“Il mio vero nome è Giovanni Luigi Brera. Sono nato l’8 settembre 1919 a San Zenone Po, in provincia di Pavia, e cresciuto brado o quasi fra boschi, rive e mollenti“.
Una frase piena di musica e di sentimento. O, se vogliamo, un dipinto realizzato con precise pennellate con l’uso del colore che solo un grande pittore riesce a dosare. E allora, ci sono paesaggi, pietanze e tante storie non solo sportive, originate dalla realtà che diviene fantasia. Una creatività capace di trasformare una pedalata in un gesto da imitare, da seguire in primo piano come quelle espressioni del volto che già da sole indicano stati d’animo o speranze.
Un libro di Gianni Brera (http://www.ibs.it/code/9788842820987/brera-gianni-zzz99-mura/principe-della-zolla.html) è sempre una risorsa e una nuova scoperta. Una miniera di idee, di invenzioni letterarie e di geografie umane. A San Zenone c’era l’artigiano Carlo Brera, padre di Gianni. La sua bottega si apriva sulla pubblica via. “Siamo poveri, non miserabili” diceva Carlo di se stesso e della sua famiglia. E da queste origini il promettente Gianni cominciava a farsi strada raccontando la vita quotidianacon un linguaggio poi diventato unico.
La presentazione del figlio Paolo conduce per mano il lettore tra le nebbie padane e l’infanzia difficile del piccolo Giuanin, sognando grandi partite, corse in bicicletta e sogni con i piedi per terra. E con una semplicità degna di un realismo cinematografico conclude “a volte c’è anche un piacere di leggere ciò che lo scrittore ha avuto il piacere di scrivere“.
Proprio così, con pagine senza tempo, seppure datate, come quella dedicata a Meroni che sembra un ritratto estemporaneo di quelli che si fanno guardando negli occhi il soggetto per entrare nella sua testa, nei suoi piedi, nella sua vita. Brera conquista il lettore con le sue parole mai messe a caso, tutte incastonate come fanno i bravi “mastri” con calce e cazzuola mattone dopo mattone. E poi mentre si sente il sapore del buon vino e l’odore della pipa ti parla di ‘Zio Gadda’ “né rivendico parentele di sorta con quel grandissimo intarsiatore di parole toscane riplasmate in lombardo che è zio Carlo Emilio. Qualche critico minchione, interessandosi alle mie nugae, ha addirittura trovato che gli sono nipote. Balle. Soltanto la cadenza, qualche volta, può riecheggiare Gadda, ma unicamente perché anch’io ho imparato un po’ di toscano a scuola, e quando si appartiene a una determinata ‘rassa’ non si sfugge al giro delle sue circonvoluzioni, al suo orecchio e persino alla sua laringe“.
E cosa dire di quel delicato ricordo al ciclista non ammirato abbastanza e non presente come la premiata ditta Coppi & Bartali, quel Toni Bevilacqua, “sciamannato fratello della mia riva. Il labbrone pendulo, la dentatura che le troppe polente non hanno scalfito, gli occhi tristi del bove nato per faticare, un ghigno astruso, divertito, matto, di servo della gleba che ha buttato la marra sulla rovere. Non più capitano di ventura; la vocazione dell’arrotino ha inventato per te evasioni frenetiche. Grande atleta sarai mulinando polpacci ipertrofici, piedoni avvezzi al loglio e alle stoppie“.
E’ davvero difficile scrivere di Brera perché riesce ancora ad esseresorprendente e innovativo.
Un Maestro a tutto campo e quel dialetto usato al punto e al momento giusto che diviene magicamente letteratura, autentica come un vitigno pregiato pronto a catturare la luce del sole. Brera è abile nel descrivere un mondo che non c’è più e che c’è ancora. Il termine ‘fatica’ compare molte volte in questi mirabili scritti. Ma si accorge, scrivendo, che quel piccolo mondo antico via via scompare tra la nebbia non più naturale, ma artificiale. Quella dell’opacità che tutto avvolge e al diavolo lo splendore dell’autenticità delle persone e dei luoghi. Ha ragione Gianni Mura, che ha curato questa raccolta, “ho fatto una scelta ‘fluviale’ perché Brera è stato un grande fiume senza mai problemi di siccità. Molto generoso nel dissetare, attento a non premere troppo sugli argini, carico di sedimenti, cose e voglia di andare. Posso ammetterlo solo alla fine: ho scelto col cuore”.
‘Un grande fiume’ che ha saputo trasportare tutte le possibili emozioni di uomini, paesi, gesti e comportamenti. Attento al dettaglio, annotando anche le piccole cose che i ‘piccoli’ tralasciano. E in quelle piccole cose si è sviluppata tutta la sua maestria letteraria, divenendo un faro per chi ancora oggi prova a scrivere degli affari della vita, con il cuore.
Il Fatto Quotidiano di Antonio Capitano | 30 marzo 2015