LE CORNA

21 Lug 2021 | 0 commenti

Lui, lei e Lilja: le ultime corna di Majakovskij che aveva fama di teppista, odiava i pettegolezzi e si innamorava facilmente” L’eccesso di lirismo tradisce la Rivoluzione, le corna, no. Scrive prima di suicidarsi: “io e la vita siamo pari”

L’Istituto Statale del cervello (GIM), nato per studiare, facendolo a fettine, il cervello di Lenin, una settimana dopo la morte per pallottola di Vladimir Majakovskij presenta la sua perizia sull’encefalo del grande poeta comunista. Il referto riporta un peso di 1700 grammi, a fronte dei 1300 di un cervello medio, e una preponderanza della regione parietale. Pochi anni dopo, il neuropatologo Poljakov conduce un’indagine caratteriale di Majakovskij, da cui emergono i seguenti tratti: tendenza all’epilessia; costituzione ansioso-apprensiva; pianto frequente; non mangiava pesci con le spine; amava gli animali; sensibile alla più piccola offesa; terrore dei batteri; terminazioni nervose a nudo; si lavava continuamente le mani; difficoltà o impossibilità di instaurare rapporti profondi con il prossimo; si innamorava facilmente (tratto da Serena Vitale, Il defunto odiava i pettegolezzi , Adelphi).

Dio vi preservi dall’innamorarvi del più grande poeta di Russia!, ci mette in guardia Veronika Polonskaja nelle sue memorie; è come innamorarsi di un uomo sposato con sé stesso.

Veronika fa l’attrice nella compagnia teatrale in cui lavorano suo marito Jansin e Osip e Lilja Brik, amante di Vladimir. La prima volta che lo vede è a una corsa di cavalli, il 13 maggio del 1929, a Mosca. Lui indossa un cappotto bianco, il bastone e un cappello enorme. Osip Brick le fa notare quanto sia ridicolo il suo modo di camminare. Ha un broncio strafottente, le gambe troppo corte per la sua mole, e tiene le braccia attaccate al tronco come chi non è a suo agio. Ha fama di teppista, e di mascalzone con le donne.

Lui le dà appuntamento per la sera stessa all’uscita del teatro: lei lo aspetterà per oltre un’ora. Quando alla fine si presenta, le dice: “Perché cambiate così tanto? Stamane alle corse eravate un mostro, e ora siete talmente bella”. Iniziano a frequentarsi: la invita a casa sua e le declama le sue poesie, che siccome parlano di una donna che dorme in un altro letto in un’altra casa, Veronika si illude parlino di lei. Poi la raccolta esce ed è dedicata a Lilja: Veronika non sa del patto che li lega, in base al quale lui deve dedicarle tutto quello che scriverà fino alla morte. Le sue opere vengono ignorate. Il partito gli rimprovera di badare troppo ai sentimenti privati, di tradire la Rivoluzione con l’eccessivo lirismo. Veronika lo consola e lui la nomina parte della sua famiglia. È ipocondriaco, sigilla le finestre, tocca le maniglie solo con la falda della giacca, regala rose rosse ad altre donne. È soggetto a violenti sbalzi d’umore. È incapace di mentire, anche quando una bugia potrebbe rendere più sereni i loro rapporti. La porta alle sue letture: a Veronika si stringe il cuore a sentirlo declamare: “Mi ama? Non mi ama? Mi spezzo le mani e sparpaglio le dita spezzate” a un pubblico di borghesucci che hanno nostalgia dei versi fluidi di Puškin. Lo vede spiegare loro, con la gentilezza dei collerici quando hanno ragione, che i tempi sono cambiati, e la forma poetica adatta a raccontarli deve essere compulsiva e spezzata. Una volta a casa, furioso, urla i suoi versi: “Che bisogno ho io d’abbeverare col mio splendore il grembo dimagrato della terra?”. Lei piange, lui va da Lilja.

In preda alla gelosia diventa infantile e furente. La obbliga a scrivere i suoi pensieri su un taccuino dove lui scrive i suoi, e sono tutti insulti, frasi offensive e sciocche. Vede nemici dappertutto, si sente bellissimo e brutto, e non vuole che lei veda altre persone. Veronika abortisce e cade in una depressione che le impedisce di avere rapporti fisici: lui non lo accetta, litigano spesso. Un giorno, il 14 aprile del 1930, la chiude nella sua stanza di 11 metri quadri della kommunalka per impedirle di andare alle prove. La implora, urla. Bussano alla porta ed è un garzone che porta – a lui, l’autore del poema Lenin – una raccolta di opere di Lenin. Quando vede chi è quello che sta piangendo inginocchiato per terra, lascia i libri sul divano e scappa.

Vladimir si calma di colpo. Le dà 10 rubli per il taxi e si fa promettere che lo chiamerà all’uscita. Lei fa qualche passo verso il pianerottolo, quando sente uno sparo. Gli inquilini riferiscono che Majakovskij indossava una camicia gialla con una cravatta a farfalla nera. Ha un foro di tre centimetri sopra il capezzolo sinistro, la testa rivolta verso la porta e gli occhi aperti. Ha scritto un biglietto “a tutti”: “Non incolpate nessuno della mia morte e per piacere non fate pettegolezzi. Il defunto li odiava… Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia è composta da Lilja Brik, mia madre, le mie sorelle, e Veronika Polonskaja… Come si dice – l’incidente è chiuso, la barca dell’amore si è schiantata contro l’esistenza quotidiana. Io e la vita siamo pari”.

Qualcuno comincia a parlare di omicidio politico. Il poeta Nikolaj Aseev riferirà che quando la mattina lui aveva detto a Veronika che non poteva vivere senza di lei, si era sentito rispondere: “E non vivete, allora!”. Un altro compagno dirà che Veronika, appena uscita dalla porta, s’era accesa una sigaretta in attesa dello sparo.

Articolo di Daniela Ranieri per il Fatto Quotidiano

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