GILLO, ANGELO ERA TROPPO

20 Apr 2017 | 0 commenti

 

“È UN LIBERTINO, LAICO,SENZA PREGIUDIZI, SENZA RETORICA, ARTISTA DELL’ETERNO PRESENTE”- BONITO OLIVA TIENE LA SCENA, E’ DIROMPENTE, ANTICONFORMISTA COME IL PROTAGONISTA DELLA SUA ODE- DORFLES ASCOLTA, TORMENTANDOSI GLI OCCHI, DUE FESSURE- IL PRIMO DI TRE ARTICOLI DEDICATI A GILLO DORFLES, ARTISTA COMPLETO SENZA NOSTALGIE E CUPEZZE.

 

Gillo Dorfles, per molti è solo un nome insolito e curioso. Ve ne parlo adesso, prima di doverne scrivere il “collodrillo”, sempre inevitabilmente agiografico.. Per carità, l’augurio è per una vita ancora più lunga, ma Gillo ha oramai 107 anni, essendo nato a Trieste nel 1910. Eppure, se lo sentite nella intervista qui sotto sono stupefacenti la sua lucidità, l’intatta memoria, la freschezza che conserva. “Non vi soffermate troppo sulla mia età- ha detto- avere 107 anni non è un merito”.

Gillo nasce Angelo (“Non sono mai stato Angelo, era un nome troppo altisonante”), famiglia triestina, da subito attratta dalla libreria antiquaria di Umberto Saba, rifugio di intellettuali e pensatori mitteleuropei.

Uomo di cultura, talento e istinto creativo, ma soprattutto di buon gusto. Ancora oggi scrive i suoi pezzi sulla mitica Olivetti lettera 22: ”mi sveglio, lavoro, amo il vino”, vestito sempre impeccabilmente, ha un eloquio suadente e misurato, gli occhi penetranti, e si muove, schivando libri, sculture, oggetti d’arte, in stanze alla cui pareti si notano quadri di Fontana e dei pittori della Scuola romana, in particolare Tano Festa Giosetta Fioroni (vedi intra://www.ninconanco.it/e-il-tempo-della-pop-art-italiana/….).

Sandra Gesualdi, nel luglio del 2016, così ne tratteggiava la personalità:” La sua intelligenza visionaria ha saputo cogliere i grandi mutamenti nell’Italia del dopoguerra e capirne le oscillazioni del gusto dall’arte al kitsch, dall’architettura al design, dal teatro ai media, dalla musica al costume. Ha camminato in obliquo sulle rotte del sapere, senza mai rimanere imprigionato troppo a lungo in categorie preconfezionate. Neppure quando < creando per divertimento> si è ritrovato a sperimentare tutte le maggiori avanguardie: dall’Astrattismo al Futurismo e al Dadaismo, fino agli approcci col Surrealismo”

 

Gillo Dorfles con Lucio Fontana

Se gli si chiede da dove gli viene la spinta creativa, la risposta la si trova già lontano 1952, in un convegno della Triennale di Milano, dal titolo De Divina Proporzione, in cui Gillo aveva sostenuto la tesi che l’irrazionalità nel processo creativo è una base imprescindibile. Lo conferma nell’intervista alla Gesualdi: “l’irrazionalità é capace di mettere in crisi ogni modello precostituito, si abbina alla nozione di intuizione e soprattutto di intenzionalità, che danno un senso alla vita e da cui l’arte prende spunto. Appena una tendenza espressiva si fossilizza in una categoria precisa, interviene di nuovo questa straordinaria tensione verso il nuovo, contraria ad ogni forma di dogmatismo”. L’artista, per Gillo, deve essere colui che disubbidisce alle regole del gioco. “Qualunque oggetto può diventare un’opera d’arte, basta pensarlo. La relazione consapevole con ciò che ci circonda è la base della nostra conoscenza, Che non finisce mai”.

