UNA VITA STRARIPANTE, CRESCIUTA NELLA MISERIA, TANTA DROGA, TANTO SESSO E INCONTRI MEMORABILI- QUINCY JONES SI CONFESSA AL MAGAZINE GQ E (S)PARLA DI TUTTI: SINATRA, CHARLES, MONROE, KINSKI, MUSK, ZUCKERBERG, BRIN, BEZOS, RIEFENSTAHL, MALCOM X, PICASSO, BRANDO, BELAFONTE, BOWIE,ECC.ECC.- COSI’ TANTE MEMORIE NON STAVANO IN UNA SOLA INTERVISTA, IL SECONDO TEMPO PROSEGUE SUL SITO VULTURE.
All’inizio della sua intervista a GQ il cantante si siede e dice: “Sembra che a 84 anni tutte le cose su cui ti ponevi delle domande divengano chiare.”
La sua vita è stata talmente piena di incontri, conquiste e avvenimenti che è difficile credere che siano potute capitare tante cose a un solo uomo, a cominciare dalla sua carriera: musicista jazz, compositore, solista, produttore dell’album pop più venduto della storia, imprenditore, magnate dei media, produttore televisivo e cinematografico, filantropo e via dicendo.
Jones è una delle pochissime persone ad aver vinto la lista completa dei cosiddetti premi ‘EGOT’: Emmy, Grammy (28), Oscar e Tony, i premi per il teatro. Ma questi sembrano poco più che incidenti di percorso se messi a confronto con la vita che il musicista ha effettivamente vissuto.
Per prima cosa, sembra che abbia conosciuto praticamente chiunque (dice di aver perso 66 amici l’anno scorso, a partire da David Bowie…) ma non solo ha conosciuto tante persone, ha anche condiviso con esse alcuni momenti indimenticabili e su ognuno ha una storia interessante da raccontare. Non a caso, la sua onnipresenza è stata spesso comparata a quella di Forrest Gump, che lui stesso ha poi trasformato in “Ghetto Gump.”
E a ottant’anni suonati, non sembra affatto intenzionato a rallentare: al momento sta producendo dieci film, sei dischi, quattro show a Broadway, due programmi televisivi ed è in affari col presidente cinese oltre a essere nel pieno delle preparazioni per il suo ottantacinquesimo compleanno, per cui sta preparando un documentario su Netflix, una serie e un evento televisivo.
“Non mi voglio fermare, ho smesso di bere due anni fa a causa del diabete ed è stata la cosa migliore che mi sia mai successa. Ho la mente estremamente lucida e la mia curiosità non è mai stata così accesa,” e alla domanda se avesse preferito smettere prima risponde:
“Sì, ma sono cresciuto con Ray Charles e Frank Sinatra, non ho avuto tanta scelta. Ci scolavamo sette Jack Daniel’s doppi ogni ora. Quei due sapevano come divertirsi,” e mostra un piccolo anello al dito che Sinatra ha indossato per quarant’anni: “Lo porto sempre, Frank me lo ha lasciato quando è morto, sopra c’è il suo stemma di famiglia siciliano.”
“Frank cercava sempre di farmi andare a letto con Marilyn Monroe, ma a me non piaceva, aveva le tette troppo a pera. Ma lasciamo perdere, sono cresciuto insieme ai due dei più grandi mignottari del secolo scorso (Ray Charles e Frank Sinatra), anche se pure Rubirosa non scherzava. Ogni volta che andavamo a Parigi mi diceva: “Quincy, usa la testa, non i testicoli. Le donne danno la fica per amore, gli uomini rinunciano all’amore per la fica. Era incredibile, eravamo continuamente circondati da donne, quel tour nel ’61 con Nat Cole… che trip!”
Jones è cresciuto nella parte sud di Chicago, dove la madre gli fu portata via quando aveva sette anni a causa di una demenza precoce e il padre, suo omonimo, faceva il falegname (di cui conserva la prima sega che usò nel 1928 incorniciata al muro) e lavorava per la più nota gang del tempo, i “Jones boys”. “Crescere nella Chicago degli anni ’30 non è stato uno scherzo, io e mio fratello vedevamo ogni giorno dei morti. Paragonato a oggi Harlem e Compton fanno il solletico. È tosta Chicago, c’è qualcosa nella sua acqua”.
