REGISTA, SCRITTRICE, PITTRICE, BURATTINAIA, UNA, MILLE VITE. SAPEVA FARE TANTE COSE, TRANNE CHE DIRE LA VERITA’.
«Sono tanto leggere le sue parole e trasparente il suo stile, che è possibile. I personaggi lei li segue come una farfalla o come un malizioso calabrone. Sempre ali ci sono di mezzo». Cesare Zavattini si era innamorato del talento di Lorenza Mazzetti, uno scricciolo di trenta chili secondo le sue parole, quando, in giuria al festival di Cannes, aveva visto il suo film Together. Storia di due operai sordomuti nella Londra misera dell’East End, il cui silenzio sfila nel disordine rumoroso della periferia, piena di bambini che sbraitano nell’inglese proletario che nessuno aveva saputo ancora raccontare. Il film di Mazzetti sarebbe diventato il manifesto del Free Cinema, sorta di neorealismo britannico, poetico e arrabbiato, che si affianca alla ricerca letteraria di John Osborne o Harold Pinter. Ma Lorenza Mazzetti era nata a Roma, nel 1927, e a Londra ci era arrivata a vent’anni. Scappava dai brutti ricordi, ma pensava che sarebbe stato più facile. Mentre era lì ricevette la notizia che il suo tutore si era giocato tutto il patrimonio che avrebbero dovuto ereditarie lei e la sorella gemella Paola, amatissima, inseparabile. «I gemelli sono esseri divini» racconta a Massimiliano Scuriatti, nel libro intervista Una vita, mille vite, in libreria insieme a un catalogo di dipinti dell’autrice, Album di famiglia, diario di una bambina sotto il fascismo, per la Nave di Teseo, che aveva già pubblicato Con rabbia e Mi può prestare la sua pistola, per favore. Di quest’ultimo a Scuriatti spiega che la prima edizione, del 1969, aveva un altro titolo, Uccidi il padre e la madre, che non le piaceva. «Perché avendo subito l’uccisione di mio padre e di mia madre da parte di altri, mi pareva assurdo che io stessa dicessi questa cosa».Terzo capitolo della storia delle due sorelle Penny e Baby, comparse la prima volta nel suo romanzo d’esordio, Il cielo cade. Quello di cui si innamora Zavattini, che ne scriverà la prefazione dal quale è tratta la citazione all’inizio. Il libro era stato rifiutato da tutti gli editori, prima che Lorenza Mazzetti si decidesse a farlo leggere all’amico ed estimatore. E fu sempre Zavattini a candidarla al premio Viareggio. Era il 1962, e questa era almeno la sua terza vita.
Regista, scrittrice, pittrice, burattinaia, una, mille vite. Sapeva fare tante cose e tutte bene, tranne dire la verità. La prima persona a cui la confidò fu Elvira Sellerio, che ne rimase sconvolta. Nel 1993, l’aveva chiamata per chiederle il permesso di ripubblicare Il cielo cade (al quale sarebbe seguito, per lo stesso editore, il Diario londinese). D’accordo, disse Lorenza Mazzetti, ma sappia che dietro quel libro c’è una storia vera e tragica: la mia. Non lo aveva mai dichiarato, neanche quando il libro aveva vinto il premio Viareggio. Nessuno sapeva davvero chi fossero zio Wilhelm e zia Katchen. Fu proprio Elvira Sellerio a chiederle di aggiungere una dedica, che avrebbe rivelato il segreto.
Mazzetti era nata a Roma, a piazza di Spagna. I suoi genitori erano amici di artisti e scrittori ma poi Olga rimase incinta delle due gemelle. I medici pensarono che fosse un tumore e la straziarono fin quando, spossata dal parto, morì. Il padre le crebbe come potè. «A tre anni abbiamo una nuova tata tedesca e viviamo nell’appartamento dal grande terrazzo, ma non c’è nessuno, siamo sole. Un giorno ci affacciamo al terrazzo, giù dal cortile qualcuno ci vede e ci fa dei segni. Ci hanno raccontato che stavamo per cadere giù di sotto, che la tata stava con il fidanzato e non si occupava di noi e che il portiere ci ha salvato. Da quel giorno siamo state portate a casa di Giannattasio, l’amico futurista di papà. Sua moglie Renata ci ha fatto da mamma», scrive in una didascalia al loro ritratto. Quando la sorella del padre, Nina, e il marito lasciano la Germania e comprano una villa vicino a Firenze, villa al Focardo, le gemelle si trasferiscono da loro. «Dedico questo libro a mio zio Robert Einstein, cugino di Albert, a mia zia Nina Mazzetti Einstein, alle mie cugine Annamaria (Cicci) e Luce Einstein. Tutti loro dormono nel cimitero della Badiuzza sopra Firenze tra San Donato in collina e Rignano sull’Arno. Sulla loro tomba c’è scritto “trucidate dai tedeschi il 3 agosto 1944… Se qualcuno passa da lì lasci un fiore!”».
Lorenza Mazzetti sostiene, nella conversazione con Scuriatti, ricordare senza alcun dubbio il colonnello che strappò dalle loro braccia la zia e le due cugine, le portò in salotto e le fucilò. E di averlo riconosciuto in Johannes Robert Riis che avrebbe poi partecipato alla strage di Padule di Fucecchio, avvenuta qualche giorno dopo quella di Rignano, dove vennero assassinate 174 persone, tutti civili. Hitler odiava Albert Einstein, che era riuscito a fuggire in America, e chiunque ne fosse parente, dice Mazzetti. Tesi però non condivisa dallo storico Giovanni Gentile, secondo il quale Robert Einstein fu ucciso perché collaborava con gli alleati. Comunque Lorenza e Paola furono risparmiate, come lo zio Robert, nascosto nel bosco perché sapeva di essere ricercato dai nazisti. Robert Einstein si uccise qualche mese dopo, «preferisco morire anch’io al Focardo, dove hanno sofferto il martirio i miei e desidero essere sepolto quanto il più vicino sia possibile a loro» scrisse in un biglietto che lasciò al fattore.
Lorenza si trasferì poi a Roma e andò a vivere in via Vittoria con Bruno Grieco. Nella loro casa, racconta, si incontravano «Marguerite Duras, Rod Steiger, Agnés Varda, Max Frisch, Piero Dorazio, Achille Perilli, Malcolm McDowell, Claire Bloom, che stava con Rod» (dopo un matrimonio con Philip Roth finito malissimo), Tony Richardson, Karel Reisz e Lindasy Anderson, gli amici inglesi con cui aveva fondato il Free cinema. E Gian Maria Volonté che si dedicava a interminabili partite di ping pong con Giovanni Berlinguer, il fratello di Enrico. È morto un anno fa, aveva 93 anni. «Quando parlo di Lori Mazzetti mi si confondono sempre i ricordi», scriveva Zavattini, «perché ha sempre la stessa età e sempre la stessa voce, quella di una bambina dei cartoni animati, che neppure un gran raffreddore farebbe cambiare…Poi sparisce, non si sa più niente di lei e così si può credere qualche volta che forse non è mai esistita».
Elena Stancanelli per La Lettura La Stampa