Santiago de Compostela, sempre quella la meta. Oppure no, perchè è sempre diversa l’avventura, così come il ritmo del passo. Nemmeno la fatica è la stessa sotto quel cielo grigio di pioggia o abbagliante di luce. Il cuore, già il cuore, forse è quello che spinge, più che le gambe. Il viaggio ci fa sentire che siamo nel corpo, ma diversi, con le curiosità che restano, gli ultimi piaceri, il silenzio.
Indomito, un poco irrequieto, ma sopratutto curioso, Giovanni rifugge ciò che appare banale. E’ un uomo di misura, attento a circoscrivere, a sopire, più che ha sfondare. Assapora le cose facendole decantare per cui le grandi passioni, i grandi dispetti, i voraci appetiti (forse eccezion fatta per quelli della tavola), non fanno parte della sua natura.
Impegnato socialmente, ma in fondo schivo, uno così non poteva fare un viaggio organizzato in comitiva a Santiago de Compostela, ma cimentarsi in solitaria, per cadenzare il suo passo solamente con qualche occasionale pellegrino. E così è stato. Niente mountain bike, niente compagnie a giunzaglio, o variopinte e stravaganti bande di gitanti. Il passo cadenzato delle gambe che duetta col pacato ritmo del cuore, lo sguardo concentrato sulle sfumature lontane del mare verso Redondela, una riflessione che inizia senza fine e non sembra mai concludersi se non in un’altra.
Forse la sera Giovanni stenta a prendere sonno, a non per la stanchezza, chè si è coscientemente allenato. Nè per i pensieri della tappa del giorno dopo. Tutto previsto e pianificato. Nè perchè il cellulare non fa che squillare. Ma per il letto, lui che è diventato con l’età abitudinario.
Non c’è un solo cammino, ed è giusto che sia così, ma cinque percorsi diversi ufficiali, ma poi è un labirinto che affonda nell’intimo di ognuno. Una via costeggia il mare, altre attraversano la Galizia a diverse latitudini. C’è chi parte da sempre più lontano, guidato da improbabili cartelli stradali, rivolti al nulla, come, nella vastità della pianura padana, quelli della via Francigena. Chi non si sente in forma, accorcia il percorso, quasi fosse una prova, uno sfizio, per poter dire: l’ho fatta anche me. Unica la meta, ma nemmeno questa ha lo stesso significato per tutti. Giovanni, alla sua seconda prova dopo giusto un lustro, parte dal Portogallo. Da camminatore, non da pellegrino.
Si prende il tempo che ci vuole, Giovanni; non è lì per tentare un record personale, ne’ per collezionare i certificati che, come se fossero indulgenze, i preti rilasciano ai pellegrini come testimonianza della fede nel santo Giacomo Maggiore, l’apostolo zebedeo (che non è proprio un complimento). Giovanni ha una fede sincera, animata dalle opere, secondo il severo stile protestante. Per il concreto uomo che è, non c’è spazio per frivolezze o per rapimenti mistici. Giustamente perciò si definisce camminatore.
Più che la meta quella che è in atto è la Sfida contro se stesso. Dimostrare che può farcela, va bene, ma poi? Guadagnare uno spazio seppure effimero di libertà costringendo le gambe ad avanzare, per superare i limiti fisici? Ma gli altri, quelli della mente, i più insidiosi, che ci ingabbiamo fra istinti e passioni, direbbe il non non proprio ottimista Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista. Insomma, più che i muscoli allenare la mente, o se volete la coscienza.
Per uscire, o meglio gestire le passioni, il viaggio più necessario sarebbe quello del perfezionamento interiore, più lungo e difficile del cammino per Santiago. Non è che dopo la rivoluzione scientifica potremo avere quella della coscienza? Cioè rinascere a noi stessi. E’ questo che Giovanni vuole indicarci?