“Pensavo che sarei diventato anch’io un gangster, da bambino mi passavano sempre davanti agli occhi grosse quantità di banconote, enormi casse di vini e liquori accatastati nei retrobottega e molte, molte armi.”
“Una volta fui catturato da una gang” dice mostrando la cicatrice che ha portato sulla mano destra per 77 anni, “mi hanno attaccato al muro e mi ci inchiodarono la mano con un coltello, puntandomi al contempo un rompighiaccio alla tempia. Pensavo che sarei morto quel giorno ma fortunatamente intervenne mio padre, colpendo in testa gli assalitori con un martello.”
L’intervistatore gli chiede se è sposato: “Sono stato sposato tre volte, amico. Mi era stato detto di non sposare attrici o cantanti, e sono finito con due attrici – Peggy Lipton e Natassja Kinski – e una modella superstar. Adesso ho 22 fidanzate in tutto il mondo: da Cape Town, al Cairo a Stoccolma, e ne ho diverse in diverse parti del Brasile; ho anche una bellissima ragazza a Shanghai. Non mento a nessuna di loro, ma sull’età ho dovuto rinventare i numeri perché le mie figlie mi hanno detto che non potevo avere delle fidanzate più giovani di loro, dunque tenendo conto di questo calcolo, andrebbero dai 28 ai 42. Mi vedreste mai con una della mia età, siamo matti?”
Dicono che a una certa età il desiderio svanisca: “Col diavolo! Non succederà di certo a me.”
Quando parla Quincy spazia da un argomento all’altro, citando una celebrità al minuto ma senza mai dare l’impressione di fare “name-dropping” o di darsi delle arie. Così passa dal suo incontro con Mandela, alla serata precedente scorsa con Stevie Wonder all’incontro con Spielberg in cui gli fece cambiare l’aspetto del prototipo di E.T. “perché quel figlio di puttana assomigliava troppo a un fratello (nero), per questo alla fine lo fecero anche con gli occhi azzurri.” (Nel corso dell’intervista ripeterà la parola “figlio di puttana” ben 96 volte).
“Elon Musk è stato mio vicino di casa per anni – è uno che non ha paura di niente – e cenavamo diverse volte a settimana insieme a Zuckerberg, Sergey Brin e Jeffrey Bezos, “quel figlio di puttana adesso è il più ricco al mondo.”
Poi ci fu quella volta in cui andò in visita da Giovanni Paolo II insieme a Bono, e nel momento in cui gli stava baciando la mano vide le scarpe rosse lucide del papa ed esclamò senza riuscire a trattenersi: “amico queste scarpe sono proprio da pappone!”
Le giornate di Quincy Jones adesso scorrono più o meno così: sveglia intorno alle quattro, cinque del pomeriggio per restare sveglio tutta la notte rincorrendo pensieri e studiando. Adesso parla 26 lingue: “Scrivo in arabo, mandarino e con i caratteri katakana in giapponese. Per tutta la vita ho viaggiato, e vi garantisco che continuerò a farlo più di qualsiasi alrtro figlio di puttana su questo pianeta.”
Jones non è di quelle persone che superati gli ottanta considera esaurito il suo tempo. Passa sei giorni l’anno in un ospedale esclusivo di Stoccolma, in cui viene curato da 14 dottori premiati col Nobel che hanno accesso alle cure più avanzate: “Mi hanno detto che potrò vivere fino a 110 anni, per cui ho altri trent’anni davanti a me, e questo grazie alla nanotecnologia. Mi sento come un bambino, mi sento all’inizio.”
I campi in cui è attivo sono innumerevoli: tv, cinema, documentari, accessori di marca, beneficienza, hotel, progetti tecnologici, manager di artisti. A un certo punto prende il computer e va su Youtube per mostrare i suoi musicisti jazz ‘protetti’ mettendo video per una ventina di minuti: “Questi figli di puttana hanno un talento eccezionale, adoro vedere i giovani che riescono a fare quello che amano. Questi ragazzi stanno riportando la musica al suo posto, perché ora come ora non sta andando da nessuna parte, è solo rumore nascosto dietro a bottiglie di champagne.”
