LO SPORT SECONDO MARTIN PARR

3 Nov 2021 | 0 commenti

Il Centro Italiano per la fotografia ospita Martin Parr. We ❤ Sports, personale di un mito della fotografia contemporanea, organizzata con il Gruppo Lavazza, CAMERA e Magnum Photos, in occasione delle Nitto ATP Finals. La mostra è aperta dal 28 ottobre 2021 al 13 febbraio 2022.

La sede di CAMERA a Torino

Nel 1986, Martin Parr espone The Last Resort alla Serpentine Gallery e pubblica un libro che ritrae la classe operaia mentre gioca nella degradata città balneare di New Brighton, nel Merseyside. È una mostra che colpisce e lascia il segno. C’è un elemento di controversia nelle sue foto, che resterà nel tempo anche nei lavori successivi. Successivamente rivolge la sua macchina fotografica anche verso la classe media (The Cost of Living, 1989) e più recentemente all’establishment (Oxbridge, scuole pubbliche, Old Bailey ecc.). Agli esordi della sua ricerca lavora in bianco e nero, ma a metà degli anni Ottanta, appena prima di The Last Resort, passa al colore, con traduzioni formali e declinazioni molto vibranti, dopo aver visto le mostre americane di Stephen Shore e William Eggleston due fotografi presi tanto sul serio da essere invitati in quegli anni a esporre in musei pubblici e del fotografo britannico Peter Mitchell. Parr esplora l’identità britannica, in ogni accezione, nel bene e nel male. Sonda le sue forme di svago con ironia e un coinvolgimento empatico. Gli altri suoi soggetti prediletti sono il cibo (lo ha reso protagonista nelle sue immagini prima di tutti gli altri, prima dell’arrivo dello smartphone) e l’effimero.

Martin Parr, Aintree racecourse the grand national Liverpool, England, 2018.

Martin Parr ha opere in molte collezioni importanti, tra cui la Tate, il Museum of Modern Art di New York e il Centro Pompidou di Parigi. Ha diretto la leggendaria Cooperativa fotografica Magnum dal 2013 al 2017. Ha partecipato a più di 100 mostre in tutto il mondo e ha pubblicato più di cento libri del suo lavoro. Nel 2017 ha aperto la fondazione Martin Parr a Bristol, sostenendo ed esponendo il lavoro di fotografi che, come lui, concentrano i loro obiettivi sulla Gran Bretagna. 

Ora vive ancora in Inghilterra, e continua a realizzare fotografie nel posto che conosce meglio e che può esplorare più facilmente, per approfondire sempre più un popolo molto eccentrico, pieno di contraddizioni: “Ho un rapporto di amoreodio con la mia nazione ed è quasi come se fotografarla fosse una forma di terapia – io che definisco cosa sta succedendo, la mia posizione, esprimendo le contraddizioni e l’ambiguità che vedo intorno a me. […] Sono un classico soft left. C’è un elemento di politica nelle mie foto, se lo si vuole trovare. E non è una sorpresa – penso che tutti i fotografi documentaristi, i fotogiornalisti in genere vengono da sinistra. Devi farlo, per essere interessato alle persone”.

Martin Parr, The Perry Family, Grayson Philippa and daughter Florence, 2012, Magnum Photos Rocket Gallery.

Cresciuto alla periferia del Surrey, da famiglia della classe media britannica, Parr è stato un collezionista fin dall’infanzia. Dagli 8 ai 12 anni aveva allestito un museo di storia naturale in cantina. Collezionava palline di uccelli rigurgitate dai rapaci. Oggi invece colleziona libri fotografici. Dopo che la sua collezione principale di libri fotografici è andata alla Tate, ha ricomprato tutti i titoli che aveva raccolto precedentemente. Secondo l’artista britannico anche la fotografia è un atto di collezionismo. Il retaggio collezionistico ha portato Parr a considerare anche le immagini come souvenir. 

Martin Parr, Bristol England, 1995-99.

I ricordi e la maggior parte delle immagini, ormai, sono alcuni dei prodotti del turismo di massa, perché è lì che si trova la nuova ricchezza, quella dei soldi extra che possono essere spesi in vacanza. Dentro i viaggi, i fenomeni del turismo di massa, le manifestazioni sportive, Parr rappresenta la realtà nella sua schietta apparenza, mostra le cose e le persone così come sono, senza mascherare i lati deboli o ridicoli. Per lui il reale è nella maggior parte dei casi molto più coinvolgente di ogni seducente finzione.

Martin Parr, Georgia, USA, Magnum Photos Rocket Gallery.

