NELLA PRIMA GRANDE RETROSPETTIVA CHE PARIGI DEDICA A ANSELM KIEFER LA STORIA SI CONFONDE CON LA MITOLOGIA, LA PITTURA MONUMENTALE SI ANIMA DEI FANTASMI E DELLE ROVINE DELLA GUERRA, IL TEMPO E LA MEMORIA SONO FRAMMENTI INGOMBRANTI DI UNA VITA IN PERENNE EQUILIBRIO.
Fra qualche giorno si chiude a Parigi al Centre Pompidou la grande retrospettiva dedicata a Anselm Kiefer, artista tedesco da alcuni decenni protagonista della pittura internazionale. Sono circa 150 opere disposte in tredici sale tematiche che ripercorrono la lunga carriera dell’artista, dalla fine degli anni ’60 ad oggi.
La mostra parigina rende conto dei diversi periodi dell’artista tedesco, dando spazio alla sua pittura monumentale e drammatica che lavora per serie e temi ricorrenti. Una pittura difficile, che giunge faticosamente al cuore dopo avere affaticati gli occhi. Tela molto materica, pesante, spesso monocroma, pittura che cresce per accumulo, strato di colore su strato (soprattutto grigio, beige, marrone, bianco sporco, ecc.) cui si aggiungono altre materie, come la paglia, la cenere, l’argilla o il piombo. Non una passeggiata, visti i temi che vengono incontro, che però vanno accolti con spirito confidente.
Dipinti di grande formato, storici ed emblematici come Quaternität (1973), Varus (1976), Margarete (1981) e Sulamith (1983)si alternano a opere su carta e installazioni che illustrano le atmosfere e i temi prediletti dall’artista tedesco: la storia della Germania e i fantasmi della guerra, la memoria individuale e collettiva, la dialettica di creazione e distruzione, i temi dell’alchimia, della Cabala e della cultura yiddish, quest’ ultimi esposti in quaranta “vetrine” realizzate appositamente per questo evento. Kiefer è anche attratto dall’archeologia industriale, da ciò di enigmatico che continua a emanare da antiche macchine, da rottami arrugginiti, da oggetti di piombo di incerta utilizzazione.
Toni cupi e misteriosi troviamo nelle opere più recenti, esposte in “vetrine” simili a cabinet de curiosités che contengono objet trouvés, elementi naturali, fotografie, pellicole e frammenti di piombo che si ispirano all’universo alchemico. È l’artista stesso a definirle “stratificazioni del possibile”. Non mancano i grandi capolavori, dipinti che hanno reso la sua tecnica pittorica inconfondibile. Tra questi Resurrexit (1973), Quaternität (1973), Varo (1976), Lilith (1987-1990), un grande e intensissimo quadro in cui una città verticale sembra in procinto d’essere inghiottita da un pulviscolo di cenere e argilla, dove oltretutto il paesaggio minacciato da missili e papaveri ricorda tanti scenari di guerra oggi tristemente noti.
L’opera di Kiefer, oltre a rivisitare la mitologia tedesca e la storia tormentata del suo paese, si confronta con le suggestioni di artisti o letterati a lui affini per visione, quali lo “scandaloso” Jean Genet, il reietto maggior narratore francese del ‘900, cioè Ferdinand Céline, la poetessa Ingeborg Bachmann e, infine, Paul Celan, citato in due sue opere, poeta rumeno naturalizzato francese e morto suicida ne 1970, affogato nelle acque della vicina Senna, dopo essersi gettato dal ponte Mirabeau, caro ad Apollinaire.
Dal foro del Centre Pompidou, il visitatore si troverà faccia a faccia con istallazioni monumentali realizzate dall’artista a Barjac (Gard), luogo di vita e lavoro tra il 1993 e il 2007. Qui si potranno trovare i materiali preferiti dall’artista (piombo, acqua, metallo), così come migliaia di fotografie scattate da Anselm Kiefer durante la sua carriera e che costituiscono una banca dati quasi biografica.
Com’è scritto nel catalogo della mostra; “Per Anselm Kiefer l’arte è un corpo a corpo incessante con la storia, le sue tragedie e le sue ferite dolorose. Fin dalle sue prime opere, l’artista nato tra le macerie della Germania sconfitta e prostrata ha usato la creazione artistica per interrogarsi sul passato del suo paese e sulle contraddizioni dell’identità tedesca, immaginando un gesto creativo capace di scuotere le coscienze e fare i conti con un passato ingombrante che in troppi volevano rimuovere dalla memoria collettiva….Proprio il piombo è da sempre una delle materie predilette dell’artista, il quale nel 1985, quando venne rifatto il tetto della cattedrale di Colonia, ne recuperò un’ingente quantità che poi utilizzò in molte opere. Attraverso il piombo e il sogno della trasmutazione alchemica, Kiefer ha elaborato una potente metafora del lavoro dell’arte costantemente alle prese con il tentativo di sottrarre frammenti di vita e di senso alle macerie del tempo e all’inferno del senso di colpa. Un lavoro però costretto sempre a ricominciare da capo, in quanto incapace di raggiungere un risultato definitivo.”