Pubblico stralci della lunga intervista concessa al Fatto da Rino Formica, fra i più sottili e acuti protagonisti della Prima Repubblica. Quella di Formica è una ricostruzione in biblico fra storia e autobiografia. Formica non è uno storico, parecchi giudizi sono ricostruzioni compiacenti o giustificazioni a posteriori o non richieste, Ciò nonostante l’articolo merita una riflessione sui cinquantanni che vanno dalla ricostruzione post-bellica a Tangentopoli, utile per capire il presente. Come giovane amministratore socialista e dirigente regionale dell’allora PSI ho avuto la possibilità di conoscere Formica e di vivere quelle pagine, dall’ascesa del Midas Hotel alla rovinosa caduta, col lancio delle monetine, davanti ad un altro all’hotel, il Raphael in Roma. E’ forse vero, come sostiene Formica, ancora risentito, che chi lanciava quelle monetine le aveva a sua volta rubate. Resta ad ogni modo sottile la distinzione che Formica fa fra “ricerca illegale di risorse” da parte dei partiti e l’odierno “rubare” per sé della “casta politica”, poiché sempre di illegalità si tratta. Circa la genesi di Tangentopoli, Formica aveva in passato parlato di “complotto americano” dopo i fatti di Sigonella; ora la sua analisi è più articolata. Resta un fatto: nessuno di noi aveva capito il significato profondo della caduta del Muro di Belino, né previste le sue conseguenze. Sarebbe onesto ora ammetterlo. D’un colpo cadeva la ricerca di autonomia a sinistra dei riformisti socialisti, e la maschera di pretesa indipendenza del PCI da Mosca. Senza il patto “ad escludendum” e il superamento della guerra fredda il quadro si riprendeva la sue libertà e la società italiana, sconcertata e senza guida, avviava la sua giustizia sommaria, affidandosi al “salvatore” di turno. L’intervista contiene una novità: quella secondo la quale Craxi si esiliò per paura di essere ucciso. Nessuno ne ha mai parlato finora. Ucciso da “chiunque, ovunque”, dice Formica. Per odio? Per paura che parlasse? Sono domande che restano senza risposte.
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Lei è stato ragazzo, a Bari, durante il Fascismo.
Anticipai la licenza liceale: bisognava accelerare. S’intravedeva già nel ‘42 la fine del Fascismo, la preoccupazione era capire che cosa sarebbe successo dopo. Ebbi la fortuna, nel liceo scientifico che frequentavo, di avere professori molto bravi, tra cui l’antifascista Ernesto de Martino. E un professore di religione che fu poi l’ispiratore spirituale di Aldo Moro, monsignor Mincuzzi. Ricordo che nel 1942 portai a scuola un opuscolo delle edizioni Avanti (il programma dei comunisti di Bakunin). Lo avevo trovato nella libreria di mio padre. Il professore di tedesco, un fascista critico, trovò il libro, e con fare paterno mi disse: ‘Guarda che te lo devo sequestrare’. Ma dopo avermi dato uno scappellotto mi disse: ‘Ti segnalerò al professore di religione’.
Che c’entrava il professore di religione?
Mincuzzi aveva il compito di tutelare i dissidenti. E fu così che dopo l’ora di religione mi chiamò e mi disse: ‘Ma che fai il comunista?’ e io: ‘Veramente mio padre è socialista e repubblicano’. Mincuzzi mi invitò in Arcivescovado dove incontrai un giovane professore, Aldo Moro: mi fece una lezioncina spiegandomi che era giunto sì il momento per una scelta politica, ma non doveva essere di partito. Dovevamo orientarci per una svolta istituzionale. Ma non avrei seguito questo consiglio: successivamente aderii al Partito socialista. Non fu facile, perché quando il 18 novembre 1943 mi presentai alla sezione del Partito in via Andrea da Bari, non trovai disponibilità all’accoglimento. Ebbi un primo scontro con il Collegio dei probiviri.
Perché, non la volevano?
I compagni della Commissione mi sottoposero a un lungo interrogatorio: ‘Perché ti iscrivi al Partito socialista? Perché ti iscrivi a un partito di sinistra? Perché non continui a studiare?’. Perfino: ‘Ma la ragazza non ce l’hai?’. Io risposi irritato: ‘Ma che c’entra la ragazza, è incompatibile con il socialismo?’. Dissi che mio padre era ferroviere, le obiezioni caddero: due dei tre probiviri erano ferrovieri!
