Dal 5 febbraio, per la regia di Rocco Ricciardulli, l’Ultimo Paradiso con Riccardo Scamarcio su Netflix. Fra sogni e libertà, la storia ispirata a un fatto realmente accaduto nella Puglia contadina del dopoguerra
“Non tornare più, scordati questa casa, di noi, di tutto”, dice il padre a Ciccio, personaggio interpretato da Riccardo Scamarcio in L’ultimo Paradiso di Rocco Ricciardulli. “Una storia d’amore, passionale e di anarchia” la definisce il regista, che arriva su Netflix (dal 5 febbraio) con una opera seconda ispirata alla propria pièce teatrale “Trilogia della vendetta”, basata su fatti reali raccontatagli da sua madre.
Un’avventura che non sarebbe stata la stessa senza l’attore pugliese di John Wick – Capitolo 2 e Lo spietato, qui anche produttore, co-sceneggiatore e soprattutto protagonista nei panni di un contadino di 40 anni, sposato con Lucia (Valentina Cervi) e padre del piccolo Rocco di 7 anni, che scopriamo animato da grandi passioni. In primis quella per la giustizia sociale, che tenta di trasmettere ai compaesani, sfruttati dal potente Cumpà Schettino (Antonio Gerardi), e per la di lui figlia, Bianca (Gaia Bermani Amaral), con la quale intesse una relazione proibita e inaccettabile.
La fuga dalla propria terra e insieme la nostalgia per essa sono due forze che hanno fortemente intrigato lo stesso Scamarcio, nato a Trani e da sempre legato alle proprie radici… “L’Italia ha sempre avuto una emigrazione importante, lo sappiamo, e penso che questo sia un elemento nel quale si possa riconoscere un vasto pubblico – dice. – Ancora oggi c’è un’altra Italia che vive in altre parti del Mondo”. Ma il film non racconta solo questo, ovviamente, né semplicemente la storia già portata sul palcoscenico. “Quando l’ho proposta a Riccardo è cambiata – racconta il regista lucano. – Partendo da un evento reale siamo poi andati in un’altra direzione. Mostriamo una sequenza di eventi in cui vengono coinvolte dei personaggi ingenui a modo. Contadini che hanno bisogno di sognare. Ancora oggi c’è bisogno di sognare, soprattutto al Sud”. Dove, sostiene sempre Ricciardulli, “le dinamiche non sono poi così cambiate, solo gli attori”. “Ricordo come, da ragazzo, vedevo sfruttare le ragazze che venivano da fuori – chiarisce meglio il concetto, – cosa che oggi accade con gli extracomunitari. Io manco da molto da casa, ma ho ancora mia madre giù, e quando scendo mi accorgo che il caporalato esiste ancora e certe cose accadono”.
Anche per questo era importante ritrarre questo Meridione per regista e produttore, quel “Sud aspro e bellissimo che assiste con indifferenza ai drammi della sua gente” di cui si legge nelle note di regia. E raccontare l’antica lotta tra libertà e oppressione, tra giustizia e prepotenza, una forza e una dignità ormai perdute che facevano parte di quella autenticità. “Ho cercato di raccontare il conflitto e la tensione, evocando alcune atmosfere western, – aggiunge – un pezzo della mia terra e il suo ancoraggio a un mondo arcaico dove lo Stato, ancora oggi, non sa dare risposte alla mancanza di opportunità che impera ancora in quelle aree”.
Articolo di Mattia Pasquini per La voce di New York