A MILANO UNA MOSTRA SULL’ARTISTA CHE INVENTO’ IL DESIGN ITALIANO – BALLA FU IL PRIMO A DARE AUTONOMIA CULTURALE ALL’OGGETTO RISPETTO ALL’ARCHITETTURA – PER LAURA BIAGIOTTI E’ STATO UNO DEI PADRI DELLA MODA ITALIANA
Per Giacomo Balla (1871-1958) il mondo era teatro. E gli spazi del vivere e dell’ abitare una scenografia da cambiare all’ occorrenza. Una volta, per ospitare l’ amico Filippo Tommaso Marinetti, trasformò completamente casa, quell’ appartamento in via Paisiello a Roma, incunabolo del design italiano, per il quale creò «paraventi, arredi smontabili, armadi letterari e una camera per bambini dove i mobili erano personaggi delle novelle».
A raccontarlo è Andrea Branzi, architetto, designer, grande storico del pensiero progettuale. Che parla dei rapporti tra Futurismo e design, «ancora tutti da interpretare», in occasione dei sessant’ anni dalla scomparsa dell’ eccentrico artista torinese, stella polare della prima avanguardia europea, culla della modernità.
Anniversario celebrato da una retrospettiva della Galleria Bottegantica di via Manzoni a Milano, Giacomo Balla – Ricostruzione futurista dell’ universo (dal 12 ottobre fino al 2 dicembre), che inaugura nel contempo Modern/Lab, un format omaggio alle maggiori personalità artistiche del XX secolo.
In mostra una trentina di opere, compresi dipinti realizzati tra il 1912 e il 1930, ma soprattutto disegni per progetti di arte applicata e singoli complementi di arredo: piatti, tappeti, cuscini. «Il design italiano nasce con Balla, il primo a dare un carattere di autonomia culturale all’ oggetto rispetto all’ architettura», prosegue Branzi. Un contributo del tutto inedito nel panorama dell’ Europa di quegli anni, dominata da un approccio diametralmente opposto.
«Movimenti come l’ inglese Arts & Crafts o il tedesco Bauhaus, con i suoi rigidi codici geometrici, perseguono l’ idea dell’ oggetto modulare e coordinato con l’ arredo, mentre grazie a lui si impone un’ intuizione rimasta fondante nella tradizione italiana del progetto: quella del prototipo, del pezzo unico».
Nel sogno di un sistema avverso al passato in tutte le sue espressioni, Balla infonde nuovo alito di movimento alla vita anche attraverso la libertà e vivacità dell’ oggetto, «realizzato con tecniche da scenografo in legno dipinto, vetro, stoffa, carta stagnola, smalti industriali» quale elemento indispensabile di quel mondo ardito e gioioso, «coloratissimo e luminosissimo», magnifica ossessione dell’ ideologia futurista.
Ricercatore arguto e incontentabile evoluzionista («L’ artista dopo che ha lavorato deve sentirsi stanco, eccitato, qualche volta felice e quasi sempre insoddisfatto», diceva), Balla disegna arazzi e plafoniere, paralumi in vernice su pergamena e mobili da negozio, cassapanche e attaccapanni, ma anche tessuti, abiti, gilet, pullover, cravatte, papillon, borsette, sciarpe (una per la diva del muto Lyda Borelli), scialli, foulard, scarpe. Capi dinamici, illuminanti, volitivi, tutti «iridescenze entusiasmanti», stoffe fosforescenti, colori violenti, per liberare l’ umanità dal lutto di tonalità funerarie e dalla schiavitù di forme statiche e sacerdotali, come scrive nel volantino del 1914 battezzato Il vestito antineutrale. Laura Biagiotti, che di Balla ha messo insieme la collezione privata forse più importante d’ Italia, lo considerava uno dei grandi padri della moda italiana.
Ma nel suo progetto di ricostruzione futurista dell’ universo, come espresso nel Manifesto redatto nel 1915 insieme a Fortunato Depero, Giacomo Balla non lascia fuori nulla, neanche i giocattoli, ai quali viene addirittura dedicato il capitolo centrale. Mica quelle «caricature cretine d’ oggetti domestici» destinate soltanto «a istupidire e ad avvilire il bambino», si legge, bensì «complessi plastici» animati da «trucchi esageratamente buffi», meraviglie pirotecniche, congegni in trasformazione per esaltare l’ elasticità, la sensibilità, l’ immaginazione, il coraggio.
«Giocattoli creati per divertire i bambini e anche gli adulti come indispensabile reazione alla tristezza del lavoro di fabbrica e risposta al fallimento delle utopie positive», aggiunge Andrea Branzi.
E continua: «Rappresentazione comica, farsa sulla modernità, i giocattoli futuristi sono il simbolo di quell’ irrazionalismo e di quel singolare pessimismo nati dalla sfiducia nel progresso lineare e dal conseguente tentativo di attivare energie eccentriche di cambiamento». In ogni modo possibile.
Articolo di Beba Marsano per il Corriere della Sera
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