Tornando al suo passato ricorda come a sette anni, dopo che sua madre fu portata via da casa in camicia di forza, il padre non avesse abbastanza soldi per mantenere lui e suo fratello e perciò li mandò dalla nonna a Louisville, dove le condizioni di vita non erano delle migliori: “mangiavamo topi a cena, ripensandoci oggi mi vengono i brividi. Nostra nonna ci mandava giù al fiume e ci diceva di prendere quelli che muovevano ancora la coda, almeno eravamo sicuri che fossero ancora vivi. Ma quando sei piccolo non è che ti importi granché, e poi la fame è la fame. Ma io sognavo in grande, anzi, in enorme.”
Il primo lavoro come musicista professionista arrivò quando iniziò a suonare la tromba nel gruppo di Lionel Hampton, che lo invitò a suonare in tour quando Jones finalmente compì 18 anni (ci aveva provato anche all’età di 15 ma il tour manager lo cacciò fuori dal pulman della band perché era troppo giovane):
“Nella parte davanti a destra, avevamo i ‘santi rollatori’ e noi eravamo quelli dietro che fumavano tutta l’erba, mentre i bevitori e quelli che si facevano si spartivano il resto del pullman. Ogni volta che andavamo a Detroit, all’hotel Majestic, incontravamo Malcom X, coi suoi occhiali ambrati e i suoi vestiti italiani che ci vendeva l’eroina: allora lo chiamavamo Detroit Red.”
L’intervistatore, sorpreso, chiede conferma: “Certo cazzo! Ogni membro della band comprava l’eroina da lui, è per questo che finì in prigione. Quelli che si facevano chiamavano la cocaina la “donna” (‘girl’) e l’eroina il “maschio” (‘boy’). Perché? È una droga forte, è mascolina. Non ti darà fastidio finché gli dai tutto quello che ti chiede, ma vuole sempre di più.”
“Ho provato di tutto negli anni: Popper, Metedrina, Benzedrina. Tutto. Per colpa di Ray sono stato dipendente dall’eroina per sei mesi quando avevo quindici anni. Avevo iniziato a bucarmi e sono caduto dal quinto piano di una rampa di scale. A quel punto ho capito che non mi serviva altra ispirazione da quella sostanza, e nel momento in cui l’ho detto l’ho fatto, riesco a fermarmi quando voglio. Sono un figlio di puttana, sigarette, alcool, dico basta e stop. Ed è stata la migliore cosa che potesse succedermi in quel periodo, in cui uscivo a New York con Howard McGhee, Earl Coleman, Charlie Parker e gli altri. Ne sarei rimasto dipenendente a vita.”
“Ovviamente Ray ha continuato a farsi per molto tempo, l’ha usata per 30 anni, finché la polizia non mi ha detto che se voleva continuare a suonare nei club doveva smettere. Lo fece, e 32 locali gli restituirono la licenza; una volta lo vidi perfino spararsela nei testicoli, perché aveva tutte le vene fuori uso. Ti fa cose strane l’eroina.”
Parlando poi dei suoi vari celebri incontri, tra cene con Jacqueline e Picasso (erano vicini di casa a Cannes), serate folli con Prince e nottate intere ad Harlem a ballare col suo ‘fratello’ Marlon Brando – insieme a Sydney Poitier e Harry Belafonte – Jones si prende un momento per raccontare quello che definisce essere stato l’incontro più importante della sua vita: quello con Leni Riefenstahl, sua regista adorata. Incontrandola su invito a pranzo in un ristorante di Berlino, l’ex (presunta) fidanzata di Goebbels gli raccontò di come tutto il terzo Reich si faceva di cocaina, e di come avesse visto anche Hitler farne uso.
“Avendo lavorato per dei papponi fin da piccolo, sapevo bene come veniva usata per aumentare il loro livello di propensità alla violenza, perché sollecita gli istinti primari: Violenza, sesso, paura e sballo.”
