Il ruolo dei partiti strumento essenziale della democrazia, non sono essi stessi democratici: hanno una base più ristretta e non consultano gli iscritti. Tuttavia allungano le loro mani sullo Stato.
C’erano un volta i Partiti, da una parte, e le Istituzioni dall’altra. Dal basso gli iscritti, cittadini impegnati a discutere del proprio destino, dall’altra il Parlamento e un governo in rappresentanza di tutti. Poi venne la crisi della Prima repubblica, Mani pulite, la fine dei partiti. Con questo bel risultato, lucidamente riassunto in questo articolo da un serio e competente costituzionalista.
Sono pochi i partiti che tengono, alle scadenze previste dagli statuti, i loro congressi. Ad esempio alcuni parlamentari di Fratelli d’Italia hanno lamentato che l’ultimo congresso si è svolto nel 2017. Lo statuto di Fratelli d’Italia, del 2019, prevede, all’articolo 9, che il congresso nazionale «discute e determina l’indirizzo politico del movimento» ed è convocato in via ordinaria ogni tre anni. L’articolo 11 dello statuto prevede che FdI abbia anche un’assemblea nazionale.
Questa è composta da eletti da parte del congresso, che «indirizza l’azione politica del movimento» ed è convocata ogni sei mesi. Non sappiamo quanto tempo fa si è svolta l’ultima adunanza dell’assemblea nazionale, ma sappiamo che la principale forza politica di governo — come la maggior parte dei partiti — non ha discusso e determinato, nelle forme previste dal suo statuto, il proprio indirizzo politico da numerosi anni.
Questo non avviene solo in quel partito. È fenomeno che si verifica in quasi tutte le forze politiche.
Se si aggiunge che gli iscritti ai partiti erano una volta l’8 per cento della popolazione, mentre sono ora solo il 2 per cento, si comprende chiaramente che i partiti, lo strumento essenziale della democrazia, non sono essi stessi democratici: hanno una base più ristretta e non consultano i propri iscritti.
Tuttavia, i partiti, più deboli ed oligarchici sono, più allungano le loro mani sullo Stato. L’ultimo decreto-legge del governo, numero 105, pubblicato il 10 agosto scorso, prevede una radicale riorganizzazione del ministero della Cultura e dispone che «gli incarichi dirigenziali generali e non generali decadono con il perfezionamento delle procedure di conferimento dei nuovi incarichi». Quindi, il governo di destra riprende e amplia oltre ogni limite un sistema introdotto dalla sinistra, prevedendo nuove nomine non solo dei dirigenti generali, quelli apicali, ma di tutti i dirigenti, generali e non generali, di prima e di seconda fascia. Il nefasto sistema chiamato delle spoglie, secondo il quale il bottino spetta al vincitore, viene portato alle estreme conseguenze, consentendo la modifica di tutti gli incarichi dirigenziali dell’intero ministero. Sarà, quindi, difficile aspettarsi ora competenza e imparzialità da persone la cui nomina è rimessa all’arbitrio del corpo politico, che saranno forse scelte per affinità politica, e non secondo i criteri dettati dalla Costituzione.
La prima conclusione è che la maggiore pervasività del corpo politico si realizza quando questo ha minore appoggio nel Paese, considerato il numero degli iscritti, e minore vita democratica interna, considerata l’assenza di congressi recenti.
Questo non è l’unico ossimoro dello stato presente della politica. La ricerca continua di consenso impone agli eletti — siano essi di destra, siano essi di sinistra — una presenza continua nello spazio pubblico. Quindi, i media sono invasi da dichiarazioni di leader e maggiorenti di partito, dichiarazioni dietro alle quali non vi sono dibattiti congressuali, contrapposizioni di idee, consultazioni con gli iscritti al partito.
Questa politica declinata al quotidiano nasconde un vuoto di proposte che consistano in programmi e prospettino futuri possibili. Di tale debolezza sono prova l’affannosa ricerca di risorse finanziarie, la perenne tensione con l’Unione europea per ottenere il consenso ad aumentare il debito pubblico, l’importanza assunta dalle decisioni annuali di bilancio, intorno alle quali ruota il dibattito per almeno sei mesi ogni anno, il carattere spartitorio della politica.
Intanto che tutto questo accade, si verificano modificazioni radicali del nostro ordinamento, come lo spostamento della funzione legislativa dal Parlamento al governo. Questo fenomeno si accentua nella seconda parte dell’anno, sia perché il bilancio può provenire solo dal governo, sia perché gli esecutivi usano ormai da parecchi anni prendere la decisione di bilancio riservando un apposito fondo alla libera disponibilità di tutti i gruppi parlamentari, per conquistarsene il consenso. Ma tutto ciò accade senza che le ripetute denunce fatte dagli uffici parlamentari trovino echi nelle forze politiche.
Bisogna riconoscere che nessuno pensava che un governo stabile, da comitato direttivo della maggioranza parlamentare, potesse assumere esso stesso la funzione principale della maggioranza parlamentare, quella di adottare le leggi. Ma questo accade, e dovrebbe attirare l’attenzione del personale politico, spingendolo a cercare rimedi. Dovrebbe preoccupare, in particolare, le forze di opposizione, a cui viene sottratta l’arena del dibattito, la possibilità di esercitare una influenza, in ultima istanza la dialettica democratica. Dovrebbe essere al centro della discussione pubblica, spingere a individuare cause e adottare correzioni. Invece, ci si accontenta del tweet quotidiano, della battuta dinanzi alle telecamere. È questa la politica?
Articolo di Sabino Cassese, Corriere della Sera, 27.8.2023