‘’The thrill’’ stavolta è davvero andato. E ci lascia piu’ soli. Sempre piu’ soli. Riley B. King, noto come B.B. King, se ne e’ andato. A 89 anni. Dicono che avesse dagli 8 ai 15 figli, aveva avuto due mogli ma vi posso assicurare che oggi non solo loro due e loro, 8 o 15 che siano, non solo la nera Lucille, la sua chitarra Gibson preferita piangono, siamo in tanti. In silenzio. No, ascoltando la sua musica. Da solo o con tanti dei suoi ammiratori allievi, primo tra tutti Eric Clapton. Non sembra possibile che non ci sia più, che con la sua debordante fisicità ci rassicurava. Era nato in Mississippi, da bambino nella “terra della speranza e della libertà”, lavorava nei campi di cotone, stando bene attento al Ku Klux Klan. A 12 anni la prima chitarra poi una regalatagli da un suo cugino, Bukka White, grande bluesman. Nel gospel certo, eccelleva, ma la chitarra, la chitarra, la chitarra. Ha suonato con tutto e con tutti e ovunque, ha fatto discepoli ovunque ma senza mai prendersi sul serio. Era un negro, non un afro-americano. Alla sua negritudine ci ha tenuto e teneva sempre tantissimo. Un negro orgoglioso di essere tale e di essere discendente di schiavi che su quella terra avevano perso la vita dopo inenarrabili sofferenze. Di lui no, non si può dire quale sia stato l’incontro che lo ha segnato perché la vita del musicista blues di allora era un’avventura. Una grande, spesso pericolosa, avventura. Come dimostra la coltellata che pose fine alla vita del più grande bluesman, Robert Johnson. B. B. King aveva 89 anni, soffriva di diabete perché musica blues, donne e cibo erano state le sue grandi passioni. Il numero di figli lo dimostra, non quello delle consorti, il diabete che lo fiaccava sempre più negli ultimi anni. Quella pancia, quel fisico troneggiante che ci rendeva tranquilli.
Tre ricordi soli, l’ho sentito innumerevoli volte. In piazza a Bologna, stavo col mio fratello di sangue blues Roberto D’Agostino a rendere omaggio a Papa’, se non ricordo male in una caldissima aribollente piazza Maggiore dove i “du’ matti”, io e Roberto, abbiamo rischiato sul serio l’infarto per il tanto ballare e dimenarsi e sudare. Un fresco dopo-concerto a Castiglion del Lago in Umbria. Aveva suonato a Umbria Jazz e a tavola, sotto le frasche che ci coprivano dal caldo agostano, aveva razzolato e spazzato tutto. Poi si era poi concesso un grande sigaro e me ne aveva dato uno, io andavo e vado avanti con i sigari toscani, e avevamo cominciato a parlare di musica e cibo. Io accennavo qualche domanda, volevo sapere qualche aneddoto ma lui B. B., era inamovibile, voleva sapere tutti i segreti della deliziosa cucina umbra. No, non sarebbe stato tipo da Eataly e Masterchef. Come si direbbe a Roma, “parla come magna”. No, “magnava come suonava, ‘na meraviglia”. E poi Parigi, per la prima del ‘’When love comes to town tour’’ degli U2, dove apriva il concerto per i giovani Bono e C.. Ero entrato prima, causa legami familiari, professionali e irlandesi, e mi potei gustare le prove, come mi e’ capitato spesso nel mio lavoro. E no, non potrò mai dimenticare gli sguardi, l’ho scritto oggi sul mio blog di Paul, Dave, Adam e Larry jr, seduti ai suoi piedi come scolaretti estasiati davanti a un docente affabulatore. E i suoi sorrisi e occhi allegri guardando Dave (“The Edge”) mentre inanellava, durante le prove, qualche assolo dove aveva deciso di non controllare piu’ il volo delle sue grosse dita. Ogni volte che si sente ‘’When love comes to town’ si sta bene, lo si sente e ci tranquillizza. Anche adesso che non c’e’ più basta sentire un qualsiasi brano dei suoi innumerevoli album e Cd per averlo vicino. Nel cuore. Che ci ha riscaldato innumerevoli volte. Lascio ai Critici il Giudizio Critico, io sono e voglio essere solo un fan di blues, rythm’n’blues, funk e rock’n’roll. E oggi, vi assicuro, e’ un maledetto giorno, Riley, ci mancherai Ma, ahimè, ‘’the thrill is gone’’. Stavolta per sempre.
Paolo Zaccagnini per Dagospia 15-5-2015