MONUMENTALE, EFFIMERA,PARZIALE – L’INEDITA, IPOTETICA STORIA DI ROMA NELL’INTERVENTO DI WILLIAM KENTRIDGE A PIAZZA TEVERE – UNA CARRELLATA FRA I MITI CHE HANNO FATTO GRANDE LA CITTA’ ETERNA
La vittoria alata della Colonna Traiana. Scrive sullo scudo le res gestae al termine della prima guerra contro i daci, ma è ripiegata su se stessa, disintegrata.
La figura accasciata di Remo. Quella di Pier Paolo Pasolini. Il corpo riverso a terra sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia, una sagoma che si è immediatamente cristallizzata in un’icona.
L’incontro in una vasca da bagno tra Marcello Mastroianni e Anita Ekberg. La sagoma di Aldo Moro.
E ancora il busto di Cicerone, quello di Mussolini.
I trionfi di Cesare del Mantegna.
Celestino V su un asino condotto da Carlo D’Angiò, i Bersaglieri, l’estasi di Santa Teresa.
Con le oltre 80 figure tratte dalla storia di Roma e rielaborate dal carboncino dell’artista sudafricano William Kentridge che sfileranno sui muraglione del tratto di Tevere compreso tra Ponte Sisto e Ponte Mazzini, Triumphs and Laments è l’appuntamento di punta della primavera romana. La presentazione al pubblico, in forma di grande celebrazione, è prevista per il 21 aprile, giorno del Natale di Roma. Si tratterà di una festa-processione-performance con la regia di Kentridge e del compositore Philip Miller, in cui luci, ombre, movimenti, suoni, danza si sovrapporranno alle immagini “ritagliate” in negativo sugli argini del fiume.
Quello di Kentridge è un vasto intervento di arte pubblica che, dopo un decennio di gestazione, ha il merito di esser riuscito a mobilitare le principali istituzioni dedicate al contemporaneo. Già il Padiglione Italia all’ultima Biennale di Venezia aveva omaggiato il lavoro presentando alcuni degli schizzi dell’artista, ma il progetto vede il coinvolgimento anche della Direzione Generale per l’Arte e l’Architettura contemporanee e le periferie del MIBACT, che produrrà un volume concepito come un libro d’artista, a cura di Carlos Basualdo; di Roma Capitale e in particolare del Polo Museale Moderno e Contemporaneo; della Fondazione MAXXI, che collabora con l’artista da oltre dieci anni e ospiterà un talk e un focus dedicato a Kentridge; e ovviamente l’associazione Tevereterno che, con la sua direttrice artistica Kristin Jones, ha ideato il progetto nell’ambito dell’iniziativa dedicata alla valorizzazione di “Piazza Tevere”. Se molte sono le istituzioni pubbliche che hanno sposato con entusiasmo l’iniziativa, occorre sottolineare che il sostegno economico alla produzione è principalmente a carico delle tre gallerie dell’artista, Lia Rumma, Marian Goodman Gallery USA e Goodman Gallery Sud Africa. Appare evidente quanto già la storia degli ultimi decenni ha a più riprese evidenziato: la difficoltà delle istituzioni pubbliche nostrane a farsi pienamente carico, soprattutto dal punto di vista economico, di progetti artistici su scala urbana, e dunque della necessità di un sostegno finanziario e operativo da parte di realtà private, la cui collaborazione sembra essere l’unica soluzione praticabile per la concreta finalizzazione di interventi di questo tipo.
L’importanza dell’evento, dunque, risiede sia nella vasta gamma di interlocutori rilevanti sul piano delle politiche culturali del contemporaneo che sono invitati a dialogare tra loro (a creare connessioni progettuali, di pensiero e di azione) sia, in un senso più generale, nella possibilità di favorire la riattivazione di una riflessione circostanziata sull’intervento artistico nello spazio pubblico e sulle relazioni di senso che esso è in grado di attivare. T&L si configura infatti come una proposta culturale di ampio respiro che trova nell’integrazione delle componenti monumentale, effimera, narrativa, il cuore della sua qualità progettuale.
