Se c’è una costante nella filmografia del regista tedesco Werner Herzog, questa è la ricerca della verità. Per quanto strani possano essere i suoi documentari più recenti o le opere di finzione che lo hanno reso famoso, Herzog cerca sempre l’autentica essenza di ciò che narra. Diventa logico, quindi, comprendere l’interesse che prova per la sua ultima produzione, Family Romance LLC, così realistica da essere confusa dalla rivista Variety con un documentario sull’omonima società giapponese che “dispensa illusioni” (falsi familiari, premi fittizi, sostituti di un marito troppo ebbro) per migliorare la vita dei propri clienti. “Non sono bugie, ma rappresentazioni artificiali”, puntualizza il regista dalla sua casa di Los Angeles, dove si trova in isolamento a causa della pandemia.
Quest’uomo che, tra i tanti avventurosi viaggi, ha risalito il Rio delle Amazzoni in Aguirre, furore di Dio (1972), ha attraversato la selva peruviana in Fitzcarraldo (1982) e ha girato intere scene a ridosso di un vulcano dei Caraibi in La Soufrière (1977) non sembra particolarmente a disagio tra le quattro mura del suo studio. È circondato dai libri, ai quali in questi giorni ricorre più che al cinema; adora le videoconferenze che gli permettono di rimanere in contatto con il mondo, bucando letteralmente lo schermo, senza occhiali, un pizzico di vanità per uno che, confessa, non si guarda mai allo specchio. La pandemia lo ha colto con il prossimo documentario già pronto e in attesa che il suo nuovo film venga lanciato, in modalità virtuale e su diverse piattaforme digitali. “Family Romance LLC è un film. Punto. Non sconfina nel documentario. È stato scritto, interpretato e diretto. Il suo tono è così autentico che è facile pensare che si tratti di un documentario. Ma tutto quello che succede lì è frutto della mia invenzione”, sottolinea con veemenza.
Un uomo puntiglioso come Herzog ci tiene a precisare che in realtà l’idea non è stata sua ma di Roc Morin, uno dei suoi alunni alla scuola di cinema The Rogue Film School che aveva scoperto la storia dell’azienda giapponese ma che non aveva avuto il coraggio di girare una storia che avrebbe rapito letteralmente il maestro. “Giro i miei film mosso dall’immediatezza e le cose mi sono state chiare sin dall’inizio… Non è un fenomeno giapponese. Loro sono soltanto un po’ più avanti. Questo parla della nostra civiltà!”.
La necessità di immediatezza lo ha portato a girare a Tokyo tre mesi più tardi. Ha fatto quello che dice sempre ai suoi alunni: “Non aspettare che Hollywood ti offra qualcosa. Nessuno verrà da te con 120 milioni di dollari per farti girare il tuo prossimo progetto. Rimboccati le maniche e fai del cinema guerriglia. Oggi si può fare cinema con pochi soldi. Sono voluto tornare alle mie origini, ai giorni di Aguirre, furore di Dio, quando non sapevi dove ti avrebbe portato la prossima ansa del Rio delle Amazzoni. Family Romance LLC è un’idea fantastica e quando è così devi lasciarti guidare dal film”.
Questa volta il suo Klaus Kinski è il vero proprietario della società, Yuichi Ishii, che interpreta se stesso o, come spiega il regista, interpreta una versione di questo pavido giapponese sulla trentina: perché, insiste, è tutto una invenzione. Anche i dialoghi sono pura invenzione ma sono stati girati totalmente in giapponese (lingua che il regista non parla) per garantire una maggiore naturalezza; inoltre ha permesso che i non attori, per la maggioranza dipendenti di questa società, improvvisassero i loro dialoghi. Nonostante fosse affiancato da un’interprete, Herzog si è fatto guidare dal suono delle conversazioni. “In tutta la mia filmografia c’è una rivolta al cinema canonico. Anche quando ho lavorato con Nicole Kidman, Christian Bale o Nicolas Cage. Ho girato circa 74 film in una cinquantina di anni. E fare così tanto cinema mi ha insegnato a fare cinema. A farlo bene e a farlo velocemente”, sintetizza.
Quando parla di cinema gli si illumina lo sguardo. Un gran conversatore, o forse un tremendo bugiardo che trova gusto nel raccontare le sue mascalzonate, l’assenza dei permessi per girare a Tokyo, i titoli di coda del tutto inventati – consulenza legale inclusa, “sono sempre stato l’avvocato di me stesso”. Gli piace vantarsi di non aver girato più di 350 minuti di video per un film di un’ora e mezzo, quando qualsiasi altro regista avrebbe avuto bisogno dalle 300 alle 3000 ore. “La maggior parte di quello che si vede nelle grandi produzioni viene ingigantito. Non servono troupe di 150 persone”. Da questo nascono i cambiamenti prodotti dalle piattaforme, afferma. E, considerando l’attuale pandemia, pronostica: “Il cinema continuerà a esistere per altri cento anni. Ma quello che vedremo sarà soggetto a profondi cambiamenti”.
Forse questa stessa parlantina gli ha permesso di recitare in film insieme a Tom Cruise (Jack Reacher) o, più recentemente, con il Bambino (meglio conosciuto come baby Yoda) in The Mandolarian. Nonostante sostenga di aver interpretato questo ruolo per pagare il suo film, finanziato di tasca propria, oggi smentisce. “È chiaro, qualcosa ci ho guadagnato anche io ma in quel momento avevo già fatto le riprese e il film era già pronto”, spiega per niente innamorato della sua interpretazione. “Sono sempre io il cattivo. Nessuno mi assegna mai una commedia, nonostante i miei film contengano molto umorismo”. Umorismo e argomenti importanti come la solitudine della società in cui viviamo. Non necessariamente la sua, visto che ammette di godersi una vita tranquilla insieme a sua moglie, Lena.
Ma come aveva già previsto negli anni Ottanta, ricorda che Internet, che tanto adoriamo e che tante porte ci ha aperto sul mondo, ci ha portato a perdere il contatto con gli altri, cioè ciò che ci rende umani. Una ricerca che, sottolinea, fa parte della sua filmografia a partire da L’enigma di Kaspar Hauser fino a Fitzcarraldo e, ora, con Family Romance LLC. “Detto questo, non faccio cinema come critica sociale. Faccio cinema perché mi piace raccontare. Ciò non toglie che io mi ponga grandi interrogativi come, ad esempio, se questa pandemia riattiverà il nostro contatto umano”.
Articolo di Rocío Ayuso
*L’articolo è stato pubblicato in origine su “El Pais”; traduzione di Lucrezia Ballerini, cura e revisione di Mercedes Ariza. Tratto dal sito www.pangea.news