Prima o poi succede, quando ti muovi in bilico fra cattivo gusto e loffiaggine. Chiamarla attrice mi è sempre apparso improprio, va be’ ha fatto dei films, ma si fa per dire. Due soli titoli bastano a dare l’idea: E allora mambo e Tutti gli uomini del deficiente. Soubrette? L’avete mai vista cantare o ballare, o muoversi sulle tavole di un palcoscenico? Comica? Sì, è stata a Zelig, ma pensate sia comico un Luttazzi? Lei ne è una versione al femminile: acida, urticante se è in vena, ma sempre troppo greve, scosciata, in transito fra cacca e merda, che insieme a piscio sono i vocaboli più ricorrenti nella sua prosa. La ricordate al suo esordio? Era quella di “Minchia, Sabbry”, non proprio una delicatezza. Lasciata negli anni che furono la latteria dei genitori ora fa la borghese con casa nella collina torinese, ma è rimasta quella di sempre, perché lei non se la tira. Indecisa se fare la monella un poco scostumata o la massaia alle prese con pannolini sporchi e borsa della spesa. Una o l’altra cosa le riescono bene perché la donna è eclettica e intraprendente. Ha alle spalle una lunga gavetta, un diploma di pianoforte e una romantica tesi di laurea sulla luna. Spero che da lì non abbia tratto questo suo aforisma: “ Bisogna vivere come i gigli dei campi. E così voglio fare, baciata dal sole, lambita dal vento e pisciata dai dobermann”.
Una carriera la sua costruita caparbiamente, supplendo col lavoro duro là dove non arrivava il talento, vincendo le ritrosie provinciali con la sfrontatezza lubrica delle sue performance. Fino a un certo giorno, perché poi….. No, non penso alla sua carriera di scrittrice, fra gambi di sedano, cavoli e piselli. Ha venduto, certo, e avrà pure fatto i soldi, ma non entrerà nella storia della letteratura italiana al pari di Alex del Piero, la Parodi o Saviano. Peccato veniale. Il peccato mortale, la svolta fatidica, sono stati l’incontro e poi il lungo sodalizio col melenso Fabiofazio, conduttore de Il tempo che fa, la leccata più lunga e costosa di Rai 3. Il siparietto finale con lei, arrampicata o sdraiata sulla scrivania come una gatta in calore, a spargere intorno metafore coprofiliache, è una delle pagine più emblematiche di cosa significhi oggi in Italia “servizio pubblico radiotelevisivo”. Non capisco perciò perché il M5S se la prenda tanto per le sue dichiarazioni di questi giorni.
Per quanto maleodorante (il Movimento è stato definito dalla nostra attrice, cabarettista, conduttrice, ecc. una merda, n.d.r.) è sempre pubblicità. Ne’ possono pretendere i Pentastellati che parallelismi e apparentamenti siano paradisiaci, visto che il “catalogo è questo”, canterebbe Don Giovanni. Attenzione, perché già i soloni della libertà di pensiero (magari debole, giusto il titolo di una rubrica che la Nostra tiene sulla Stampa di Torino), si sono levati in volo a difesa della Nostra e delle sacre virtù costituzionali. Tutto fa pensare, inoltre, che nel clima di pax renziana che rende torpidi gli italiani, la nostra Cacasènno continuerà a sentenziare e motteggiare, leggera come un peto. Di chi parlo? Ma di Lucianina Littizzetto, di chi se no?