TWITTER,PER FARLO RISORGERE SERVIREBBE FLAIANO
Con i suoi aforismi taglienti, lo scrittore avrebbe dato senso a un social defunto. Numeri negativi, medicorità, mentalità da gregge e hater dimostrano che chiunque pensi di prevedere e incanalare la follia umana è destinato a fallire.
Tragedie dei nostri tempi: «Twitter non cresce più. Twitter è morto», titola con drammatica asetticità un giornale. Sempre fermo sui 380 milioni di pettegoli, e chi lo inventò prima di passare la mano ha ammesso: «Non credevo che avrei fomentato odio». Forse intendeva fomentare come estrarre, cavare, sdoganare l’odio degli squallidi, che è inestinguibile e non fa che adattarsi ai tempi. Su Twitter ci stanno i mediocri, da mediocri: giornalisti, divi e chi si mette in testa di emularli. E twittano – twittiamo, tutti e 380 milioni – cose deprimenti, piatte, umoristi senza umorismo, moralisti senza morale. Molti gli aspiranti satirici con quelle formulette sgangherate, «ma quindi?», «maa dunque…?».
SOLO SEGNI MENO. Twitter sta morendo, è morto, è un comatoso, uno zombie e questa è una vera tragedia non per la totale disattenzione dei presupposti ma per altre ragioni, riassunte su Wired in un impeccabile italiano contabile: «Il riassunto in numeri della trimestrale presentata da Twitter non mostra neppure un segno “più”. Vendite -4,7%, introiti pubblicitari -8%, base utenti ± 0%. In dollari americani queste percentuali si traducono in una perdita di 116,5 milioni, vendite per 573,9 milioni, superiori ai 537,2 milioni attesi dagli analisti, che hanno sottodimensionato i dati che Twitter cede a terzi e introiti pubblicitari di 489 milioni di dollari, anch’essi superiori ai 458 milioni preventivati dai tecnici del settore. La base utenti è però rimasta immobile».
Twitter è molto utile a capire il vento che tira, e, soprattutto, che cambia. Il medium perfetto per gli opportunisti, i carrieristi, i furbi. Oltre, si capisce, che per gli hater
La base è immobile perché Twitter, spiegano i sociologi del web, «ha una comunicazione orizzontale», che sarebbe a dire frontale: l’ideale per litigare, ma va a finire che se uno qualsiasi litiga con un vip, di qualsiasi risma, non c’è gara perché il vip gli scatena automaticamente contro la canea dei servi. Oppure è il vip a cascare male quando il popolo di Twitter non piglia bene qualche suo commento e allora si coalizzano, come quei nugoli giganteschi di pesciolini tutti uguali per ingannare la balena. Ogni tanto qualcuno ne ha la carriera e la vita rovinate perché, nell’era della comunicazione totale, bisogna stare attenti a cosa si scrive, ci sono dei totem, dei tabù: infatti non li citiamo, basti dire che, nel risalire della catena alimentare, finiscono per incolpare di ogni cosa il riscaldamento globale cioè Trump (prima: Berlusconi), e pretendono tutti androgini come il Seraphita di Balzac.
DIETRO LE OPINIONI DEL MOMENTO. A volte le opinioni cambiano, il popolo di Twitter si adegua e, se uno rimane indietro, finisce malissimo, come si usa dire. Prendiamo il presidente Macron: viva il nostro Napoleone di sinistra, twittavano tutti a cominciare dal premier italiano, “conte” Gentiloni Silverj di Filottrano. Poi Macron si è messo a fare il Le Pen e – contrordine, twittaroli – ci si è dovuti adeguare, anche con insulti al limite della passabilità: la moglie, da teenager è passata a nonna, e così via. Twitter è molto utile a capire il vento che tira, e, soprattutto, che cambia. Il medium perfetto per gli opportunisti, i carrieristi, i furbi. Oltre, si capisce, che per gli hater, che sarebbero quelli che svolgono il mestiere di maligni, a volte disperati ma alle volte prezzolati.
IL PIACERE DELL’ODIO. Non cresce più Twitter, è morto, il saldo è negativo, il coma profondo, forse irreversibile e nessuno sa come fare, perché a tutti piace odiare, piace lo spettacolo del bersaglio che viene buttato giù, non necessariamente famoso anche se aiuta, ma a nessuno piace ritrovarsi bersaglio lui stesso e questa meravigliosa possibilità di “far sapere al mondo come la pensi”, alla prova dei fatti, si è risolta in “far sapere al mondo come ammazzarti” e non pare tutta questa conquista. A conferma che chiunque pensi di prevedere e incanalare la follia umana, che è prevedibilmente imprevedibile, è destinato a fallire, come va sempre a finire nel dirigismo dei piani quinquennali mentali.
Twitter non è una grande novità, ha solo insufflato un linguaggio differente, poco creativo, molto sconclusionato. Ci son quelli che risparmiano sulla punteggiatura per restare nei 140 caratteri, e quelli che, come Oscar Giannino, comprimono l’impossibile in un messaggio: «Ma come cazzo parli, Oscar», gli ha twittato uno, una volta. Era più moderno Giovannino Guareschi che, da detenuto in lager, avendo poche righe di corrispondenza a disposizione, scriveva a casa: «Paccami lancorredo, mandatemi un pacco con della roba di lana».
LA NOSTALGIA DI FLAIANO. Ogni tanto, per far parlare di sé, qualcuno annuncia: «Me ne vado da Twitter». E poi spiega tutto su Facebook. Dicevano che condividere tutto con tutti nell’attimo fuggente era la nuova frontiera del giornalismo, ma qualcosa è andato storto. E allora ci sono quelli che blastano i webeti, cioè puniscono gli stupidi da social, insomma si son dati una socialmissione: il giornalismo che informa e forma, cosa che faceva orrore a Ennio Flaiano, «perché poi si mettono d’accordo». Ecco, Flaiano cinguettava aforismi, frasi formidabili nei suoi diari melanconicamente disperati. Sarebbe uno dei pochi a dare un senso a Twitter. È morto nel 1972, oggi avrebbe 117 anni.