Poi finisce la guerra.
Nel ‘43-‘44 assumo la segreteria provinciale della Federazione giovanile socialista e alla liberazione di Roma, nel ’44 sono chiamato a Roma da Matteo Matteotti. Nel luglio del ‘45 con il Congresso costitutivo della Federazione giovanile socialista, entro nel ristrettissimo esecutivo nazionale. Avevo 18 anni.
E gli studi?
Mi iscrivo a Ingegneria. Ma nell’ottobre 1945, Rodolfo Morandi, vicesegretario nazionale del partito, convocò la segreteria della Federazione Giovanile che aveva una linea ostile, da sinistra, a quella del partito e di Nenni.
Prendendola alla larga ci disse: ‘Voi personalizzate troppo; non riuscirete mai a fare vera e giusta politica. La politica è una missione dove si deve usare il noi e non l’io’ . Queste parole aprirono tra noi giovani una lunga riflessione al limite del ‘ religioso’ sulla funzione della politica nella nostra vita. Una scelta di vita coerente poteva essere vissuta solo con il massimo della spersonalizzazione: allora ci convincemmo che la personalizzazione nella politica è una forma degenerativa che distrugge gli ideali. A questa convinzione, che nacque sul filo del ragionamento di Morandi, la mia generazione è rimasta fedele.
Profetico! E questo come influenzò i suoi studi?
Morandi terminò così il ragionamento: ‘ Per una buona politica non è sufficiente la spersonalizzazione, bisogna studiare in funzione della missione politica, se ci credete. Se non ci credete lasciate la politica’ . Fu così che cambiai facoltà e mi iscrissi a Economia e Commercio: si trattava di materie più aderenti alla missione politica.
Prima di diventare senatore, nel ‘68, cosa fa?
Ho una tormentata esperienza dei movimenti politici socialisti. Partecipo a tutte le scissioni: Palazzo Barberini nel ’47, la lacerazione del Psli nel ’48, la costituzione del Psu nel ‘ 49, la formazione di Cucchi e Magnani nel ‘ 50, il ritorno nei socialdemocratici nel ’52, la scissione del Mup nel ‘ 59, e dal ‘ 60 partecipo a tutte le battaglie autonomiste riformiste del Psi sino al 1994.
Ignazio Silone l’ha conosciuto?
Nel Psu, Silone era il segretario del partito e io della Federazione giovanile. Ogni lunedì ci convocava. Un giorno discutemmo a lungo dei rapporti tra socialisti e comunisti e io gli chiesi: ‘ Perché non ci parli della tua esperienza nel Comintern con Togliatti e Stalin?’ . Lui rispose non rispondendo. Con una breve frase enigmatica soddisfò la mia curiosità. Disse: ‘ Di queste cose non parlo, perché vengo da un Paese in cui il lutto si porta a lungo. Però attenti, voi siete giovani: il momento tragico sarà quando gli ex comunisti saranno più dei comunisti’ .
Torniamo a lei.
Nel ’72, dopo il congresso di Genova, assumo la responsabilità dell’organizzazione del Partito e nel ’76 quella della segreteria amministrativa, che allora in tutti i partiti politici era considerato il posto più delicato della gestione interna. Nell’assumere l’incarico chiesi al compagno Craxi e ai compagni che avevano guidato la svolta del Midas, di impegnarsi perché il posto di Segretario amministrativo fosse sempre ricoperto da chi non godeva della immunità parlamentare. Allora non ero parlamentare e pensavo che per rimettere ordine nelle finanze dei partiti era necessario giocare senza rete.
Craxi cosa rispose?
Fu d’accordo. Nel ’75, un anno prima del Midas, avevamo convocato la conferenza nazionale dell’organizzazione del partito a Firenze. Si aprì una riflessione tra tutti i partiti perché si notava una lenta ma continua degenerazione nel rapporto partiti- istituzioni: una tre giorni in cui si parlò il linguaggio della verità. Leggendo la rassegna stampa di quell’evento è impressionante vedere come tutti i problemi di ieri sono oggi declinati in peggio. Furono i socialisti a lanciare l’allarme sull’esaurimento del modello di partito tradizionale chiuso, verticistico e disciplinato senza canali di comunicazione con una società che avanzava al di fuori delle caserme dei partiti. Da quella discussione non nacquero soluzioni coerenti.
