per esplodere in seguito, tra gli anni novanta e duemila. Ma in Giappone tutto arrivò molto prima. Iniziatore, e in qualche modo alfiere, ne fu un autore storicamente ormai fondamentale da poco scomparso, Yoshihiro Tatsumi (1935-2015), la cui voluminosa ma molto bella autobiografia Una vita tra i margini è stata pubblicata in Italia da Bao publishing.
Capire Yoshiro Tatsumi è necessario per capire l’intero gekiga: fumetti realizzati da persone che cercavano di tirarsi fuori dalla povertà e dalla depressione esistenziale creando opere poetiche e introspettive che stimolassero una riflessione, una consapevolezza nel lettore, ma sempre con una certa delicata modestia. Opere come quelle di Tadao Tsuge, autore settantenne di cui Coconino Press presenta lo straordinario La mia vita in barca. Concepito tra il 1996 e il 2000 per la rivista Tsuritsuri, è forse il nostro preferito dei due titoli inaugurali della collana.
Malgrado le perplessità della famiglia, Tsuge compra una barca e la rimette a posto con quattro soldi per passarci tre giorni al mese e cercare di uscire dall’alienazione e trovare la forza e l’ispirazione di finire il suo romanzo a fumetti. L’autore farà incontri incredibili, altri alienati come lui oppure altri esseri umani che rifuggono il mondo dell’ovvietà, della mercificazione, un mondo che sta andando verso il proprio suicidio. Tsuge li presenta come incontri incredibili, a tratti onirici, quasi paranormali, aggiungendo al tutto il sapore della meraviglia, dell’incanto. Un po’ tutti i personaggi sembrano irreali e ci si chiede se siano esistiti veramente. Siamo in un luogo indefinibile: lungo un fiume che sembra una palude, un acquitrino in lunghezza circondato da erba alta e qualche piccola collina.
Si parla tanto di viaggio in barca, ma alla fine è un’illusione, in realtà si rimane quasi immobili. Allegoria della vita vera dove ci si agita tanto, forse insensatamente, perché un solo luogo è certo: la morte. Qui, però, la morte ha il sapore del sogno, anche dolce. Vita e morte sembrano un unico lungo fluire sospeso nel tempo, come quando dormiamo lungo la riva di un fiume, su una spiaggia. O su una barca. Mai angosciante, spesso capace di suscitare una sottile inquietudine, affabulatore, Tsuge è bravissimo nel disegno minimale, grazie al quale suggerisce le azioni, le espressioni dei personaggi o i paesaggi grazie a un pennino di grande delicatezza, espressione di una cultura antica.
Deve tutto a suo fratello Yoshiharu, maestro celebrato del manga che fu iniziatore con Tatsumi del gekiga: il fratello infatti è un raffinato virtuoso, al massimo livello, del minimalismo e della sottrazione grafica, che si è espressa in capolavori come l’introspettivo Munō no hito (L’uomo senza talento). A lui la rivista di fumetto d’avanguardia Garo (nata nel 1964) dedicò un numero speciale già nel giugno del 1968. La mia vita in barca è un viaggio d’iniziazione verso il movimento, non della vita fisica, ma della vita interiore nell’apparenza di un viaggio immobile. Un viaggio zen.
Le opere dei fratelli Tsuge sono espressione di sofferenza, di povertà e depressione, espressione di una giovinezza e anche in parte di una vita adulta disturbata che ricorda quella di certi scrittori (anche se con il genio, per riprendere una formula trita, ma senza la sregolatezza). Fumetti per gente povera disegnati da poveri che in parte si finanziavano mediante i cosiddetti tankobon, cioè prodotti pensati per le librerie a prestito che in un’epoca caratterizzata da politicizzazione e impegno sono arrivati anche sulle pagine di riviste mitiche per sperimentazione e innovazione come Garo. Altri autori invece arrivarono a tematiche praticamente identiche attraverso un percorso diverso, partendo proprio dall’impegno politico.
Seiichi Hayashi, autore del secondo titolo della collana Gekiga, Elegia in rosso, fu uno di questi. Se i fratelli Tsuge commentano il mondo mettendosi a distanza da esso, il libro di Hayashi costituisce quasi l’antefatto ideologico di La mia vita in barca. Concepito tra il 1970 e il 1971 sulla rivista Garo, quando la rivista era cioè al massimo della sua influenza e del suo successo commerciale, con una tiratura di 80mila copie, l’opera è figlia della grande disillusione post 1968, del fallimento delle utopie spesso radicali dei giovani di allora, colpiti da una feroce repressione. Elegia è quasi più intimista del libro di Tsuge, ma è un intimismo di ripiego e di protezione dopo la caduta delle grandi speranze. Storia di un amore tra un lui e una lei, concettuale ante litteram, è un crogiolo d’influenze e citazioni: si va da precisi riferimenti pop, come il James Dean di Gioventù bruciata, all’influenza della nouvelle vague.
Ma Elegia ha influenzato a sua volta non solo il fumetto giapponese ma anche altri settori culturali, suggerendo per esempio motivi musicali a importanti gruppi rock. In seguito l’autore ha preferito altre attività come l’illustrazione o anche l’animazione, da cui del resto Hayashi proveniva (aveva lavorato per la Toei, la casa che produsse molte animazioni dei “Superobot” come Goldrake). Ma resta quest’opera di svolta: una parabola più o meno autobiografica su quell’incomunicabilità che Antonioni pose come tematica centrale.
Hayashi è capace di costruire immagini metaforiche o allegoriche ad alta densità espressiva, lavorando per esempio sul taglio dell’inquadratura e operando la sottrazione grafica nel punto giusto. Si creano così immagini forti che immesse nella sequenza ne aumentano la forza espressiva complessiva. Anche se qua e là può confondere, l’opera esprime una dolcezza e una poesia da cui è difficile separarsi e affiora soprattutto una capacità di suggerire i non detti e il silenzio per evocare l’assenza, il lutto e la malinconia, ancor oggi straordinaria.