Monumentali sono le figure, alte fino a 10 metri, che occuperanno uno spazio di quasi 250 metri.
Effimera è la natura dell’opera: le figure saranno infatti realizzate in negativo per “cancellazione” o, per dirla in termini più tecnici, tramite idropulitura selettiva della patina biologica che, a causa dell’umidità, si è accumulata sui muraglioni in travertino che costeggiano il fiume. Nel corso del tempo queste figure verranno dunque riassorbite per il naturale ricrearsi della patina.
Narrativa è la modalità espressiva scelta da Kentridge, che celebra anche in questo caso l’ispirazione teatrale del suo lavoro: la lunga processione percorrerà la “scena” costituita dalle pareti di travertino, in una sequenza che raccoglie figure e immagini di “vincitori e vinti” tratte da un vastissimo repertorio iconografico romano che attinge ai rilievi monumentali, alla storia dell’arte, alla cronaca degli ultimi decenni . Mettendo sullo stesso piano trionfi e sconfitte, elementi complementari di una medesima vicenda, Kentridge sembra voler neutralizzare i rapporti di sopraffazione e di potere su cui si fonda la narrazione storica. L’accostamento di frammenti si rivela nelle mani dell’artista una “tattica” per de-costruire la sequenza sedimentata e proporre un’altra scrittura che si muove sbilenca, altalenante, con un’andatura non progressiva, non cronologica. Frammenti di una storia ipotetica, ricomposta, possibilmente sbagliata, che ha la qualità dell’incertezza, dell’inesattezza, dell’inesaustività e, come suggerisce lo stesso artista, ricorda l’espressione di un forestiero che tenti di tradurre una lingua altra, una storia altra. Il riconoscimento della propria posizione decentrata di uditore, osservatore esterno, traduttore straniero di una storia millenaria, è linea guida, punto di partenza per ri-costruire liberamente e in modo consapevolmente (volontariamente) arbitrario, una narrazione.
Da questo punto di vista la strategia adottata da Kentridge si pone in antitesi con la vocazione cooperativa o partecipativa che ha caratterizzato molta parte delle esperienze di “arte pubblica” nel nuovo millennio, così come della possibilità di interpretare l’intervento artistico come una sostituzione/integrazione della politiche sociali: la “complicità” della cittadinanza è attivata dall’artista su un piano di stimolazione e attivazione della memoria collettiva, della familiarità iconografica delle figure e della possibilità di implementazione immaginativa della narrazione proposta.
Il lavoro di Kentridge non nega il portato attrattivo, e per certi versi decorativo, proprio della natura monumentale dell’opera, ma la giustifica con il riferimento storico e la media con la strategia dell’effimero. L’artista si pone in una posizione di ascolto del territorio e della sua storia, ma senza negare l’autorialità del suo intervento, ponendo proprio la sua parzialità come punto nevralgico del lavoro. Allo stesso tempo il suo non è un racconto autoreferenziale ma una visione che, includendo figure largamente riconoscibili e iconografie minori, permette ai destinatari ultimi di questo progetto – cittadini romani, turisti, osservatori tutti – di riconoscere l’alterità di questa narrazione come storia possibile.
In ultima istanza, dunque, la processione di Kentridge evoca il tempo e i suoi poteri. Il tempo che da’ forma e che cancella la memoria, tempo che cristallizza alcune immagini rendendole icone, che crea miti e anti-miti, che determina vincitori e vinti, che ne ribalta le sorti. Tempo manipolato da cui prende vita la storia, tempo che manipolando l’insieme delle res gestae le sublima, dando forma a persistenze e provvisorietà.
Quello stesso tempo che definisce la “possibile” narrazione storica di Roma proposta da Kentridge, è agente che in altra forma provoca la sparizione di quella medesima visione, per effetto del processo di ricopertura, omogeneizzazione, riassorbimento da parte degli agenti organici. Un processo di dissolvimento che potremo vedere in diretta come spettatori di un lungo film in slow motion, affacciati dal parapetto del Lungotevere Farnesina, proprio a partire dal 21 aprile prossimo.
Articolo di Simona Antonacci, pubblicato su Arttribune.com
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