Si dice, a ragione, che la vecchiaia è il momento del ritiro, un tornare alle origini. Ricordo una zia, malata di vecchiaia, da tempo allettata. Si chiamava Teresa, vestiva sempre di nero. Nei suoi ultimi giorni, solo i suoi occhi, divenuti sbarrati ed enormi, davano segni di vita; il corpo, invece, era immoto, inerte, rannicchiato e come raccolto in una placenta. Un viaggio a ritroso, appunto.
Il male oscuro non sta però nel corpo dei vecchi, la malattia vera è un’altra e consiste nella rarefazione dei legami, dei desideri, dei ricordi che ti lasciano. Non solo il telefono è muto, o le stanze deserte, o l’agenda desolatamente vuota, e non vale appuntarti un nome, i pochi rimasti, se poi dall’altra parte nessuno ti risponde. E’ che un mondo ti ha lasciato, senza nemmeno salutarti, svanito come svanisce un sogno al risveglio. E tu non te ne sei accorto, anzi ancora rifiuti ad accettare che sei solo, comunque, anche in famiglia, o quello che ne resta.
Ostentatamente, giorni fa sono rimasto in piazza grande, fermo, senza mascherina, le gambe aperte. Qualcuno mi riconoscerà, o lo riconoscerò io, mi dicevo. Una buona mezzora. Nel via vai, tanti volti sconosciuti, che interrogavo con lo sguardo, già atteggiandomi ad un sorriso o a una esclamazione, ma niente. Non sei nessuno e tutti sono nessuno. Ritornando a casa, sentivo il mondo così cambiato, che quasi non riconoscevo le strade, le insegne del solito bar, il portiere che non saluta. Questo prolungamento degli anni di vita è una terra ancora sconosciuta, da sperimentare, carica di incognite.
Gli effetti del Covid sui giovani li vedremo più avanti. Ma sui vecchi i suoi effetti li ha già avuti, irreversibili: ha reso più rapida e evidente la solitudine, fatto cadere progetti e velleità, propositi e rivincite, rubato il tempo, quel poco che era rimasto e che nessuno potrà restituirti. Ti senti profanato, derubato di qualcosa che ti apparteneva ma di cui non credevi di avere bisogno.
E’ difficile cambiare obiettivi in limine temporis, l’abitudine prevale, il ragionamento nasce dogmatico, la novità è una scocciatura che va eliminata. Dov’è la tua apertura mentale, il tuo ragionamento tollerante, sei in un corpo una volta plasmato e duttile, ora irrigidito fino a soffocarti…. Anche la parola ti ha lasciato, non ne capisci più il significato, guardi il mondo come fossi in un acquario, dove capovolto stai sul fondo. Questa la “fine attiva” che Marco Tullio esaltava?