Mi è giunta la notizia della morte di Ilario B…… Si trovava a Roma per un incontro dei direttori dei conservatori musicali, una delle sue ultime cariche. E’ morto nel sonno in albergo. Mi chi è stato Ilario?
Un doroteo, si definiva lui stesso fregandosi le mani, un gesto che fatto da lui comunicava energia e sollecitudine. In origine è stato professore di disegno. Ma non era il suo mestiere, anche se i suoi allievi non ne parlavano male, forse per la forte carica comunicativa. Ben presto divenne amministratore in Comune di R…., poi per lunghi anni si impegnò nel mondo lucroso della sanità privata convenzionata. Stava giusto costruendo una nuova sede della casa di cura di cui era socio, in un posto che solo amministratori compiacenti potevano permetterglielo, su un terreno di un convento, mondo ecclesiale al quale non era estraneo. Uomo poliedrico, dunque, mai problematico, a tratti superficiale. Gli ostacoli li superava più che con la forza delle convinzioni e l’analisi dei fatti, con l’impeto e l’entusiasmo di fare, che erano i suoi tratti distintivi come uomo pubblico. Forse per questo non si pensò mai a lui come uno della prima fila, quando queste erano occupate da uomini come Bisaglia o Bernini, per rimanere in famiglia. Fu con me assessore nella giunta P….., ma lo era stato ancora prima; essendo io assessore alle Finanze mi industriai per coprire alcuni buchi da lui lasciati. In particolare per l’onorario di un famoso restauratore di Bologna, che aveva restaurato un bel dipinto che sta in una nicchia nel salone d’onore, un magnifico Cristo risorto di scuola belliniana. I fini in Ilario erano buoni, le strade che sceglieva impervie e a volte sul limite della legalità. Ma non perché gli piacesse profanare le regole, ma perché le regole in fondo sono delle bardature che noi stessi ci diamo per appesantire i nostri sforzi. Un discorso, questo, che ha nobili ascendenze filosofiche, ma poco adatto agli affari pubblici, anche ai tempi dei rimborsi a pie’ di lista o delle sanatorie di bilancio. Nel privato non lo conoscevo, una figlia, la moglie rigorosamente lontano da scene pubbliche. Si sussurrava di tresche amorose, ma forse erano solo chiacchere di provincia. Al contrario di parecchi suoi amici dorotei veneti, non credo fosse assoggettato al denaro, o peggio corrotto. Era un uomo di partito ma non di apparato; per la sua mentalità a volte semplicistica, credo avesse in uggia le burocrazie. Condusse una vita normale, senza sfarzi, si sentiva e definiva rigorosamente polesano, quindi erano forti il suo attaccamento alla terra e alle tradizioni. L’orizzonte per lui più lontano poteva al massimo essere Venezia, che rimaneva sempre la Serenissima. Credo sia stato fra quelli che vollero l’allestimento del Museo dei due fiumi, inaugurato con sfavillio da Vittorio Sgarbi, che abitava allora sulla sponda opposta del Po di Polesella.
Iliario è stato un personaggio di una provincia povera e arretrata, di un territorio ancora segnato dalla terribile alluvione del 1952, ma positivo, consapevole che il bene lo possiamo fare anche nel nostro piccolo, con pochi mezzi, ma con leggera, pervasiva volontà di vivere. La morte lo ha colto nel migliore dei modi, per non guastare con livide sofferenze il suo sorriso.