Cosa intende per modello di partito tradizionale?
L’organizzazione di partito era nel dopoguerra una formazione che viveva nella separatezza: centralismo democratico, disciplina di partito anche nelle istituzioni, giustizia domestica (il lecito e l’illecito era sanzionato in casa) selezione del personale politico per fedeltà al partito, riservatezza assoluta nella raccolta delle risorse. Questo era il modello di tutti i partiti grandi e piccoli di sinistra, destra e centro.
Dove ha sbagliato la sua generazione?
Siamo stati cattivi maestri dei nostri figli. Abbiamo voluto metterli al riparo delle nostre amarezze, dalle dure esperienze di una maturità senza giovinezza, li volevamo giovani e liberi per un periodo lungo e senza fine. Era un modo per poter vivere la nostra mancata giovinezza.
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Anche Craxi fa parte di quella generazione che non ha sofferto?
No. Craxi non è stato soltanto lottato dai suoi nemici, ma è stato abbandonato dai craxiani degli anni 80, quelli che non avevano sofferto.
Capitolo Tangentopoli.
Mani Pulite nasce con gli eventi internazionali dell’ 89. È la fine del socialismo senza democrazia (il comunismo). In occidente, patria del compromesso socialdemocratico (capitalismo democratico+ distribuzione delle risorse pubbliche ai lavoratori e alle imprese), si ritiene sia giunto il momento di sostituire la giustizia sociale con la giustizia di mercato. Viene imboccata una strada ad alto rischio: a) esportare nei paesi dell’est il capitalismo; b) trascurare la riconversione democratica del socialismo reale; c) liquidare lo stato del benessere in nome della crisi dello stato fiscale; d) trasformare la democrazia partecipata in decisionismo autoritario.
Va bene: cambia il mondo. Ma non c’è solo questo.
La sinistra, il movimento democratico italiano, non è pronto. Deve affrontare un doppio fallimento, il fallimento del comunismo come socialismo senza democrazia, e la fine del compromesso socialdemocratico. La crisi dello stato fiscale e l’alto costo del compromesso sociale, porta il capitalismo a ritenere di non avere più bisogno del compromesso socialdemocratico. Il capitalismo ritiene che divorziando dalla democrazia possa liberarsi dal vincolo politico. È un’illusione, perché dovrebbe togliere alla politica il governo e dovrebbe avere la forza di chiudere il Parlamento.
Scusi, e la corruzione?
La corruzione dei singoli per fini propri è materia diversa dalla ricerca di risorse da parte dei partiti. Nel compromesso sociale tra governi, imprese e mondo del lavoro, vi era un’area grigia che riconduceva all’utilizzo delle risorse.
Un modo molto elegante per dire che si rubava.
Il verbo rubare è improprio. Nel vocabolario è spiegato così: ‘Sottrarre oggetti di proprietà altrui con astuzia, sotterfugio e inganno’. Tra il 1945 e il 1992 i partiti raccolsero senza astuzia, senza inganno e senza sotterfugio, fondi per una istituzione costituzionalmente garantita (art.49 Costituzione) e per una alta finalità (costruire l’ordine democratico repubblicano).
Tutti colpevoli, nessun colpevole. Non avete mai ammesso di essere tutti colpevoli.
