“Caro vecchio padre Anthony, guida morale e molestatore dei ragazzi del coro. Dieci avemaria e un pompino. Jerry come si chiama, quello che stava in classe con Lee, gli era venuto l’esaurimento nervoso. Intanto mezza città va ancora in chiesa: più facile credere che il piccolo Jerry fosse un bugiardo. Chiavati i nostri figli ma non scuotere la nostra fede” (Philipp Meyer Ruggine Americana Einaudi 2009 pag.100)
Trovo disagio a commentare questo brano di Meyer, per la brutalità con cui mette in risalto il problema della pedofilia diffusa tra i preti.
Ruggine Americana è un libro dove sincerità psicologica e verosimiglianza sociale combaciano come tasselli di un affresco impietoso ma assai plausibile di valori e comportamenti.
La pedofilia praticata nei confessionali e nelle sacrestie è più odiosa rispetto a quella diffusa e tollerata nella favelas brasiliane, nei paradisi sessuali del medio oriente, o fra le mura domestiche perché si ammanta di ipocrisia e di inganno e fa del male più inconfessabile un tradimento.
Ma come non dare ragione a Meyer quando ci dice che la ipocrisia del male non è solo dei preti e che, anzi, esso non ci sarebbe se solo avessimo il coraggio di non assistervi inerti o correi? Quanti Jerry abbiamo conosciuto, o sospettato, o ignorato?
Non scuotere la nostra fede, le nostre abitudini rassicuranti, il nostro perbenismo, la menzogna di un mondo pulito e onesto, a dispetto di tutto. Lo sguardo sia spinto al lontano all’orizzonte, alle nuove frontiere che ci aspettano!, troppo importante è il compito di costruire il nuovo mondo per poterci occupare di quello di oggi. Ogni progresso ha le sue vittime, le strade non sempre sono diritte, e soprattutto la carne è fragile e la vita è troppo corta. Direbbe desolato il mio amico Ernesto: ma quante volte Cristo deve venire a salvarci?