“Quando me lo disse rimasi molto colpito, perché ero stato intorno a quella sostanza per tutta la vita e adesso capivo perché quel figlio di puttana uccidesse ogni stronzo che gli passasse di fronte. Penso che una grossa parte dell’orrore prodotto dai nazisti sia legato all’uso della cocaina,” dice, ponendo chiaramente la regista al di fuori di queste dinamiche: “Era un essere umano eccezionale, per lei contava solo l’arte e la passione per la sua professione, non è mai stata politica.”
Jones infine racconta di quella volta in cui mancò di nuovo un appuntamento con la morte, rischiando di perdere brutalmente la vita:
“Era verso la fine degli anni ’60 e una sera Steve McQueen mi chiese se volevo partecipare alla premontato di ‘Bullitt’. Siccome avevo un problema coi capelli al tempo mi ero portato dietro il mio barbiere, Jay Sebring, e dopo il film facemmo programmi per la serata. Jay mi disse: “ci vediamo dopo da Sharon (Tate) ho dei prodotti che ti voglio dare.’ ”
Ma Jones non andò, dimenticandosi dei programmi. Il mattino seguente ricevette una telefonata dal suo amico Bill Cosby: “Hai sentito di Jay? – perché uscivamo tutti quanti insieme in quel periodo – è morto. “Impossibile” risposi, ero con lui fino a ieri sera.’ ” Durante la cena a casa di Sharon Tate da cui si era assentato, tutti e cinque gli ospiti furono assassinati in maniera barbara.
“Lo avevano appeso tagliandoli via le palle, e a Sharon poverina le aprirono la pancia col bambino dentro, ringrazio Dio di averla scampata, la vita è un viaggio incredibile, è davvero un trip. Dopo quell’episodio ne apprezzo ogni istante, amo ogni passo, la apprezzo tutta. Ogni singola goccia…”
Le sarebbe piaciuto condurre un altro tipo di vita?
“Je ne regrette rien de tout. Non rimpiango proprio un bel niente.”
Da “www.vulture.com“
Sia nei modi che nella musica, Quincy Jones è sempre stato considerato da tutti un personaggio raffinato, sofisticato e impeccabilmente ben introdotto (succede, quando si vincono 28 Grammy e si coproduce l’album più venduto nella storia della musica). Ma di persona, il musicista 84enne è molto più spinoso e complicato di quanto sembri da fuori: “Quello che ho fatto è stato solo dire sempre la verità,” dice Jones, seduto su un divano nel suo ‘palazzo’ di Bel Air, poco prima di dare fiato alle trombe del gossip. “Non ho nulla di cui avere paura.”
E parla proprio come se non avesse nulla da perdere, Jones, mentre nella sua tuta scura e larga, avvolto in una sciarpa stilosa, inizia a sciorinare nomi; rimproverando, lodando, raccontando (e riraccontando) storie sui suoi amici e colleghi famosi.
Anche quando usa parole dure, le dice con un tono avvolgente, sporgendosi spesso in avanti per dare il cinque all’intervistatore o battergli una mano sul ginocchio. “Ah, le esperienze che ho avuto! Da non crederci amico.”
Qual è una cosa che le persone non sanno su Michael Jackson?
Detesto doverlo dire in pubblico, ma Michael ha rubato un sacco di canzoni. A partire da “State of Independence” di Donna Summer (composta da Vangelis) in cui il riff centrale del basso è incredibillmente simile (sebbene sia velocizzato) a quello nel suo singolo hit “Billie Jean.” Le note non mentono amico, era un personaggio molto machiavellico.
In che modo?
Era avaro, era molto avaro. Greg Phillinganes – tastierista di varie collaborazioni tra Jones e Michael – gli aveva trovato molti arrangiamenti per il disco “Off the Wall” (1979), tra cui la sezione centrale di “Don’t Stop ’Til You Get Enough.” Michael avrebbe dovuto dargli almeno il 10% per quel pezzo, cosa che non fece mai.
E fuori dalla musica?
Non facevo che mortificarlo per le sue operazioni chirurgiche. Lui si giustificava sempre tirando in causa qualche malattia strana. Cazzate.