La raccolta dei fondi avvenne anche con l’utilizzo proporzionale delle forze elettorali e del potere di governo nazionale e locale. Ciò andò oltre i limiti consentiti dal rispetto della legge e avvenne con la compiacenza del mondo imprenditoriale, e dell’informazione e della magistratura. Intorno a questo nucleo di verità deve esercitarsi una seria e profonda ricerca critica su la vita di tutti i partiti politici nella fase di costruzione dello Stato repubblicano. Vi era inoltre il finanziamento esterno: gli americani pensavano alla Dc, l’Urss pensava al Pci e solo in parte al Psi sino al 1959. L’Eni di Mattei rafforza questo schema che vede la liceità del finanziamento dei partiti con risorse pubbliche. E oggi? Dopo Mani Pulite, i partiti storici sono scomparsi: l’attività politica è passata nelle mani dei partiti personali e dei singoli operatori elettorali che hanno drenato risorse in ogni campo con ‘astuzia, inganno e sotterfugio’. Questa è la differenza tra ricerca illegale di risorse praticate dai partiti tra il ‘45 e il ‘92 e il rubare delle caste politiche di oggi. Se si chiarisce questa differenza, sarà facile affrontare il tema della separazione in corso tra politica e democrazia e tra utopia dei fini e cinismo dei mezzi.
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Torniamo a Mani Pulite. Quand’è che vi accorgete che di lì a poco il sistema, compreso il vostro partito, sarebbe stato completamente spazzato via?
Nel ‘ 75 abbiamo detto: qui siamo a un punto di non ritorno. Punto. Che cosa è avvenuto nel ‘ 92-‘ 94? Tra il ‘ 92 e il ‘ 94 i mutamenti internazionali cambiano gli equilibri politici anche nel nostro Paese. Il 20 gennaio ‘ 92 Cossiga scrive al Popolo una lettera in cui annuncia le sue dimissioni dalla Dc e indica una nuova prospettiva politica. Craxi mi chiede di scrivere il fondo dell’Avanti! sulla lettera di Cossiga. Uscì con questo titolo: ‘ Preannuncio di Nuova Democrazia’ . È brutto citarsi, ma in quella nota c’ è la risposta alla sua domanda.
Parlando di cose più spicce, nel ‘93 Craxi in Parlamento fa il famoso discorso del cestino…
…e il sistema non risponde. Alla domanda di Craxi: ‘ Abbiamo fatto così, siamo pronti a smettere?’ , nessuno fiata. Ma non poteva farlo un partito solo, lo dovevano fare tutti. Oggi possiamo dire che chi buttava monetine lanciava qualcosa che aveva rubato. Chi alzava il cappio in Parlamento e indossava i guanti bianchi, oggi deve rispondere alla giustizia per le malefatte compiute in questo ultimo ventennio. Si vestivano da epuratori mentre erano già epurabili. Non si tratta di voler tutti colpevoli. Quando una trasgressione individuale e sporadica diventa generalizzata e radicata, è una grande questione nazionale di costume civile, di cultura o subcultura politica e sociale.
Si dice che uno dei problemi del paese è stata la mancanza di epurazioni: dopo il Fascismo e dopo Mani Pulite.
Epurazione è una parola da usare con cautela. Spesso è stata usata per vendetta e non per giustizia. Nel dopoguerra abbiamo visto epurabili che hanno epurato gli epuratori. Anche la rivoluzione dopo gli attimi di gloria e di esaltazione della purezza deve ricorrere al personale antirivoluzionario. La rivoluzione è una rottura dell’ordine politico, civile e sociale che deve aprire il passo al ‘ riformismo di pace’ . La rivoluzione continua, è la follia dei fanatici. L’amnistia è l’unica forma di pacificazione realizzata con la forza della legge. De Gasperi, Togliatti e Nenni furono lungimiranti. Chi parlò di rivoluzione tradita (e anch’io con i giovani socialisti ero tra questi) mise veleno nelle pieghe della Storia. Nella stagione del terrorismo riapparve la funesta bandiera della rivoluzione tradita.
L’Italia non è un Paese di rivoluzioni.
Dopo l’ultimo ventennio, la lezione che dovremmo imparare è che saremo, per forza, costretti a introdurre cambiamenti copernicani senza fare rivoluzioni. Nel ‘ 92 si capì bene che la miseria della lotta politica aveva vinto. D’Alema, Occhetto e Veltroni, che avevano la guida della sinistra sopravvissuta, avevano un unico problema: eliminare i socialisti e Craxi. Allora andava bene tutto, anche in sede locale accordarsi con i dorotei o con Tatarella, come D’Alema fece in Puglia. Una mossa che non stava nella grandiosità del duello a sinistra tra vecchi socialisti e comunisti.
Craxi si è autoeliminato scappando.
