Il lavoro editoriale mi ha portato spesso a contatto con il mondo dell’arte e talvolta, come un cortocircuito, mi viene di accomunare figure e momenti tra loro lontani, sull’onda di warburghiane consonanze e contiguità non percepite o non rilevanti al primo impatto. Esempio: pittori scrittori: Kandinskij, Klee, de Chirico.
Tutti e tre, nel giro di un decennio, tra il 1896 e il 1906, approdano, per la loro educazione artistica, alla Akademie der Bildenden Künste di Monaco di Baviera. I primi due, arrivati a breve distanza, si avvalgono della guida del direttore dell’accademia Franz von Stuck, ma il nume tutelare, da poco scomparso, è sempre Arnold Böcklin.
Il primo di questo fantastico trio di cui mi è dato di occuparmi è Klee. Siamo verso la fine degli anni 50, al Saggiatore di Alberto Mondadori, dove sono arrivato da pochi mesi. Klee è un pittore di cui molto si parla, ma poco conosciuto e capito.
Argan propone di pubblicare nell’imminente 1960, nel ventesimo anniversario della sua scomparsa, i suoi Diari 1898-1918: una novità assoluta, per iniziativa del figlio Felix, che contravviene alle riserve del padre, che gli aveva impedito anche solo di prenderne visione, in considerazione del fatto che ormai la sua arte è diventata «oggetto di attenzione di tutto il mondo occidentale». Ma non basta: Argan, che aggiunge una sua prefazione alla nostra edizione, affianca ai Diari una monografia di Will Grohmann sui meravigliosi Disegni e Debenedetti, nella Biblioteca delle Silerchie, pubblica di Clement Greenberg un breve Saggio su Klee, definito «il più filosofico, il più lirico e musicale di tutti i pittori moderni». Filosofia, lirica e musica sono in effetti tra gli ingredienti principali dei Diari, uno zibaldone, di volta in volta registro di eventi quotidiani; racconto di formazione; rendiconto in progress delle stagioni di una prodigiosa creatività, dei generi e delle tecniche; playlist vertiginosa degli eventi musicali, teatrali e cabarettistici di tutta Europa, che manco Arbasino. La musica in particolare lo riguarda sia come spettatore che come esecutore, in quanto violinista della Orchestra di Berna e in formazioni cameristiche.
Conclusa l’esperienza dell’«inutile» accademia («eseguo sonate di Bach. Cos’è Böcklin al confronto?»), pensa alla sua formazione, prima di affrontare il mercato. Oltre all’imprescindibile Viaggio in Italia, compiuto reggendo in mano, come un breviario, Il Cicerone di Burkhardt, c’è il Viaggio a Tunisi, immersione nel colore mediterraneo e felice approdo all’acquerello dopo la fase grafica, assieme a Macke.
Il primo incontro con la scrittura di Kandinskij è stato invece un saggio introduttivo al suo volume, Contrappunti, nell’ambito della collana saggiatoriana “Acquerelli”, che accoglieva anche opere di Klee, Nell’interregno, Macke, Viaggio a Tunisi, e Marc, Indivisibile bellezza.
Qualche decennio dopo, alla Bompiani, mi è riuscito di pubblicare, sia pure su licenza temporanea dell’editrice SE, Lo spirituale dell’arte, un testo che, al di là delle sue istanze teoriche sull’ “arte nuova”, ha influenzato la nostra percezione dei colori, dopo Goethe, prima di Itten e di Pastoureau, offrendone un sagace profilo identitario.
Per parlare della sua arte, approda anche alla rivista «Valori plastici» lanciata nel 1920 con una Prefazione di Giorgio de Chirico. Come non ricordare dell’artista Kandinskij le incredibili esperienze vissute attraverso due guerre mondiali, la Rivoluzione Russa di cui, senza mai prendere la tessera del partito, è stato un autorevole artefice della politica culturale nel tempo della gloriosa Avanguardia e, infine, bersaglio di punta dell’oltraggio nazista con la mostra 1937 dell’Arte Degenerata nella “sua” Monaco!
In una lettera del 28 febbraio 1941 ad Alberto Savinio (assente in questo contesto perché “troppo” scrittore) Valentino Bompiani scrive: «Un’altra lieta coincidenza: ieri sera mi sono messo d’accordo con Giorgio de Chirico per la stampa di Ebdòmero».
Nelle righe precedenti informava Savinio di essere riuscito a convincere Arnoldo Mondadori a rinunciare all’opzione pregressa, così che il prolifico fratello di Giorgio diventa, tra guerra e dopoguerra, autore di punta della Bompiani. Ebdòmero esce l’anno successivo, tredici anni dopo la prima edizione in lingua francese (1929) che aveva stupito e conquistato Parigi, dove ormai de Chirico si chiamava Sciricò. Con questo romanzo, ritenuto un capolavoro della letteratura surrealista, de Chirico compie un’operazione analoga a quella che Kandinskij aveva prodotto in forma saggistica: rendere conto della poetica della propria arte attraverso la scrittura (Riccardo Dottori ne bene rilevato le affinità nel suo saggio, Giorgio de Chirico. Immagini metafisiche).
Ebdòmero è ora disponibile, con un’introduzione di Fabio Benzi, pubblicato dalla Nave di Teseo, nell’ambito di un programma avviato con Paolo Picozza, presidente della Fondazione Isa e Giorgio de Chirico, che prevede la pubblicazione dell’Opera Omnia del Maestro.
Memorie della mia vita è il best-long-seller che de Chirico pubblica appena finita la seconda guerra mondiale. La prima volta che ce ne siamo occupati, alla fine degli anni 90 allora alla Bompiani, a Elisabetta Sgarbi brillavano gli occhi nel ricordo degli spontanei cenacoli letterari nella casa di Ro Ferrarese, ai quali assisteva in disparte, forse nemmeno considerata per la giovane età, e di cui le Memorie erano un Leitmotiv. E non solo, credo, per il languore delle contadine tra gli effluvi della canapa macerata nei campi circostanti, il pane a coppia ferrarese, gli oggetti delle vetrine del ghetto, i biscotti, il Castello Estense, la stazione e i treni, De Pisis e Previati, la noia della naia militare con l’infido Carrà e l’amatissimo fratello Alberto. La sua visione critica dell’arte moderna si esprime qui tra ironia e furore, come le reiterate invettive contro la trimurti Cezanne Van Gogh Gauguin, e magari simpatizza per Derain. Irresistibile il racconto dei goffi tentativi di Roberto Longhi, Il Nemico, di evitare di incrociarlo, quando già in vista, per le vie di Firenze. Quanto al narcisismo esibito del Pictor Optimus, si può dire che la sua formazione nietzscheana non conosce frontiere.
Articolo di Mario Andreose per il Corriere della sera
In copertina:Paul Klee, Cat and Bird, 1928, The Museum of Modern Arts, New York