Eppure vuole comprendere la contraddizione che sta tra la mitizzazione di alcune porzioni del mondo e la realtà. Sente una responsabilità documentaria e combatte la propaganda, da cui siamo circondati, costantemente, su tutti i fronti, che si tratti di cibo, moda, viaggi, vita familiare o altro. L’idea delle riviste di viaggio è quella di vendere vacanze, quindi in esse tutto è bello e perfetto. Non mostreranno mai una scena in cui la gente viene assalita o dove un luogo pittoresco è preso d’assalto dalla massa, perché vogliono vendere sogni. Così pure fanno molte riviste e giornali asserviti ai poteri. Il suo lavoro è quello di mostrare il mondo come lo trova mentre gira per le strade, che ovviamente è molto diverso da quello della propaganda. Fa fotografie serie mascherate da intrattenimento.

Martin Parr, Death by selfie super labo, 2019.

Le sue fotografie sono abbastanza stravaganti, con colori brillanti, che però stanno bene anche sulle pagine dei rotocalchi. Al contempo ci sono altre cose che accadono se si sceglie di guardare con occhi più attenti: dentro le fotografie apparentemente divertenti c’è un messaggio più serio, se si vuole scavare e trovarlo. Parr ci conduce dentro l’apparente superficialità banale del quotidiano, dentro una società sempre più consumista e globalizzata, là dove cerca di evidenziare con divertita ironia qualcosa che appartiene alla dimensione delle questioni universali. In occasione della mostra presso CAMERA –Centro Italiano per la Fotografia, abbiamo chiesto all’autore britannico di parlarci di alcuni temi e delle immagini che sono diventate icone del nostro tempo. 

Martin Parr, Japan versus South Korea dynasty cup, Yokohama Stadium, Japan, 1998.

Di seguito una breve intervista a Parr in occasione della mostra di Camera.

Come trasmetti il tuo personale umorismo attraverso la traduzione fotografica della vita di tutti i giorni? Come fai agire la tua ironia nel gesto fotografico?

Martin Parr: La vita quotidiana è sempre divertente, solo che normalmente non ce ne accorgiamo, perché è tutta intorno a noi.

Come trasformi il banale in qualcosa di originale e interessante?

Concentrandomi su un piccolo aspetto della vita moderna, spero che lo spettatore noti la stessa cosa che ho notato io.

Martin Parr, July horse races durban, South Africa, 2005.

In modo estremamente onesto affermi di essere un turista tra i turisti e un consumatore in una società di consumo. Come cerchi di mettere a nudo l’ipocrisia della società odierna? Come olii i meccanismi che sono alla base del tuo modo di vivere la fotografia?

Io stesso credo nell’ipocrisia. Faccio tutte le cose che critico nel mio lavoro. Il mio grande progetto è ciò che le classi medie ricche fanno nel loro tempo libero, e questo include me.

Siamo interessati ad approfondire alcuni aspetti formali del tuo lavoro: i colori saturi delle immagini, la grana grezza della pellicola. 

Metà delle foto della mostra a Camera sono in digitale, l’altra metà in analogico. Se scatti in negativo a colori con il flash, ottieni questi colori molto saturi, quindi questa è diventata la mia tavolozza, e l’ho estesa alla mia tavolozza digitale. Sono attratto dai colori brillanti. Uso il flash anche alla luce del giorno. Mantiene i colori più intensi, cosa che mi piace.

Martin Parr, Kleine Scheidegg, Switzerland, 1994.

Quanto è importante l’uso del flash anulare nel catturare un aspetto della tua ricerca?

Il flash non ti dà immagini emotive, apre tutto, quindi è perfetto per un punto di vista forense, che mi si addice molto.

Il tuo sguardo sociale è allo stesso tempo ironico ed empatico. Ci fai entrare nelle pieghe più sottili della tua ironia?

Spesso una buona immagine si basa su un’ambiguità o una contraddizione, quindi le cerco perché aiutano davvero a dare alla foto una reale pregnanza.

Martin Parr, Us open, New York, USA, 2017.

Come riesci a non lasciare che i tuoi critici ti chiudano in una categoria, in una definizione o in una ricerca unidirezionale? Come cerchi di uscire da ogni categorizzazione del tuo stile?

Ho molti critici, ma anche molte persone che sostengono il mio lavoro. È sempre strano per me che il mio lavoro sia così controverso, dato che è tutto preso a livello locale, e non argomenti difficili, come guerre o carestie. 

Martin Parr, Dame vivienne westwood, 2012, Magnum Photos Rocket Gallery.

Dalle polemiche sollevate dalle tue fotografie all’interno della società britannica negli anni ’80 fino ad oggi, il tuo sguardo è stato testimone di molti passaggi all’interno della progressione del tempo storico, dove hanno preso forma vari processi di globalizzazione. Quale futuro immagini per le nuove generazioni? 

