DIO PERVERSO ?

7 Feb 2025 | 0 commenti



Una terapia possibile: la morale “in movimento”
Bellet non si limita a fare la diagnosi di questa “malattia del cristianesimo” (che, per meglio dire, è una malattia di cui i cristiani si ammalano, chiamata appunto “cristianesimo”). Il filosofo prova a tracciare anche una terapia, qui di seguito delineata brevemente.

Primo punto: riscoprire e rimettere al centro della spiritualità il valore e il senso della vocazione, che unitamente al primato della coscienza personale (attestato e confermato dal cristianesimo di ogni epoca) sancisce la condizione di possibilità del tanto problematico “non giudicare” del Vangelo: nessuno può giudicare l’altro perché nessuno può pretendere di sapere meglio dell’altro cosa sia buono o cattivo per lui (argomento approfondito da Bellet nel suo Vocazione e libertà, ed. Cittadella).

Secondo punto: trarsi fuori dalla “tirannia del «bisogna»”; bisogna credere, bisogna operarebisogna praticare, ecc. La parola di Dio, la creazione, l’umanità stessa non comincia con “bisogna”, ossia con il dovere dell’uomo verso Dio, ma con “Io vi dono”, cioè con l’amore di Dio verso l’uomo. Esso, proprio in quanto “dono”, non prevede alcuna restituzione né compensazione (altrimenti non sarebbe un dono, ma un prestito).

Terzo punto: rinunciare definitivamente alla morale “scritta”, quella codificata nei tanti decaloghi e catechismi, sorta di punto fermo dove nulla cambia mai e al quale è sempre possibile tornare, indifferenti ai mutamenti, alle trasformazioni, agli sconvolgimenti che interessano (e spesso affliggono) l’umanità circostante. È il luogo delle certezze “per tutte le stagioni” (“Non uccidere”, “Non farti tante domande: troppa curiosità viene dal Maligno”, “Coricati la sera con le braccia distese lungo il corpo”); se poi la realtà non riesce a trarre nessun giovamento da queste certezze, be’, tanto peggio per la realtà. Esse, verità eterne, continueranno a possedere il loro valore intrinseco.

Rinunciare alle certezze, dunque: e dopo? Dopo, una volta lasciato il punto fermo dove tutto è sicuro (ma immobile), ci si potrà finalmente mettere in cammino: non più con la propria morale “scritta”, ma con una nuova morale “a voce”, fatta per gente che viaggia a piedi e che, quando incontra qualcuno o qualcosa, è perfettamente in grado di coglierne i dettagli, le sfumature, le contraddizioni. Una morale che, come la voce, vola, non permane: non si fissa in prescrizioni e procedure, ma si innalza nell’opera sempre diversa (e sempre uguale) del qui ed ora. Come il parto: sempre lo stesso, ma ogni volta unico. La nascita dell’uomo. Come “afferrare” questa voce? Di cosa parla? Cosa dice al pellegrino che ha freddo, che ha fame e sete (e non solo di giustizia – Mt 5,6)? Dice che l’unica moralità possibile è rimanere vigili sempre sull’altro, vegliare costantemente sul suo bene come se si trattasse del proprio stesso bene (trattare il prossimo come se stessi); non il mero ascolto dell’altro, ma una specie di “sorveglianza attiva”. Ogni uomo è responsabile del proprio fratello (Gen 4,9).

Conclusioni
Davvero è possibile “ammalarsi di cristianesimo”? Si può pensarla al riguardo come si pare, ma al di là di ogni teoria non è difficile incontrare un parente, un amico, un collega, un conoscente che ne presenti tutti i sintomi: intransigenza morale o dottrinaria (sovente insieme), profonda e spesso inconsapevole assenza a se stessi e al proprio desiderio, sorprendente mancanza di empatia. Segni di una mutazione curiosa e inquietante, che vede la degenerazione del cristianesimo – religione dell’amore e della gioia (Gv 15,11) – a religione del dovere, della tristezza e del risentimento; la quale, tutta protesa a salvare l’anima degli uomini nell’aldilà, non sembra farsi scrupolo di distruggerne la vita nell’al di qua. Pur essendo un meccanismo presente altrove (ad esempio negli ambiti ideologici, anche laici), il cristianesimo ha presentato (e continua a farlo) un terreno particolarmente fertile a questa sindrome. Come è possibile? Questa domanda richiede un’analisi che non è possibile condurre nello spazio di un articolo e che il filosofo ha sviluppato nel citato Le Dieu pervers. Ma quella che ci tocca più da vicino, con maggiore urgenza, è probabilmente un’altra domanda: siamo ancora in tempo a venirne fuori? Nonostante la diagnosi impietosa, Bellet ha una buona notizia al riguardo: “nessun uomo è condannato” ed “esiste sempre e per chiunque, anche nel caso peggiore, una seconda possibilità”. Ma la terapia va iniziata subito. Il cristianesimo del futuro ci attende.

Paolo Calabrò

Paolo Calabrò, laureato in Scienze dell’informazione e in Filosofia, gestisce dal 2009 il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano (www.mauricebellet.it). È redattore del settimanale «Il Caffè» di Caserta, del mensile «l’Altrapagina» di Città di Castello e della rivista online «Filosofia e nuovi sentieri». Collabora con il mensile «Lo Straniero» e con il bimestrale «Testimonianze».

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