L’anno scorso, in una mostra allestita al Palazzo della Permanente, sempre a Milano, Gillo torna sul tema, visto questa volta dalla parte della cultura materiale, in cui possa apparire esplicito il fecondo dissidio fra mondo reale e idea perfetta. L’allestimento è stato un inno a ciò che Gillo definisce “la crescente volontà di imprecisione”, lo spazio per l’indeterminatezza, troppo a lungo soffocato dal rigore razionalista, dall’etica inflessibile del Bauhaus tedesco, dal costruttivismo russo e olandese.

Gillo Dorfles, davanti alla sua opera Custodire l’intervallo 1996

Lasciata Trieste, non poteva che essere Milano, l’unica città italiana di respiro europeo, ad accoglierlo; ecco come ricorda quegli anni, in un articolo di Maurizio Bono sul Corriere milanese nel 2012: “«Sì, la città è cambiata enormemente non solo perché la popolazione è cresciuta, ma perché non è più, letteralmente, quella di una volta. Il mio primo ricordo è di quando avevo due o tre anni e da Genova, dove con mia madre ci eravamo trasferiti dalla Trieste in cui sono nato, venivo a trovare la mia bisnonna che aveva un palazzo in Corso Venezia. Allora tutti parlavano sempre in milanese, se entravi in un negozio e volevi farti capire dovevi farlo per forza. Fino agli anni Trenta si parlava in dialetto anche nella buona società, che allora ho abbastanza frequentato, dai Borromei ai Belgioioso. Compresa mia moglie Chiara, che tutti chiamavano Lalla ed era figlia del direttore del Conservatorio Gallignani e figlioccia di Toscanini… Tombinare i Navigli? Sì, fu un errore e un delitto. Ricordo le meravigliose passeggiate sui Navigli quando erano ancora una vera rete urbana navigabile, il Tombon de San Marc con il laghetto che era un piccolo mare interno, i ponti e i canali fino a Pavia».»

Gillo Dorfles con Achille Bonito Oliva

Di recente, Gillo all’Auditorium del Museo Revoltella in Milano, ha presentato il suo libro Gli artisti che ho incontrato, scritto in collaborazione con Luigi Sansone. Ecco alcuni spunti della giornata, tratti da articoli di Marisa Fumagalli: Sul palco dell’Auditorium del Museo Revoltella, seduto sulla poltroncina, c’è un signore di 106 anni, impeccabilmente vestito con un completo marrone («ama i colori, detesta soltanto il blu», ci dirà la governante Nina), pullover nocciola, camicia, cravatta che si aggiusta con gesto rapido. Magro, mediamente curvo considerando l’età. È il giorno del suo compleanno. 
Gillo Dorfles, artista e critico d’arte triestino ma milanese di adozione, ritorna nella sua città di origine che lo festeggia organizzando la presentazione di un volume ponderoso (850 pagine) dalla copertina rossa: Gli artisti che ho incontrato. Un’antologia completa dei suoi scritti (mancano soltanto gli articoli sulla Biennale di Venezia e quelli del Corriere della Sera, già ripubblicati), dal 1930 al 2015.Accanto a lui, il fondatore della Transavanguardia Achille Bonito Oliva e l’amico Luigi Sansone, curatore dell’opera. La sala è strapiena, sedie aggiunte in prima fila. E l’applauso, affettuoso, scatta frequentemente durante l’ora di conversazione. Tocca ad Achille Bonito Oliva. «Lo stile è l’uomo», attacca pescando la celebre frase di Buffon, naturalista e scrittore francese. Addita l’abbigliamento di Dorfles, e dice: «È un libertino. Laico, senza pregiudizi, senza retorica. Artista dell’eterno presente…». Bonito Oliva tiene la scena, è dirompente, anticonformista come il protagonista della sua ode. Dorfles ascolta, tormentandosi gli occhi. Due fessure.
In sala c’è Nina. La incontriamo alla fine. Uno spicchio di quotidianità: «Dorfles è goloso di dolci e ha due rossi prediletti, il Nero d’Avola e il Cannonau». Lui conferma: «Amo il vino».

 

 

 

 

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