Gianni Amelio: «Io, padre (e nonno) grazie a un dono speciale: mio figlio»
Il regista parla dell’omosessualità e del ragazzo affidatogli da un albanese ammalato: «L’ho adottato mentre giravo Lamerica. È lui che mi ha reso ricco dandomi una famiglia»
Il romanzo che Gianni Amelio ha scritto per Mondadori, Padre Quotidiano, è la storia di un regista omosessuale che va in Albania per un film e finisce per adottare un ragazzo. È la sua storia, la storia di come fra il ‘93 e il ‘94 giròLamerica e la storia di Luan, che nel libro si chiama Arben, e che l’ha or ora salutato in un caffè di Milano, mentre Amelio, con la sua barba bianca, la sua aura da regista di film pluripremiati come Il ladro di bambini, Così ridevano, La tenerezza, per un attimo, sembra solo un padre che abbraccia suo figlio. Racconta lui: «Non si finisce mai di diventare altro. Io non avevo messo in conto di avere un figlio, poi l’ho avuto perché un padre me l’ha donato».
È successo davvero come nel libro, dove Ethem le affida Arben, dicendo: «Fino a oggi è stato figlio mio, da domani sarà figlio tuo»?
«Uguale, anche se non tutto ciò che è nel libro è accaduto. Ma Luan, come Arben, era un pastore e faceva la comparsa nel film. Suo padre, malato, ha affrontato un lungo viaggio per parlarmi. La frase mi è arrivata attraverso un interprete, priva di emozione, mentre gli altri albanesi già piangevano. Io non ho colto subito il senso, non capivo come un uomo potesse privarsi di un figlio. Ho sospettato un atto di egoismo o di mancanza di responsabilità. Invece, era un gesto di umiltà, il sacrificio enorme di chi lascia andare suo figlio per dargli un avvenire».
Lei che ha risposto?
«Cercai di prendere tempo. Guardavo Luan ed eravamo un uomo di quasi 50 anni che non aveva mai pensato di avere un figlio e un ragazzo di 16 che non aveva mai pensato di avere un altro padre. Lui quella frase non se la ricorda. Forse era troppo cruda, non voleva che gli arrivasse. Io capii che, adottando lui, adottavo un’intera famiglia: non potevo far pesare il distacco a nessuno di loro. Infatti, a Roma vennero anche i genitori, poi il papà è morto, la mamma oggi sta qui d’inverno».
Perché non aveva mai desiderato un figlio?
«Perché ho avuto un’infanzia dura, nella Calabria degli Anni ’50, che somigliava, per povertà, dignità e macerie, a quell’Albania del ‘93».
Nel libro, è «la Calabria dei miei affetti micragnosi».
«Mi pento dell’aggettivo. Non si adatta alla persona straordinaria che era mia madre: moglie a 16 anni, col marito emigrato in Argentina».
La ricerca del padre c’è in tutti i suoi film.
«Il mio mi è sempre mancato. È tornato che avevo 15 anni. Doveva aver vissuto come vivono qui i senegalesi. Tornava da sconfitto e io, da liceale lo intimidivo. Non lo diceva, ma si capiva. Ho reagito andando via, costruendo da solo. Con Luan, mi sono proposto di essere diverso: un padre quotidiano, presente nel momento necessario».
Perché disse sì a Ethem?
«Quello straniero preoccupato della morte me l’aveva ordinato. Rifiutare era vigliaccheria. Oggi si parla di accoglienza, io sull’accoglienza sono stato messo alla prova in modo violento».
Nessuno cercò di dissuaderla?
«Un amico mi disse: “Se adotti un adulto, non dai una famiglia, dai un’eredità”. Invece, è che Luan ha reso ricco me dandomi una famiglia. In pochi mesi, era già fidanzato con una polacca. Ora, hanno tre figlie, dai 14 agli 11 anni».
Anche lei ha dovuto imparare che, se ami un figlio, devi lasciarlo andare.
«All’inizio, lo proteggevo in mondo sbagliato, gli vietavo i lavori più umili. Oggi, è un bravissimo operatore video».
Avete subìto pregiudizi?
«Un’attrice mi scrisse in una lettera: “È un’abitudine di voialtri esibire come figlio il vostro amante”. Scrisse proprio “voialtri”, come quando si dice “una di quelle”».
Le fece male?
«Certe cose danno la possibilità di scremare le conoscenze. A volte, neanche sospetti l’abiezione altrui. Una persona mi ha domandato: “Non è pericoloso che un gay adotti?”. E io: lei ha figli? Sì? E quante volte ci va a letto?».
In Italia, le coppie omosessuali non possono adottare né ricorrere all’eterologa.
«Uno può anche scegliere di non avere figli, ma deve avere la libertà di fare quella scelta. Mi amareggia che esistano ancora battaglie da combattere».
Perché, nel 2014, ha fatto coming out?
«Non è che, prima, lo nascondessi. E, se anche ora parlo, è perché l’operaio ne ha bisogno, il maestro scambiato per pedofilo ne ha bisogno. Devo farlo perché io stesso sono in debito con gli omosessuali morti in modo violento, come Pier Paolo Pasolini».
La tenerezza del suo ultimo film c’entra con la paternità?
«Ispira un rapido gesto, ma valgono di più le carezze fatte senza accarezzare».
Articolo di Candida Morvillo per il Corriere.it