LA SUA QUALITÁ ERA ESATTAMENTE QUELLA DI NON AVERE QUALITÁ, DI NON ESSERE MISURABILE E DIVISIBILE PERCHÉ TUTTO QUANTO SI MISURA E SI DIVIDE HA UN PRINCIPIO E UNA FINE. CLARICE L’ETERNA….
Non ricordo più qual è stato il nostro inizio. So che non abbiamo iniziato dall’inizio. Già era amore prima d’esistere- Ciò che mi tormenta è che tutto è “per ora”, niente è “per Sempre”
La libertà che a volte sentiva non veniva da riflessioni nitide, ma da uno stato fatto di percezioni troppo organiche per essere formulate in pensieri. Talora, in fondo alle sensazioni balenava un’idea che le dava una vaga coscienza della sua specie e del suo colore.
Lo stato in cui scivolava quando mormorava: eternità. Lo stesso pensiero acquistava una qualità eterna. Si approfondiva magicamente e si espandeva, senza un vero contenuto e una vera forma, ma anche senza dimensioni. L’impressione che, se fosse riuscita a trattenersi in quella sensazione ancora per qualche istante, avrebbe avuto una rivelazione- facilmente, come percepire il resto del mondo solo inclinandosi dalla terra verso lo spazio.
Eternità non era solo il tempo, ma qualcosa come la certezza radicata e profonda di non poterlo contenere nel corpo per via della morte; l’impossibilità di oltrepassare l’eternità era eternità; com’era eterno un sentimento nella sua purezza assoluta, quasi astratto.
Dava soprattutto l’idea di eternità l’impossibilità di sapere quanti esseri umani si sarebbero succeduti dopo il suo corpo, che un giorno si sarebbe trovato lontano dal presente alla velocità di un bolide.
Lei definiva l’eternità, e le spiegazioni sorgevano fatali come i battiti del cuore. Appena sbocciavano, però, diventavano vuote logicamente. Definire l’eternità come quantità più grande del tempo e persino più grande del tempo che la mente umana può sopportare come idea, non avrebbe permesso, comunque, di coglierne la durata. La sua qualità era esattamente quella di non avere qualità, di non essere misurabile e divisibile perché tutto quanto si misura e si divide ha un principio e una fine. Eternità non era la quantità infinitamente grande che si logorava, eternità era invece la successione.
Allora Joana capiva repentinamente che nella successione si trovava il massimo della bellezza, che il movimento spiegava la forma – era tanto elevato e puro gridare: il movimento spiega la forma!- così come nella successione si trovava anche il dolore perché il corpo era più lento del movimento di continuità ininterrotta. L’immaginazione imparava a possedere il futuro del presente, mentre il corpo rimaneva all’inizio del cammino e viveva con un altro ritmo, cieco all’esperienza dello spirito….
Clarice Lispector: Vicino al cuore selvaggio, Allegrie di Joana, Adelphi 1987 pagg. 42 e 43.