LA STORIA DI ENRICA

25 Nov 2021 | 0 commenti

In un ebook dieci donne raccontano in prima persona piccole e grandi rivoluzioni personali verso l’inclusione. Dieci donne che sono riuscite a riscattarsi dalla violenza fisica, verbale e psicologica- Una iniziativa in collaborazione fra Sorgenia e la Grande Casa onlus- Il progetto si avvale inoltre della collaborazione di un team del Dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale della Sapienza Università di Roma- Per ogni giornata dedicata al tema della violenza contro le donne fino a Natale e per ogni downloan del libro, Sorgenia donerà 1 euro alla Fondazione Pangea Onlus. (www.sorgenia.it/sorgenia-con-le-donne-2021)

Fra le dieci storie abbiamo scelta questa di Enrica Scielzo, la prima fashion e beauty blogger transessuale al mondo. Enrica inizia a raccontare la sua storia nel blog The Lookmaker, “un invito alla spensieratezza, alla bellezza, all’essere se stessi”. Da qui il lancio verso una carriera come consulente di immagine e influencer nel campo della moda e della bellezza. “Diario di una Trans” è il suo primo libro, che racconta in maniera intima – e divertente – la sua metamorfosi

Le parole possono fare male. E non guariscono in fretta come i lividi o gli ematomi, ma rimangono lì per sempre. Ritornano a tormentarti la notte, quando non riesci a dormire, o mentre sei imbottigliata nel traffico, o mentre sei in volo per andare in vacanze e guardi distrattamente le nuvole fuori dal finestrino e – bam – ti colpiscono di nuovo, come uno schiaffo un pieno viso.

Mi chiamo Enrica, e sono una ragazza transessuale. Sono nata in una città del Sud Italia alla fine degli anni ’80, quando essere gay era considerata un’onta e non si parlava ancora di identità di genere, figuriamoci di transessualità. Ero un bambino dolce ed effemminato, che amava leggere, disegnare e giocare con le Barbie. E questo ha attirato su di me tanti insulti e cattiverie nel corso della mia vita: per gli altri ero l’outsider, quello diverso, il “ricchione” – quello che preferiva stare con le femmine invece che giocare a calcio come tutti gli altri. I bulli per fortuna non mi hanno mai picchiato, ma le loro parole e le loro risatine facevano più male di un pugno. Perciò uscivo raramente, preferivo chiudermi in casa nel mio mondo, affinché nessuno potesse vedermi. Affinché nessuno potesse ferirmi. Ho capito di essere trans molto tardi, a 28 anni. Prima di allora, non mi ero resa conto di quella che ero realmente. Pensavo di essere un ragazzo gay come tanti altri, a cui piacevano le persone dello stesso sesso. E invece non era così. Non era solo una questione di chi mi piacesse o con chi andassi a letto, era più legato a come mi sentivo: donna. Mi sentivo donna, e volevo esserlo ogni giorno, dalla mattina quando mi svegliavo fino alla sera quando andavo a dormire. Quindi un giorno ho smesso di ascoltare le persone che mi insultavano o mi prendevano in giro, e ho deciso di essere me stessa, di prendere in mano la mia vita e di farne quello che volevo. Ho messo a frutto tutte quelle serate che passavo da sola a casa al PC e ho deciso di aprire un blog in cui potessi parlar della mia storia. Ho cercato di trasformare quel tempo che passavo davanti allo schermo per fare qualcosa di buono, di utile. Volevo ispirare gli altri, infondere speranza, dare una voce a chi non aveva il la forza per difendersi. Ho voluto trasformare quella situazione negativa in qualcosa di positivo, ho cercato di vedere il buono, il lato migliore, come faccio sempre nella vita. Ho fatto della mia debolezza un punto di forza. Ho voluto dimostrare a quei bulli che mi prendevano in giro che ero più forte di loro e delle loro parole. Ho passato tutta la vita a sentirmi sbagliata. A voler riuscire nello stampo di qualcun altro, a voler essere qualcosa di diverso da me; e più ci provavo più ne soffrivo, perché non ci riuscivo. Mi sentivo soffocata, mortificata ogni volta che qualcuno mi guardava.