Craxi non scappò: andò via con un passaporto. Sulla scelta dell’esilio ebbi con Craxi una discussione. Gli dissi: siamo in presenza di una ribellione. La prima cosa che bisogna fare è stare sul posto e affrontare tutto. Ma in lui giocò un elemento squisitamente personale, la paura di essere ucciso.
Ma da chi?
Da chiunque. Ovunque. Non è questione di senso di colpa o cose del genere. Era una suggestione che lo ha reso debole. Il suo errore è stato avere, nella gestione dell’esercito che lo seguiva, una visione ottocentesca e non moderna. La cassa di Garibaldi, per capirci. La cassa era comune: si provvedeva al matrimonio di un capitano, alle armi, al compleanno di un tenente. La tecnica comunista era la compartimentazione, molto più moderna. Allora è stato facilissimo. Se lei prende dal volume su Mani Pulite scritto dai colleghi del suo giornale Travaglio, Gomez e Barbacetto troverà l’elenco degli imputati eccellenti. E noterà che l’unico che riceve una condanna per ogni singolo fatto, non in continuità, è Craxi. Quell’elenco grida vendetta al cielo.
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Com’è che Mani Pulite ha prodotto Berlusconi?
Berlusconi fu svelto. Mise al servizio di Mani Pulite le tv e diede a intendere che non era figlio del sistema. Ma in seguito non gli andò bene perché l’intreccio con il sistema era molto profondo.
Era agganciato prevalentemente al carro vostro.
Non è giusto. Gli unici che furono ostili alle televisioni di Berlusconi, furono i demitiani, in ragione della guerra interna con i forlaniani. Che fece il Pci per fermare il potere di Berlusconi?
Ma al governo c’eravate voi.
Il decreto fu predisposto da Amato e approvato da tutto il governo pentapartito.
La politica è ancora sangue e merda?
Purtroppo non è lo più per come lo intendevo. Sangue è passione, merda è contaminazione. Una contaminazione in cui il fine era molto più importante dello strumento. Lo strumento era funzionale. Più grande era il fine, più tollerabile era la contaminazione. Siamo senza il fine. La contaminazione ha prodotto più sterco. La passione manca del tutto. Inoltre oggi vi è un contesto fortemente mutato. L’avanzare di un capitalismo senza democrazia sta producendo una nuova forma di democrazia: la democrazia affidataria: l’affidato è il popolo desovranizzato, un soggetto inabile, l’affidante è chi ha il potere del vincolo estero, oggi è la Bce. Ma anche Draghi si illude di essere il vero sovrano. Ed è l’affidante provvisorio che ha scelto l’affidatario, anche egli provvisorio, che per ora si chiama Renzi.
L’errore è stato l’euro?
L’errore è stato entrare a quelle condizioni senza un rafforzamento immediato delle istituzioni politiche. L’unificazione solo della moneta è precaria e insufficiente.
Lei è sempre ricordato per le sue fulminanti definizioni come l’assemblea del Psi ridotta a ”nani e ballerine”.
È un apprezzamento di cui mi pento se devo paragonare gli eccellenti professori universitari e gli straordinari personaggi del teatro e del cinema di ieri con i grigi amministratori delle unità sanitarie delle municipalizzate e le veline-cubiste di oggi.
Matteo Renzi
È il motorino d’ avviamento di una centrale atomica che lo brucerà a breve. Non ha un pensiero politico, è una carica di energia. Servirà ancora qualche mese, poi la Chiesa lo farà fuori. La sua politica, che persegue la giustizia del mercato, contraddice il pensiero della dottrina sociale cattolica. E non è nemmeno in condizioni di servire al capitalismo a sganciarsi dalla democrazia: non ha abbastanza forza. Renzi non si è accorto che a ogni forzatura autoritaria, corrisponde un’ espansione del fronte largo di difesa della democrazia parlamentare, qualcosa che va oltre l’ostilità alla legge elettorale e alla riforma del Senato. Può diventare un moto indomabile di liberazione che travolgerà il suo partito e i suoi alleati. Uomini di Chiesa, borghesia impoverita, lavoratori stremati e giovani senza futuro sono in allerta.
Silvia Truzzi per il “Fatto Quotidiano” 30.4.2015