Sir Berners-Lee, come immagina il Web nei prossimi trent’ anni? «È impossibile sapere dove andremo. Ma abbiamo una certezza: dipenderà dalle nostre scelte di oggi. E io sono ottimista: i buoni vinceranno sui cattivi, anche sul Web».
Trent’anni dopo il creatore del Web torna dove tutto è iniziato: al Cern di Ginevra, il più grande laboratorio al mondo di fisica subnucleare. Per festeggiare, certo, ma anche per mettere in guardia dalla deriva che la sua “creatura” sta prendendo. Nel 1989 Tim Berners-Lee era un giovane ingegnere informatico britannico che voleva fornire ai ricercatori uno strumento per condividere le informazioni in modo efficace su Internet.
Nel marzo di quell’ anno presentò un progetto che prevedeva l’uso, tra l’altro, di collegamenti ipertestuali. Era l’atto di nascita del World wide web. Tre decadi e due miliardi di siti online dopo Berners-Lee è diventato Sir per volere della Regina Elisabetta e sarà ricordato nei libri di storia, alla voce inventori, accanto a Gutenberg e Marconi.
Lo incontriamo, insieme a Fabiola Gianotti, a poche centinaia di metri dall’edificio dove concepì quegli acronimi simbolo dell’era digitale, come www (World wide web) o http (hypertext transfer protocol).
La direttrice generale del Cern, tra gli autori della scoperta del Bosone di Higgs, lo accoglie come un vecchio compagno di studi che non si vede da tempo: «Bentornato tra noi Tim. Nella tua stanza ora lavorano informatici che si occupano di big data. E non è detto che anche dal loro lavoro non arrivi una innovazione di cui potrà beneficiare l’umanità intera, come è oggi per il Web».
Sir Berners-Lee parla con entusiasmo delle origini, ma si fa corrucciato quando affronta l’attualità: «Sono qui per celebrare un anniversario importante e però non nascondo la preoccupazione».
Cos’è che la preoccupa?
«In questi trent’ anni il web ha creato grandi opportunità di crescita, ha dato voce a chi non ne aveva, è diventato una piazza, una libreria, un negozio, una scuola, un cinema. E però ha offerto anche nuove opportunità ai truffatori, a chi diffonde l’odio, ai criminali in generale».
Come è potuto succedere?
«Una risposta possibile è che il web è lo specchio della società, quindi ne riflette sia il bene che il male. In realtà, sono convinto che se oggi l’immagine che l’umanità dà di sé sul Web è costruttiva o distruttiva dipende da come sono scritti gli algoritmi dei social network.
Ci sono software progettati intenzionalmente per fornire incentivi perversi a chi sacrifica per esempio i propri dati personali. Ma anche conseguenze indesiderate di algoritmi pensati a fin di bene, come quelli che permettono di esprimere liberamente la propria opinione e che invece stanno diffondendo indignazione e toni esasperati».
Lei ha creato la World Wide Web Foundation proprio per contrastare questa deriva. Quali sono le azioni da mettere in campo?
«Abbiamo proposto un Contratto per il Web, rivolto ai governi, alle aziende private, ai cittadini. Tutti insieme per difendere un patrimonio comune, come hanno fatto le generazioni passate per la Dichiarazione universale dei diritti dell’ uomo o per il Trattato sullo spazio extra-atmosferico. Finora hanno aderito Francia, Germania, Ghana e 200 tra associazioni e società private. Ma anche i singoli cittadini possono farlo sul sito della fondazione».
Una delle norme previste dal suo “Contratto” è che le Web company si impegnino a rispettare la privacy dei consumatori. Pochi giorni fa Mark Zuckerberg ha annunciato che Facebook d’ora in poi tutelerà meglio i dati personali degli utenti. È una promessa credibile o servono comunque regole imposte dai governi?
«Dipende dalle regole. Il Gdr (Regolamento generale sulla protezione dei dati) varato l’Europa va nella direzione che noi auspichiamo. Ma è vero che anche le compagnie private stanno comprendendo l’importanza di questi temi: Google, Facebook, Microsoft e Twitter stanno per esempio lavorando a un Data transfer project, un sistema attraverso il quale l’utente può trasferirsi da una piattaforma digitale all’ altra portando con sé i propri dati personali».
E i singoli cittadini cosa possono fare?
«Usare i social network per favorire conversazioni costruttive e non distruttive, non continuare a cliccare il tasto “consenti”, pur di usare gratis un servizio, senza chiedere che vengano rispettati i loro diritti sulla privacy. Eleggere politici che difendano un Web gratuito e accessibile a tutti».
A proposito di politica, i social network ne sono pieni.
«Ho suggerito a Facebook di cancellare i post contenenti pubblicità politica. In molti paesi la comunicazione dei partiti politici in televisione è strettamente regolamentata, con spazi assegnati per dare a tutti le stesse opportunità. Sul Web invece nessuna regola».
In Italia, il Movimento 5 Stelle utilizza una piattaforma digitale privata per consultare i propri iscritti prima di decisioni importanti del governo.
«L’ esperimento in corso nel vostro Paese è interessante: se però il governo è tenuto a seguire l’ esito di queste consultazioni allora è un governo con le mani legate. Io credo che il Web possa sì dare un contributo fantastico alla democrazia, ma soprattutto se utilizzato dai governi per comunicare in modo trasparente con i cittadini tramite gli open data».
Torniamo a quel marzo di trent’anni fa: perché il Web è nato proprio qui al Cern e non nella Silicon Valley?
«Perché al Cern c’è sempre stato un clima di grande libertà e creatività. Potevo programmare il primo server del World Wide Web senza che nessuno venisse a dirmi “siamo qui per fare altro”. Il mio capo di allora, Mike Sendall, era un fisico delle particelle. Quando lesse la mia proposta vi scrisse sopra un appunto a matita: “Vago ma eccitante”. E poi il Web non si sarebbe mai imposto se il Cern non avesse messo gratuitamente a disposizione di tutti il protocollo, senza reclamarne i diritti».
Capì subito che aveva inventato qualcosa di importante?
«No. Ma i numeri crebbero subito: gli accessi al server iniziarono a raddoppiare ogni quattro mesi. Poi tra il 1991 e il 1993 ebbero una crescita esponenziale».
Sir Berners-Lee, come immagina il Web nei prossimi trent’ anni?
«È impossibile sapere dove andremo. Ma abbiamo una certezza: dipenderà dalle nostre scelte di oggi. E io sono ottimista: i buoni vinceranno sui cattivi, anche sul Web».
Articolo di Luca Fraioli per “la Repubblica”