“FACEBOOK DEVE ESSERE SMEMBRATO”. E CHI LO DICE? IL SUO CO-FONDATORE, CHRIS HUGHES – IN UN EDITORIALE PER IL “NEW YORK TIMES”, VA ALL’ASSALTO DEL COLOSSO SOTTOLINEANDO L’ECCESSIVO POTERE DI ZUCKERBERG: “SOLO LUI PUO’ DECIDERE COME CONFIGURARE GLI ALGORITMI. IL SUO INTERESSE PER LA CRESCITA LO HA PORTATO A SACRIFICARE SICUREZZA E CIVILTÀ” – “FACEBOOK HA USATO LA SUA POSIZIONE DI MONOPOLIO PER CHIUDERE SOCIETÀ CONCORRENTI O HA COPIATO LA LORO TECNOLOGIA”-
MARK ZUCKERBERG, DUSTIN MOSKOVITZ E CHRIS HUGHES FONDATORE FACEBOOK
“Mark è la stessa persona che ho visto abbracciare i suoi genitori , che procrastinava lo studio, che si è innamorato della moglie in fila per il bagno e che ha dormito su un materasso per terra in un piccolo appartamento anni dopo che avrebbe potuto permettersi molto di più. In altre parole, è umano. Ma è la sua stessa umanità a rendere così problematico il suo potere incontrollato”: inizia magistralmente così l’ editoriale del New York Times firmato da Chris Hughes, co-fondatore di Facebook che nel 2012 ha lasciato la società per seguire Obama.
Un testo denso e lungo, che ripercorre con dovizia l’ ascesa del social e le distorsioni (sue e della storia) per affermare un concetto: Facebook è pericoloso e deve essere “smembrato”.
Hughes è meticoloso. Ricorda che Zuckerberg, con il 60% delle azioni con diritto di voto, ha il pieno dominio del gruppo che a sua volta controlla le tre principali piattaforme di comunicazione digitale del mondo (Facebook, Instagram e WhatsApp).
“Solo lui può decidere come configurare gli algoritmi”. Si dice arrabbiato: “Mark è una persona buona. Ma il suo interesse per la crescita lo ha portato a sacrificare sicurezza e civiltà” circondato da “una squadra che ne rafforza le convinzioni invece di sfidarle”. Un pericolo per la democrazia e la concorrenza.
Le accuse. L’ editoriale è infatti la nemesi della guerra al monopolio dei giganti del web, che deve approfittare dell’ assist dello scandalo Cambridge Analytica. “Bisognava chiedergli di fare davvero i conti con i suoi errori – dice – invece i legislatori che lo hanno interrogato sono stati derisi come troppo vecchi e fuori dal mondo per capire la tecnologia. È esattamente l’ impressione che Mark voleva che gli americani avessero”.
I monopoli. L’ analisi ripercorre l’ impianto economico americano. “Dagli anni 70 – scrive – un piccolo gruppo di economisti, giuristi e responsabili delle politiche ha finanziato una rete di think tank, riviste, centri accademici per insegnare che gli interessi privati dovrebbero avere la precedenza su quelli pubblici”. Poi la politica fiscale e normativa favorevole alle imprese ha inaugurato un periodo di fusioni e acquisizioni. Le dimensioni medie delle aziende sono triplicate. Anche nel digitale.
I social. “Fin dai primi giorni – racconta Hughes – Mark ha usato la parola ‘dominazione’ per descrivere le ambizioni, senza ironia o umiltà”. Prima la gara con Myspace, Friendster, Twitter, Tumblr, poi l’ acquisizione di altre società, tra cui Instagram e WhatsApp nel 2012 e 2014. “Ora che impieghiamo così tante persone, non possiamo proprio fallire” avrebbe detto Zuckerberg una notte. “Avevamo circa 50 impiegati – dice Hughes – Ho pensato: non si fermerà mai”.
La crescita. E così è stato. Instagram gli ha garantito il predominio nel photo networking, Whatsapp nella messaggistica mobile. Entrambi guidano la crescita della società.
“Facebook ha usato la sua posizione di monopolio per chiudere società concorrenti o ha copiato la loro tecnologia” dice Hughes . Ha dato priorità ai suoi prodotti sulla sua piattaforma, impedito l’ uso dei suoi servizi. Nessuna importante azienda di social networking è così nata dal 2011 mentre sono cresciute nei settori del lavoro e dei trasporti. E nessuno l’ ha fermato.
Dagli anni 70, spiega Hughes, i tribunali sono sempre più riluttanti a bloccare le fusioni se non portano a un aumento dei prezzi per i consumatori. E Facebook è gratis per gli utenti. Il soffocamento dell’ innovazione e del controllo non sono più considerati motivi validi per fermare le mega aggregazioni. E così, se gli utenti non sono d’ accordo con il modo in cui i loro dati sono trattati, non possono neanche cambiare piattaforma.
Controllo. Facebook ha poi un immenso controllo. “Le regole (degli algoritmi, ndr) sono proprietarie e così complesse che molti dipendenti non le capiscono” spiega Hughes, che ricorda un altro passaggio: la decisione di bloccare (e quindi anche intercettare) i messaggi privati che incitavano al genocidio in Myanmar.
“Non è più una piattaforma neutrale ma prende decisioni sui valori”, dice.
Le soluzioni. Commenta poi le ultime scelte di Facebook, dall’ aumentare la crittografia alla richiesta di più regole governative. Zuckerberg “non ha paura di regole in più – dice Hughes – ma di un caso antitrust e del tipo di responsabilità che la vera supervisione del governo potrebbe portare”. Lui, che non ha mai avuto né voluto capi. Hughes ricorda che quando Yahoo aveva offerto 1 miliardo per Facebook, Zuckerberg rifiutò.
“Non so se voglio lavorare per Terry Semel”, avrebbe detto.
La proposta. Per il co-fondatore, dunque, bisogna annullare le acquisizioni di Instagram e WhatsApp, vietare acquisizioni per diversi anni, sostenere la proposta di legge della senatrice Elizabeth Warren (una task force per monitorare la concorrenza tra le società tecnologiche), unirsi al movimento di intellettuali e politici che si stanno impegnando su questo fronte, dar vita a un’ agenzia che tuteli la privacy. O almeno provarci per mettere paura a Facebook&C.
Come successo in passato per Microsoft e Ibm. Ma serve velocità: “Fino a poco tempo fa, WhatsApp e Instagram venivano amministrati come piattaforme indipendenti. Facebook sta lavorando rapidamente per integrarle”.
Virginia Della Sala per “il Fatto quotidiano”
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