IL MONDO SIA LODATO

8 Set 2017 | 0 commenti

 

UNA VOCE APPARTATA MA SINCERA, CHE RIFLETTE SULLE VICISSITUDINI DELLA VITA E SULLA FUGACITA’ DEGLI AFFETTI- LA POESIA DI MARCOALDI NEL POEMETTO IL MONDO SIA LODATO

 

Già una volta ho accostato Wislawa Szymboraka, premio Nobel per la poesia 1996, (ninconanco.it/marcoaldi/…) con Franco Marcoaldi.

Franco Marcoaldi

In una poesia di quest’ultimo, la poetessa polacca è direttamente chiamata in causa, a dimostrazione della consonanza di temi e di accenti fra i due. E’ nell’XI canto del poemetto Il mondo sia lodato, edito da Einaudi nel 2015:

 

“ A Cracovia una riservata signora,

che amava Mark Twain e Fellini,

gli animali, i collages e i nonsense,

 

allineava con infinita pazienza

nei suoi teatrini sonori

tutte quante le ore

in cui le domande si accrescono

e le risposte si offuscano.

Wislawa Szymboraka, premio Nobel per la poesia 1996

Che disperato incanto,

che stupore, per la riservata

signora di Cracovia,

ritrovarsi in casa

e non nel nido, ricoperta

di pelle e non di squame.

 

Verso dopo verso,

Wislawa la regina

disegnò un insolito reame

immaginando l’inimmaginabile,

che alberga nei miracoli

più comuni e ordinari:

non è cosa da poco, ripeteva,

che la mano abbia meno

di sei dita e più di quattro…

che la mucca sia proprio

una mucca… che una nuvoletta

svolazzante nasconda una luna

pesante ed incombente.

Davvero non c’è peggior peccato

che non stupirsi più di niente.

…..

Il poemetto di Marcoaldi è “una preghiera laica di intonazione francescana sulla bellezza e meraviglia del creato”, come si legge in quarta di copertina. E’ singolare il fatto che Marcoaldi non nasconda il debito che il suo lavoro deve nei confronti di altri autori, anzi, in una notarella finale, li riconosce esplicitamente. Evidentemente “echi ricordi e amnesie” fanno parte del suo bagaglio ed egli conosce bene la distinzione fra coloro che copiano e coloro che imitano, o meglio, nel suo caso, conservano affinità e suggestioni d’animo e fonti di ispirazione. Le radici affondano, così, disordinatamente, su un terreno dove compaiono Nietzsche, Victor Segalen, Georg Trakl, Walt Whitman, Carlo Rovelli, Fernando Pessoa, Rilke e Keats, Vasilij Grossman, e appunto la Szymborska.

Quando non eccede in aggettivazioni, che spengono come note ribattute la leggerezza del ritmo, assicurata dal dipanarsi discorsivo del verso e dalla rima casuale, il tono di Marcoaldi è sincero e convincente.

Il poemetto “attraversa l’amarezza delle cose umane nelle loro vicissitudini” in maniera toccante quando il poeta riflette su se stesso a la dimensione familiare.

Di seguito riproduco parte del III canto, incentrato sulla figura della madre. Segnalo la recente l’uscita, sempre presso Einaudi, dell’ultima raccolda di Marcoaldi dal titolo Tutto qui.

 

“Mondo ti devo lodare.

Per il Natale che mi hai regalato,

ritorno del divino, cerimonia

di cibo e di ricordi, di affetti

e ferite: non so né chi sono

né dove sono, mi dice mia

madre sull’orlo di abissi

mentali paurosi, però mi sorride.

Il suo vuoto diventa il mio vuoto

e insieme anneghiamo nel nodo

contorto di un amore materno

e filiale privato di logos

che s’alimenta di calore animale.

Ed è tutto un guardarsi, un toccarsi,

un festoso odorare le verdure

dell’orto-

profumato tributo

per lei scelto e raccolto.

Guardo il polso aggrinzito

adorno dell’orologio dorato

fermo da anni sulle tre meno dieci-

il suo cuore inceppato.

E le molle, il cilindro, il bilanciere?

E le gambe, il cervello, vene e arterie?

E i denti, quei denti materni

che vedo cederle in bocca

come hanno ceduto

nell’altra, arrugginita corona?

 

Vaneggiando, la mente collega…

Nel tuo altrove, ti prego,

tu porta pazienza e perdona.

Dopo pranzo sdraiati

sul letto, recitiamo preghiere.

Ave Maria, Padre Nostro

e la mia preferita di quando

ero piccino: “Angelo di Dio

che sei il mio custode, illumina,

custodisci, reggi e governa me…”

………..

E frattanto mia madre m’invita

a ripetere il gioco: la preghiera,

recitiamola ancora, ti prego,

ancora. Ancora. E sono due

tre mille volte: un mantra,

una nenia di suoni.

 

Ma appena cade il silenzio…

Dov’è la mia casa? Qual è la mia

casa? Devo tornare

subito a casa, ripete.

Veduta del lago di Orbetello dove vive Marcoaldi

Stringo forte la sua mano diafana,

accarezzo leggero quel viso

d’improvviso incagliato

in confuse domande,

concentrato nel singolo

chiccho di riso, separato

con cura dal resto del piatto:

uno a te, uno a me, uno a te, uno…

In quel piatto si annida

il grande marasma.

 

 

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