Il sociologo torinese Luca Ricolfi, in un articolo apparso sul Sole 24 ore, a proposito del ciclo economico recessivo mondiale apertosi dal 2007 e che in Italia ha portato alla perdita di circa 950 mila posti di lavoro, svolge alcune considerazione sugli effetti di questa “distruzione creativa” sul mercato del lavoro. Ricolfi nota che i posti perduti sono il saldo fra posti persi e gli incrementi avuti invece in alcuni comparti e per alcune categorie di lavoratori. L’esame di dettaglio è sorprendente e ci dice come le cose stanno effettivamente andando. Scrive Ricolfi: “ I lavoratori di nazionalità italiana, ad esempio, hanno perso 1 milione e 650 mila posti, ma i lavoratori stranieri ne hanno guadagnati circa 700 mila. I lavoratori relativamente giovani (under 45) hanno perso 2 milioni e 700 mila posti, ma quelli relativamente vecchi (over 44) ne hanno guadagnati quasi 1 milione e 800 mila. E dentro ciascuna di queste categorie, le donne occupate sono sempre andate meglio dei maschi…”….. Al punto che Ricolfi può dire che il crollo dell’occupazione è interamente maschile, e concludere:” In sintesi possiamo dire l’apparato produttivo italiano si è ristrutturato privilegiando i vecchi sui giovani, le donne sugli uomini, gli stranieri sugli italiani”
Lavoratori stranieri, vecchi e donne, meglio se donna, vecchia e straniera: questo pare oggi prediligere il mercato del lavoro. Come è potuto succedere? Domanda difficile, cui lo stesso Ricolfi esista a dare risposta, trovandola in un parallelo con quanto successo in una precedente crisi, quella del 1964. Ma quello era un altro mondo, veramente. Esiste però una costante, con il modo di rispondere allora alla crisi. Come si sa, da una crisi si esce ristrutturando l’economia e il sistema produttivo, recuperando produttività e margini, ristrutturando le aziende, innovando il ciclo, spostando la produzione verso prodotti a maggior valore aggiunto, ecc., e a parità di carico fiscale, diminuendo i costi, in primis quello del lavoro. Quella della diminuzione del costo di lavoro (in un momento, per di più, di calo dei consumi), magari usando l’elusione e lavoro nero o sottopagato, è in realtà una scorciatoia che, passata la crisi economica , lascia i problemi irrisolti, anzi li aggrava, aumentando il divario con gli altri sistemi produttivi e le altre economie che invece hanno, durante la crisi, recuperato efficienza.
Se così stanno le cose, la responsabilità degli imprenditori italiani è grande. Certo le donne si pagano di meno, gli anziani sono più esperti e produttivi nel breve, gli stranieri si accontentano e fanno lavori che gli italiani non fanno più e in condizioni di lavoro peggiori. Ma se queste sono le “leve” esse possono aiutare a sopravvivere, non ha innovarsi e a guardare con ottimismo al futuro.
Né bastano le riforme annunciate da Renzi,( anche ammesso che riesca a farle), perché come sappiamo lo sviluppo economico e i posti di lavoro non si creano per decreto. Allora? Allora la ripresina italiana non solo è timida, ma illusoria. Si conferma che la storia non insegna nulla e che la classe dirigente italiana, in particolare gli imprenditori, purtroppo, non sembrano avere il respiro e il l pensiero lungo. Diversamente da quelli che sanno puntare al profitto oggi come presupposto del benessere di domani.