Le priorità sono sempre mutevoli. Vent’anni fa nessuno parlava veramente del cambiamento climatico e ora è l’argomento numero uno. Penso che l’attenzione a questa causa sarà il grande punto all’ordine del giorno negli anni a venire.

Martin Parr, Roland Garros, Paris, France, 2016.

Che valore dai al senso del kitsch (in chiave creativa)? 

Il kitsch è tutto intorno a noi, solo che la maggior parte delle persone pensa di avere buon gusto e che tutti gli altri siano kitsch. È un’ipocrisia che amo!

Nella tua mostra a CAMERA ci sono anche immagini che documentano vari atteggiamenti di persone immerse nella vita da spiaggia, dove si passa dall’esercizio di vari hobby alle manifestazioni di pigrizia di chi ama riposarsi dopo mesi di lavoro. Come si declina questa serie?

Ho sempre sostenuto che definiamo chi siamo da ciò che facciamo nel nostro tempo libero. Il mio grande progetto di vita è il tempo libero del mondo occidentale, e il tennis e lo sport si aggiungono a questo.

Martin Parr, Sligo races, Ireland, 1981.

In uno dei tuoi primi volumi, A Fair Day (1984), il tuo sguardo si posa sugli atteggiamenti delle persone intente a osservare e praticare le più disparate discipline sportive. Su cosa si basa la tua visione compositiva, capace di coniugare l’analisi dei costumi sociali con una forte attenzione alla resa formale dei gesti e dei movimenti?

Sono sempre alla ricerca di ogni strano accostamento, e in Irlanda sono frequenti.

Lo sport è un tema ricorrente nella tua lunga carriera artistica. Cosa rappresenta per te questa sorta di rituale collettivo e come lo porti nelle tue fotografie?

Mi è sempre piaciuto fotografare lo sport, soprattutto per le folle, grandi e piccole, e per come si dispongono.   

Martin Parr, Us open, New York, USA, 2016.

Le tue immagini dedicate a qualcosa di apparentemente marginale hanno sempre catturato la nostra attenzione, per esempio la serie dedicata ai Supporters, dove lo sport viene raccontato attraverso gadget kitsch, travestimenti grotteschi di mascotte e altri fattori o presenze secondarie. Puoi parlarci di questa tua caratteristica ironica?

Raramente fotografo lo sport in sé. Sono i tifosi che mi interessano, le cose che portano e la loro dedizione ai loro eroi, come Roger Federer.

Cosa hai colto nell’ambiente delle corse dei cavalli, un gioco particolarmente amato dagli inglesi, al quale hai dedicato molte riprese fotografiche?

Tra tutti gli sport l’ippica è il mio preferito, soprattutto perché tutti si vestono bene, gli uomini con i loro abiti e le donne con eleganti cappelli. Questo è sempre un buon punto di partenza per fare delle foto.

Martin Parr, Us open, New York, USA, 2017.

Come hai curato le immagini del volume Match Point pubblicato da Phaidon e composto da oltre 80 fotografie dedicate al mondo del tennis?

Stampo sempre la short list di circa 200 immagini su carta da 20/30 e poi la passo attentamente in rassegna e finisco con un’altra short list di poco più di 100 immagini. Da quel momento in poi, lavoro con l’editore, cercando di capire quali immagini vanno insieme e la loro sequenza, fino ad arrivare a circa 80 immagini.

Martin Parr, Us open, New York, USA, 2017.

Dopo molti anni di lavoro con lo sguardo e di studio delle persone  hai pubblicato circa 70 libri fotografici  dove dirigerai la tua ricerca e il tuo interesse? Cosa ti piace osservare ora, alla luce di tutto quello che hai osservato fino ad oggi?

Ci sono sempre più foto da fare, ci sono voluti circa 50 anni per accumulare circa 100 buone foto, quindi se ne fai più di 2 all’anno, stai facendo molto bene.

Siamo molto interessati a esplorare le analogie tra le varie forme di osservazione della realtà. In molte delle tue serie osservi (e catturi con la tua macchina fotografica) qualcuno che sta osservando qualcos’altro. Riprendi da dietro qualcuno che sta osservando un evento o un fatto casuale della sua esistenza in un certo momento della giornata. Cosa risiede in questo osservare le azioni di una persona che in quel determinato momento è uno spettatore?

Bisogna cercare di trovare una foto che abbia una torsione o un piolo, quindi spesso si vedrà la nuca e quello che stanno guardando sarà anche lì. Fare questo tipo di connessioni è importante perché rende le foto vive.

Martin Parr, Portrait of Martin Parr at us open Louis Little, New York, USA, 2017.

Intervista a cura di Sara Benaglia, Mauro Zanchi

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