Aveva un problema con la sua apparenza perché suo perché suo padre gli diceva sempre che era brutto e abusava di lui. C’è uno strano contrasto tra la gioiosità della musica di Michael e la sua vita sempre più triste.
Ma il suo problema finale fu col Propofoll, un potente sedativo che Michael chiamava il suo “latte” e che il medico continuava a somministrargli per l’insonnia. La polizia confermò che la causa della morte fu un’intossicazione acuta da anestetici, e il medico fu accusato di omicidio colposo.
Ma è un problema che riguarda tutti qui in America, come gli oppiacei. Stando intorno alla Casa Bianca con i Clinton per otto anni ho imparato quanto sia grande l’influenza della Big Pharma, non è uno scherzo. Hillary non piace alla genete ha troppi segreti nascosti.
C’è qualcosa che preferirebbe non sapere oggi?
Vorrei non sapere chi ha ucciso Kennedy.
Chi è stato?
Sam Giancana, il gangster di Chicago. C’era una connesssione tra Sinatra, la mafia e i Kennedy. Joe Kennedy era una persone malvagia, venne da Frank per farlo parlare con Giancana per i voti dell’Illionis nel 1960.
Avevo già sentito questa teoria sulla mafia che aiutò i Kennedy coi voti.
Non dovremmo parlarne in pubblico. Di dove sei tu?
Toronto.
Ahh, sono stato al Concerto al Massey Hall. Quella sera del maggio 1953 suonarono Charles Mingus, Bud Powell, Charlie Parker, Max roach e Dizzie Gillespie per la prima e l’ultima volta insieme. La band guadagnò una miseria, era solo un’altra serata per loro. Non potevamo certo immaginare che sarebbe passata alla storia; come Woodstock, chi avrebbe mai detto poi che divenisse ciò che è oggi, con Jimi Hendrix che suonava in quel modo l’inno nazionale. Anche se i festival non sono mai stati il mio genere di cosa, Elon Musk continua a cercare di convincermi ad andare al Burning Man, ma non ci penso nemmeno!
Hendrix non doveva suonare su Gula Matari?
Sì avrebbe dovuto, era il periodo in cui stava espandendo il suo vocabolario musicale e passando dal rock e il blues al Jazz e il funk. Purtroppo morì asfissiato a settembre di quell’anno, svignandosela. Era nervoso all’idea di suonare con figli di puttana paurosi come Toots Thielemans, Herbie Hancock, Hubert Lawse Roland Kirk. Toots era uno migliori solisti mai esistiti. Suonavano solo quelli più tosti sui miei dischi e Hendrix non voleva suinare con loro.
Cosa ha pensato la prima volta che ha sentito il rock?
Il rock non è altro che una versione bianca del rhythm & blues, figli di puttana. Sai? Conobbi Paul McCartney quando aveva 21 anni.
Quali furono le sue prime impressioni sui Beatles?
Erano i peggiori musicisti del mondo. Non sapevano suonare. Paul era il peggiore bassista che abbia mai sentito. Ringo Starr? Non parliamone neanche. Ricordo che una volta eravamo in studio insieme a George Martin, e con Ringo arrangiammo una versione di “Love Is a Many-Splendored Thing” per il suo album di debutto da solista: ci mise tre ore e mezzo per aggiustare una sola battuta in quattro quarti per una canzone, ma proprio non ci riusciva. Gli dicemmo: “amico, perché non ti fai una birra e ti prendi un’oretta per cercare di rilassarti un po.” Lui così fece, e nel frattempo chiamammo Ronnie Verrell, un batterista jazz, che in un quarto d’ora chiuse la battuta.
Quando tornò mi chiese di risuonargliela e disse: “Questa non sembra così male?”
E io, tra me e me: “Certo figlio di puttana, non sei tu!” È un’ottima persona però, devo aggiungere.
C’erano musicisti rock che stimava?
Sì, credo che il gruppo di Eric Clapton, i Cream, non fossero male. Ma sai chi suona esattamente come Hendrix? Paul Allen. Sì proprio lui, il cofondatore multimiliardario di Microsoft. Ha una collezione di chitarre e di yacht da fare invidia al mondo, ma fa un ottimo uso di entrambi.
