Negli anni 70 Aurelio Peccei, un ingegnere dirigente Fiat, diede vita al Club di Roma, con l’obiettivo di studiare la compatibilità dello sviluppo umano con l’ambiente. Frutto del lavoro suo e degli scienziati raccolti attorno a lui, fu un libro famoso, I limiti dello sviluppo, nel quale si preconizzavano limiti invalicabili di sfruttamento delle risorse e di impatto ambientale, con toni pessimistici e previsioni, per fortuna in gran parte non realizzatesi.
Succede spesso che scienziati precursori sbaglino le loro previsioni, ciò nulla toglie alla sfida anche intellettuale contenuta in quel libro, ne’ alla sua attualità. I temi e il linguaggio, l’apparato iconografico, poi trasfusi in libri, film o documentari negli anni successivi, gli stessi dei movimenti ambientalisti degli anni 80 e 90, prendono spunto da lì.
E’ di questi giorni la notizia che, già nel mese di agosto, l’umanità avrebbe consumato energie e risorse pari a quelle prodotte dalla terra per tutto l’anno in corso. Per soddisfare l’attuale trend di crescita, sottolineavano i giornali, servirebbe una terra e mezzo, almeno…..
Ho perciò’ letto con attenzione le tesi dei c.d. paladini della “descrescita”, in particolare l’articolo di Maurizio Pallante, fondatore del movimento per la decrescita felice. Spiace constatare che, in particolare dagli economisti ortodossi, persone come Pallante siano emarginate e le loro tesi più che confutate irrise, con superficialità e spocchia accademica. Il de davanti alla parola crescita è sentito come la profanazione di un tabù, mentre è sotto gli occhi di tutti il problema dello squilibrio ecologico a livello planetario.
Pallante non è un pauperista, ed è perfettamente in grado di distinguere fra bisogni essenziali e superflui. La sua non è la critica romantica alla società industriale e nemmeno una utopia bucolica. Come dargli torto quando ci ricorda, a mo di esempi, che le famiglie americane buttano il 40% del cibo che acquistano, mentre in Italia il cibo che si butta ha un valore pari al 2% del PIL. Nelle case italiane si consuma energia tre volte di più che in quelle tedesche, un evidente spreco dovuto alla cattiva coibentazione e a eccessi calorici. In ambedue i casi non si assolvono bisogni essenziali, ma superflui. E’ possibile tagliarli, consumare meno a parità di benessere? La risposa, secondo Pallante, è sì, la decrescita è possibile riducendo la produzione e il consumo di merci che non sono beni e aumentando la produzione e l’uso di beni che non sono merci, come quelli relazionali. Usare tutta la migliore tecnologia finalizzata alla riduzione del consumo di risorse e recuperare le materie prime contenute nei beni dismessi.
Un abbecedario del buon vivere in armonia con la natura, che non ha niente a che fare col pauperismo, molto con la qualità della vita e il rispetto dell’ecosistema dal quale dipendiamo.
Riflettendo su questi temi e sulle forti resistenze di molti a cambiare modo di ragionarvi, emerge con tutta evidenza come il mondo occidentale persegue un modello (che purtroppo anche le Tigri asiatiche e l’America latina stanno facendo loro) in cui la pigrizia individuale e la resistenza culturale al cambiamento di paradigmi improntati alle “sorti magnifiche e progressive” sono ancora molto diffusi e tenaci.
Una battaglia antica che finora è risultata perdente contro il progresso inteso come crescita economica lineare e irreversibile, nella quale si confonde qualità di vita col reddito procapite.
Ma, come tutte le cause giuste, magari inavvertitamente, questa finirà per avere la meglio, speriamo prima del medio evo prossimo venturo da molti preconizzato.