Finché un giorno ho deciso che ero stanca di dovermi sentire in colpa o di dover chiedere scusa per come ero. E quando ho capito questo, quando ho capito che non era io che non andavo e ho imparato a perdonare me stessa, è stato come respirare per la prima volta. Forse è proprio questo, la mia fragilità a rendermi speciale. E io voglio coltivare questo mio lato, invece di doverlo seppellire. E spero un giorno di trovare qualcuno che mi ami e mi insegni ad amarmi anche per questo, invece di deridermi o di dirmi che dovrei cambiare. Tra tante persone uguali, ce ne vuole qualcuna che osi andare controcorrente. Io sarò quella donna. Quella diversa. L’outsider. D’altronde, i diamanti sono preziosi proprio perché diversi da tutte le altre pietre. Io mi sento fortunata, e a volte me ne dimentico. Dovrei ricordarmelo più spesso. Anzi, dovrei ripetermelo ogni giorno. Ogni mattina, quando mi sveglio, dovrei dirmi: “Sono fortunata”. Ma non fortunata perché ora mi invitano agli eventi, perché piaccio ai ragazzi o perché le aziende mi mandano prodotti gratuiti da provare. Anche per quello, è ovvio, ma mi sento fortunata perché ho lavorato sodo per meritare tutto questo. Perché non è un privilegio, ma un merito. Mi sento fortunata perché ho una famiglia che mi ama, e faccio un lavoro che amo. Mi sento fortunata perché ora mi accetto, perché posso scegliere chi o cosa essere. Mi sento fortunata a poter indossare ciò che voglio, a poter mangiare ogni giorno, a poter aver studiato, e ad avere diritti semplici e basilari che a tante altre persone sono negati. Mi sento fortunata ad essere qui, a non aver ceduto alle critiche, o alle cattiverie, o al dolore. Mi sento fortunata ad essere viva, ad aver resistito, ad essere andata avanti, mentre altri non ce l’hanno fatta, e hanno deciso di farla finita prima. E se sono qui, oggi, a scrivere queste cose, forse è anche per rappresentare tutti quelli che si sentono sbagliati, arrabbiati, infelici, soli, incompresi; tutti gli outsider come me, che hanno un mondo meraviglioso dentro di loro che chiede solo spazio, e tempo, e luce per poter fiorire. Quello che vi invito a fare, se state leggendo queste pagine, è di riconsiderare il modo in cui giudicate le persone. Quando vedete gente felice sui social, pensate a cosa c’è dietro quel sorriso, quante ne stanno passando magari e si sforzano di proiettare un’immagine positiva di sé per andare avanti. Quando vedete qualcuno, invece di ridergli dietro perché ha il culo grosso, il naso aquilino e i denti storti, pensate a quanto ha sofferto e a quanto soffre ancora per questa cosa; chiedetevi voi come vi sentireste se la gente vi prendesse in giro per quelle cose di noi stessi che non ci piacciono, quei piccoli difetti che tutti noi abbiamo e che facciamo fatica ad accettare. Quando vedete una compagna o un’amica che resta a casa il sabato sera, invece di pensare quanto è noiosa, chiedetevi se per caso non si senta sola, e non abbia voglia di parlare un po’, o di un po’ di compagnia per guardare un film in tv invece che al cinema. Le parole hanno conseguenze. Ti pare di sentirne l’eco per anni, forse per sempre. Ricordo ancora quando per strada mi chiamavano “frocio” o “ricchione”, e io andavo avanti a testa alta ma con le lacrime negli occhi. Quante volte avrei voluto finirla lì, la mia vita, per non subire altre umiliazioni. Io ho deciso di non cedere, di essere superiore. Ma non tutti hanno questa forza e tanti, troppi sono vittime di lingue taglienti come spade. La violenza non è solo fisica, la violenza è anche verbale. Le parole possono fare male. Impariamo ad usarle.

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