UNA VOCE APPARTATA MA SINCERA, CHE RIFLETTE SULLE VICISSITUDINI DELLA VITA E SULLA FUGACITA’ DEGLI AFFETTI- LA POESIA DI MARCOALDI NEL POEMETTO IL MONDO SIA LODATO
Già una volta ho accostato Wislawa Szymboraka, premio Nobel per la poesia 1996, (ninconanco.it/marcoaldi/…) con Franco Marcoaldi.
In una poesia di quest’ultimo, la poetessa polacca è direttamente chiamata in causa, a dimostrazione della consonanza di temi e di accenti fra i due. E’ nell’XI canto del poemetto Il mondo sia lodato, edito da Einaudi nel 2015:
“ A Cracovia una riservata signora,
che amava Mark Twain e Fellini,
gli animali, i collages e i nonsense,
allineava con infinita pazienza
nei suoi teatrini sonori
tutte quante le ore
in cui le domande si accrescono
e le risposte si offuscano.
Che disperato incanto,
che stupore, per la riservata
signora di Cracovia,
ritrovarsi in casa
e non nel nido, ricoperta
di pelle e non di squame.
Verso dopo verso,
Wislawa la regina
disegnò un insolito reame
immaginando l’inimmaginabile,
che alberga nei miracoli
più comuni e ordinari:
non è cosa da poco, ripeteva,
che la mano abbia meno
di sei dita e più di quattro…
che la mucca sia proprio
una mucca… che una nuvoletta
svolazzante nasconda una luna
pesante ed incombente.
Davvero non c’è peggior peccato
che non stupirsi più di niente.
…..
Il poemetto di Marcoaldi è “una preghiera laica di intonazione francescana sulla bellezza e meraviglia del creato”, come si legge in quarta di copertina. E’ singolare il fatto che Marcoaldi non nasconda il debito che il suo lavoro deve nei confronti di altri autori, anzi, in una notarella finale, li riconosce esplicitamente. Evidentemente “echi ricordi e amnesie” fanno parte del suo bagaglio ed egli conosce bene la distinzione fra coloro che copiano e coloro che imitano, o meglio, nel suo caso, conservano affinità e suggestioni d’animo e fonti di ispirazione. Le radici affondano, così, disordinatamente, su un terreno dove compaiono Nietzsche, Victor Segalen, Georg Trakl, Walt Whitman, Carlo Rovelli, Fernando Pessoa, Rilke e Keats, Vasilij Grossman, e appunto la Szymborska.
Quando non eccede in aggettivazioni, che spengono come note ribattute la leggerezza del ritmo, assicurata dal dipanarsi discorsivo del verso e dalla rima casuale, il tono di Marcoaldi è sincero e convincente.
Il poemetto “attraversa l’amarezza delle cose umane nelle loro vicissitudini” in maniera toccante quando il poeta riflette su se stesso a la dimensione familiare.
Di seguito riproduco parte del III canto, incentrato sulla figura della madre. Segnalo la recente l’uscita, sempre presso Einaudi, dell’ultima raccolda di Marcoaldi dal titolo Tutto qui.
“Mondo ti devo lodare.
Per il Natale che mi hai regalato,
ritorno del divino, cerimonia
di cibo e di ricordi, di affetti
e ferite: non so né chi sono
né dove sono, mi dice mia
madre sull’orlo di abissi
mentali paurosi, però mi sorride.
Il suo vuoto diventa il mio vuoto
e insieme anneghiamo nel nodo
contorto di un amore materno
e filiale privato di logos
che s’alimenta di calore animale.
Ed è tutto un guardarsi, un toccarsi,
un festoso odorare le verdure
dell’orto-
profumato tributo
per lei scelto e raccolto.
Guardo il polso aggrinzito
adorno dell’orologio dorato
fermo da anni sulle tre meno dieci-
il suo cuore inceppato.
E le molle, il cilindro, il bilanciere?
E le gambe, il cervello, vene e arterie?
E i denti, quei denti materni
che vedo cederle in bocca
come hanno ceduto
nell’altra, arrugginita corona?
Vaneggiando, la mente collega…
Nel tuo altrove, ti prego,
tu porta pazienza e perdona.
Dopo pranzo sdraiati
sul letto, recitiamo preghiere.
Ave Maria, Padre Nostro
e la mia preferita di quando
ero piccino: “Angelo di Dio
che sei il mio custode, illumina,
custodisci, reggi e governa me…”
………..
E frattanto mia madre m’invita
a ripetere il gioco: la preghiera,
recitiamola ancora, ti prego,
ancora. Ancora. E sono due
tre mille volte: un mantra,
una nenia di suoni.
Ma appena cade il silenzio…
Dov’è la mia casa? Qual è la mia
casa? Devo tornare
subito a casa, ripete.
Stringo forte la sua mano diafana,
accarezzo leggero quel viso
d’improvviso incagliato
in confuse domande,
concentrato nel singolo
chiccho di riso, separato
con cura dal resto del piatto:
uno a te, uno a me, uno a te, uno…
In quel piatto si annida
il grande marasma.