Una volta eravamo in barca insieme a David Crosby, Joe Walsh e Sean Lennon – quei pazzi figli di puttana – e a un certo punto arrivò pure Stevie Wonder col suo gruppo e fece salire Paul sul palco. Da non crederci. È davvero bravo quello, amico.
12 anni fa andai pure a cena con Ivanka Trump, aveva le più belle gambe che avessi mai visto, peccato avesse il padre sbagliato.
Da una prospettiva musicale invece, qual è la causa di cui va più fiero?
Del fatto che posso annotare musicalmente qualunque sensazione. Non molte persone ci riescono, è un grande dono. Non lo sostituirei per nulla al mondo.
Sente lo spirito del jazz nel pop di oggi?
No. Quando un musicista pensa ai soldi, Dio esce dalla stanza. Io non ci ho mai pensato, nemmeno facendo ‘Thriller’. Per lo stesso motivo oggi non c’è innovazione e i produttori non hanno conoscenza del passato, quindi non hanno idea di dove stanno andando. Lo stesso vale per i musicisti, a cui manca una conoscenza musicale formale di base. Ma ciò che è peggio è che lo sanno e non gli importa di non averla.
Qual è stata la sua più grande innovazione musicale?
Tutto quello che ho fatto. Ogni mio lavoro è stata una sfida di contrasti tra generi, ho suonato ogni tipo di musica: da quella per bar mitzvah, alle marce militari a quella per gli strip-club. Jazz, pop, tutto.
E chi le piace oggi?
Bruno Mars, Chance the Rapper, Kendrick Lamar, l’ultimo disco di Ed Sheeran è fantastico, Sam Smith pure è un grande. Mark Ronson è uno che sa come produrre.
E per quanto riguarda le colonne sonore?
Sono tutti pigri, anche qui nessuno va a riascoltarsi i lavori di Bernard Hermann. Mi piace Alexande Desplat, il compositore francese che ha vinto l’Oscar per le musiche di ‘Grand Budapest Hotel’. Lui sì che è bravo, siamo fratelli. È stato influenzato anche da me.
Guarda, i princìpi musicali esistono. Oggi i musicisti non riescono a spingersi troppo oltre perché non hanno fatto i loro compiti a casa. La musica è scienza e emozione. Quest’ultima non dev’ essere esercitata, viene naturalmente. Ma per quanto riguarda la tecnica è diverso. Se non riesci a mettere le tue dita tra una terza, una quarta, una settima e un’ottava sul pianoforte, non sai suonare. Puoi spingerti solo fino a un certo punto senza tecnica. Le persone oggi si limitano musicalmente.
Questi musicisti conoscono il tango? La Macumba? La Samba? Il bossa nova? La Salsa? Il Cha-cha?
Con Marlon Brando siamo stati amici una vita. Durante il periodo in cui stavamo sulla sua isola a Tahiti, andavamo a ballare tutte le sere il Cha-cha. Era il figlio di puttana più seducente che conoscessi. Si scopava qualunque cosa. Qualunque! Pure la cassetta della posta, andò a letto con James Baldwin, Richard Pryor eMarvin Gaye…
Ha dormito con tutti loro?
Ma certo! Non gliene fregava un cazzo.
C’è qualcosa di positivo nella musica di oggi?
Una volta vidi una mappa della Terra di com’era un milione e mezzo di anni fa. Le persone si sono mischiate e si sente nella musica. Dove oggi c’è Durban, un tempo si trovava la costa cinese. Ci sono influenze africane nella musica cinese e giapponese, vedi i tamburi Kodo. Tutto viene dall’Africa. È un concetto pesante da realizzare.
Qual’è il progetto più ambizioso a cui sta lavorando adesso?
Un canale tv musicale, si chiamerà Qwest TV dove chiunque voglia sentire la migliore musica da tutto il mondo. Mi considero ancora molto fortunato a poter prendere parte a questi progetti. Ho smesso di bere due anni fa e adesso mi sento ringiovanito, come se ne avessi 19. Lasciamelo dire: che vita amico, che vita!
In copertina un’opera di Jean Michel Basquiat (qui)