Ultimi giorni, fino all’ 8 gennaio 2017 (prorogati fino al 29 gennaio), per fare una bella visita a Ferrara, dove nella prestigiosa sede di Palazzo dei Diamanti è in corso la mostra: Orlando furioso, 500 anni- cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi.
Organizzata da Barbara Guidi per la Fondazione Ferrara Arte e patrocinata dal MIBACT, al di là del valore delle singole opere esposte, la mostra si distingue per la formula originale: riunire a 500 anni dalla pubblicazione del poema dell’Ariosto L’ Orlando Furioso dipinti, arazzi, libri, armi, strumenti musicali, oggetti preziosi, che circondavano il poeta e la corte estense nei giorni in cui il poema cavalleresco, che affascinò subito i contemporanei, in Italia e all’estero, prendeva forma.
Nel catalogo, curato da Giudo Bergamini e Adolfo Tura, si legge: “A partire dai temi salienti del poema, la ricerca condotta in occasione della mostra è stata indirizzata all’individuazione puntuale delle fonti iconografiche, note all’Ariosto o coerenti con la tradizione figurativa e lui familiare, che ne hanno ispirato la narrazione.”
Il poema e le gesta che vi si narrano, sono il perno attorno a quale la mostra si svolge, l’itinerario è ordinato per sezioni tematiche, in cui si alternano i temi delle battaglie, l’elegante vita cortese, il fascino per i viaggi, l’epica dei condottieri leggendari o realmente vissuti. In tutto un’ottantina di opere, alcune delle quali sono assoluti capolavori, che solo loro meritano una visita.
A cominciare dalla copia più antica conservata dell’Orlando innamorato, romanzo del Boiardo pubblicato sempre a Ferrara 30 anni prima del 1516, accanto alla specchiera istoriata con l’emblema di Alfonso I d’Este. Proseguendo nella visita, protetto in una teca, potrete vedere il finissimo olifante in avorio del XI sec. che la leggenda vuole risuonasse durante l’epico scontro fra il paladino Orlando e un manipolo di saraceni. Vicino potrete ammirare, un disegno di Leonardo da Vinci proveniente dalla collezione reale d’Inghilterra, che rappresenta una battaglia con cavalli e elefanti, l’unica rimasta del grande maestro rinascimentale.
La stessa battaglia di Roncisvalle è riprodotta in un bellissimo arazzo, datato 1475-1500 proveniente dal Victoria Albert Museum di Londa. Lo stato di perfetta conservazione ne permette l’analisi dei dettagli: dalla ricchezza delle armature, delle bardature e degli scudi, all’estremo verismo di gesti ed espressioni che restituiscono, superando la rigidità delle trame, il dinamismo e il vigore guerresco.
Seguono nella 4 e 5 sala tre capolavori: il ritratto di Leonello d’Este del Pisanello; l’opera del Mantegna Minerva che scaccia i Vizi dal giardino della Virtù, proveniente dal Louvre; il ritratto di Tommaso Inghirami di Raffaello.
Nella sale successiva, degna di nota su tutte, è la terracotta invetriata della bottega di Andrea Della Robbia. Vi si raffigura di profilo, su disegno di Andrea Verrocchio, Scipione l’Africano. Eseguita nei primi anni del XVI sec. la terracotta è quanto di più perfetto ci possa essere per rappresentare l’ideale di bellezza rinascimentale.Il viso purissimo, insieme virile e delicato, contornato di un festone di foglie, rami intrecciati e frutti, l’elmo elaboratissimo, sormontato da un drago alato, da cui sporgono boccoli di cappelli, i ricchi paramenti che spiovono dalle spalle. Un capolavoro irripetibile.
Non potevano mancare opere ispirate direttamente al mondo dei maghi e degli incantesimi. L’atmosfera favolistica che permea le pagine del poema ariostesco è rievocata dalle opere esposte nelle sale 7 e 8.
Non dimentichiamo che i tempi dell’Ariosto sono quelli che seguono la scoperta dell’America e dei viaggi di Amerigo Vespucci. I resoconti di quei viaggi, che riferivano di terre misteriose e meravigliose, attiravano molta curiosità e sono stati certamente letti dall’Ariosto, la cui fantasia trovò così modo di alimentarsi.
Il poema nella sua fase di gestazione fu letto dall’Ariosto alla corte estense. Ne fa fede la lettera esposta in mostra di Isabella d’Este nella quale la “suprema fra le donne” manifesta il piacere che la lettura le aveva procurata. Il poema fu finito di stampare nell’officina Mazzocchi di Ferrara il 22 aprile 1516. Ebbe subito una rapida diffusione e gradimento unanime. Nella mostra lo testimonia, fra le altre, una lettera di Niccolò Macchiavelli. L’Ariosto non smise mai di rielaborare il testo dell’Orlando, la cui terza e ultima versione è datata 1532, pochi mesi prima della sua morte. Il mondo intorno a lui è nel frattempo cambiato: pochi anni prima nel 1525 Francesco I viene sconfitto e inizia l’egemonia sulle corti padane degli spagnoli di Carlo V. Nelle terza versione, sottoposta a una intensa revisione linguistica, l’eco di queste vicende si fa sentire. Il nuovo corso delle arti figurative, detto Maniera, è ricordato nella mostra con lavori di Sebastiano del Piombo, e dalla copia di Leda e il cigno di Michelangelo Buonarroti, attribuita a Rosso Fiorentino.
La mostra si chiude con l’esposizione di una copia del Don Chisciotte del Cervantes, altro ammiratore del poema ariostesco, che con la sua opera rese omaggio al precursore riconoscendone la grandezza.
Immagine in evidenza: Giorgione,Ritratto di guerriero con scudiero, detto “Gattamelata”
Il 500simo del poema è stato ricordato anche a Villa d’Este in Tivoli (RM) con la mostra I voli dell’ariosto di cui potete vedere qui sotto il filmato.