INCANTO E DISPERAZIONE

16 Dic 2019 | 0 commenti

Si dice che è l’astrattezza a rendere generalizzabile la poesia, poi però, in ogni verso, si ricerca il respiro della biografia più che della vita.

Nel caso di Wislawa Szymborska, fare grandi i suoi versi quasi fossero lo specchio di una vita sensazionale, è impresa destinata a fallire. Trasferitasi a Cracovia la sua famiglia che era ancora bambina, lì visse e morì. Ebbe, come lei stessa scrisse un “peccato di gioventù”, quello di sentirsi attratta dal realismo socialista. Poi due matrimoni, l’attività di redattrice e di saggista. Il premio Nobel nel 1966.

Piccola, grandi occhi, un filo di sorriso sempre presente, grande fumatrice. Viveva in case ricolme di oggetti piccoli e grandi, messi alla rinfusa, carte ovunque, vinta dalla necessità del superfluo. Così la ricorda Michal Rusinek, suo segretario personale, nel libro Nulla di ordinario, edito da Adelphi. Un’ombra che benevolmente l’ha accompagnata per vent’anni, fino alla morte della poetessa nell’inverno del 2012.

“Il 3 ottobre del 1996 l’Accademia di Svezia comunica a Wisława Szymborska che le è stato assegnato il premio Nobel. Da quel momento, lei così schiva, è costantemente sollecitata: arrivano lettere, telegrammi, manoscritti, richieste e proposte spesso del tutto incongrue. Il telefono squilla anche di notte. Si impone il supporto di un segretario. Quando Michał Rusinek, neolaureato ventiquattrenne, si presenta in casa sua, la trova sgomenta. «Allora» racconta «chiesi cortesemente un paio di forbici e tagliai il cavo. Il telefono smise di squillare. La Szymborska esclamò: “Geniale!”. E fu così che venni assunto» (dal risvolto del libro)

I critici dicono che, da un punto di vista epistemologico, prevale nella sua opera un “atteggiamento costantemente congetturale, un tratto ipotetico, rispondente alle infinite possibilità in cui può concretizzarsi l’essere”. Oppure, che la sua forza poetica nasce dalla “condensazione aforistica, nella capacità di sintetizzare un più ampio ragionamento filosofico ed esistenziale in una breve illuminazione lirica”. Ma sono complicazioni interpretative che nulla aggiungono e che, soprattutto, non spiegano il costante successo editoriale, che la sua opera ha, un caso più unico che raro nel panorama della poesia contemporanea.  

La poesia di W.S. è fatta con parole leggere, non sentenzia, nè scava o sforza, non pretende se non un po’ di attenzione, una purezza nello sguardo vicina al suo, ma pronti a seguirla nel paradosso, nella ironia spiazzante.

Nella prima poesia che riporto, Scrivere un curriculum, tratta dalla raccolta Vista con granello di sabbia, un verso pare sinterizzare la poetica di W.S. Questo: “Scrivi come se non parlassi mai con te stesso e ti evitassi.”

La seconda, dal titolo Il 16 maggio 1973, tratta da La fine e l’inizio, la vita viene descritta come “Tanti puntini tra parentesi”,….. Mi sarebbe più lieve pensare/Di essere morta per poco,/piuttosto che ammettere di non ricordare nulla/benché sia vissuta senza interruzioni. “

Sempre sulla W.S. potete trovare in questo sito un pezzo che la riguarda: https://www.ninconanco.it/il-respiro-e-nei-dettagli/

Scrivere un curriculum

Che cos’e’ necessario?
E’ necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.
A prescindere da quanto si e’ vissuto
e’ bene che il curriculum sia breve.
E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Conta di piu’ chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perche’.
Onorificenze senza motivazione.
Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.
Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.
Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l’orecchio in vista.
E’ la sua forma che conta, non cio’ che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.

Il 16 maggio 1973

Una delle tante date

Che non mi dicono più nulla.

Dove sono andata quel giorno,

che cosa ho fatto – non lo so.

Se lì vicino fosse stato commesso un delitto

– non avrei un alibi.

Il sole sfolgorò e si spense

Senza che ci facessi caso.

La terra ruotò

E non ne presi nota.

Mi sarebbe più lieve pensare

Di essere morta per poco,

piuttosto che ammettere di non ricordare nulla

benché sia vissuta senza interruzioni.

Non ero un fantasma, dopotutto,

respiravo, mangiavo,

si sentiva

il rumore dei miei passi,

e le impronte delle mie dita

dovevano restare sulle maniglie.

Lo specchio rifletteva la mia immagine.

Indossavo qualcosa d’un qualche colore.

Certamente più d’uno mi vide,

Forse quel giorno

Trovai una cosa andata perduta.

Forse ne persi una trovata poi.

Ero colma di emozioni e impressioni.

Adesso tutto questo è come

Tanti puntini tra parentesi.

Dove mi ero rintanata,

dove mi ero cacciata –

niente male come scherzetto

perdermi di vista così.

Scuoto la mia memoria –

Forse tra i suoi rami qualcosa

Addormentato da anni

Si leverà con un frullo.

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