GUIDO, IL BIBLIOPATOLOGO

5 Ott 2017 | 0 commenti

UBRIACHI DI LETTURE, ABBANDONARE I LIBRI PER CANCELLARE LA VITA CHE C’E’ DENTRO- QUANTO E’ VERA LA FRASE DI NABOKOV: L’ESISTENZA E’ UNA NOTA  A PIE’ DI PAGINA IN UN AMPIO, OSCURO CAPOLAVORO INCOMPIUTO. GUIDO VITIELLO RISPONDE A UNA BIBLIOFILA INFEDELE

 

Gentile bibliopatologo,
amo i libri. Il mio problema è che, dopo averli amati, li abbandono: finita l’ultima pagina, richiusa la copertina, perdono ogni interesse ai miei occhi. Non mi affeziono, riesco a separarmene tranquillamente e, anzi, quelli più belli li ho dati via: regalati, prestati, perfino abbandonati su una panchina, al contrario di tutti gli altri bibliofili che conosco, che dichiarano di non potersene separare. Che problema ho?
–Elena

Guido Vitiello (1975) insegna alla Sapienza di Roma “cose” di cinema

Cara Elena,
non chiederti che problema hai, chiediti piuttosto che problemi crei al tuo povero bibliopatologo. Sai cosa sei, tu? Sei il cigno nero che manda all’aria tutte le mie teorie. Per timore di veder venire giù il mio castello speculativo avrei dovuto ignorare la tua lettera, ingoiarla come un agente segreto caduto in mani nemiche, distruggerla in un tritacarte come un tesoriere corrotto all’annuncio di una perquisizione dei finanzieri, farla scivolare distrattamente su una panchina come uno dei tuoi libri sedotti e abbandonati. E invece son qui a risponderti.

Ho conosciuto una persona che conservava, debitamente ordinati e lustrati, tutti i bicchieri, i bicchierini da liquore, i calici da vino, i flûte da spumante, le tazzine da caffè e soprattutto le tazze da colazione con cui aveva avuto a che fare nel corso della vita, fin dai bicchieri con i pupazzetti – ormai sbiaditi dopo decenni di passaggi in lavastoviglie – avuti in omaggio con qualche merendina degli anni settanta. Erano, credimi, diverse centinaia, una piccola città di vetro e porcellana. Se tu avessi messo il naso nelle credenze della sua cucina, saresti rimasta esterrefatta, e ne avresti concluso che questa donna amava segretamente un vetraio, come Pina Fantozzi il panettiere sotto casa. Per un caso del genere, un freudiano parlerebbe di “carattere anale”: amore smodato dell’ordine, pulizia meticolosa, parsimonia che sconfina nell’avarizia. Quel che so per certo è che questa persona viveva accerchiata da una terribile ansia di morte. In ogni caso, vedi bene che siamo in pieno territorio nevrotico.

Ora, immagina che al posto delle credenze piene di bicchieri e tazzine questa donna avesse avuto scaffali inzeppati di libri. La diagnosi sarebbe subito capovolta. Ma che magnifico amore per la cultura, avremmo detto: conserva tutti i libri letti fin dall’infanzia, giornalini, abbecedari, album di favole, sussidiari, manuali universitari, doppioni, triploni, libri-omaggio accumulati nel corso degli anni; e non solo, li ama così visceralmente che non ne presta nessuno, neppure sotto tortura. Se le tolgono il Re Lear di Shakespeare che aveva preso con l’Unità nei primi anni novanta, e che pure possiede in altre due edizioni, sente che le manca una parte di sé, quel libro diventa una specie di arto fantasma. Vedi dove voglio arrivare? I libri sono una zona franca in cui le nevrosi più imbarazzanti sono non solo tollerate, ma lodate. Per questo esistono i bibliopatologi, o meglio, fanno finta di esistere una volta a settimana.

Poi, in questo mondo uniforme in cui tutte le vacche sono grigie, tutti i cigni sono bianchi e tutti i bibliofili sono anali – parlo di bibliofili, bada, non di semplici lettori appassionati – arrivi tu e scompigli le carte. Dunque è possibile amare follemente i libri e separarsene senza rimpianti? È qualcosa che, fino a oggi, mi era capitato di osservare solo in persone che intravedevano l’ombra della fine. In un’intervista del 1978 Leonardo Sciascia, ormai sessantenne, disse che aveva intenzione di donare parte dei suoi ventimila volumi alla biblioteca comunale del suo paese, Racalmuto. Dar via i propri libri, aggiunse, “è un po’ cominciare a morire”.

E’ lei Elena, la pato-lettrice?

Congedarsi dalla propria biblioteca equivale, per il bibliofilo, a deporre le spoglie mortali in preparazione al grande viaggio. Confesso, la sola idea mi atterrisce, e a costo di perdere credibilità e pazienti sono costretto a ribaltare le parti e ad accomodarmi sul lettino. Allora spiegami, come si fa?

 

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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