UNA STREPITOSA MOSTRA INAUGURA A TORINO IL NUOVO CENTRO ITALIANO PER LA FOTOGRAFIA CAMERA – QUARANTA ANNI DI FOTO DI BORIS MIKHAILOV- DAL REGIME SOVIETICO AL CROLLO DEL MURO DI BERLINO, DALLE EFFIMERE PRIMAVERE VERSO NUOVE EMARGINAZIONI.
Si è appena chiusa a Torino la grande mostra del fotografo ucraino Boris Mikhailov, allestita presso i locali della più antica scuola cittadina di via Delle Rosine (che reca ancora in alto all’ingresso la scritta regia opera mendicità istruita) a cura di Camera-Centro italiano per la fotografia. Con il patrocinio del Mibac, della Regione Piemonte e della Città di Torino, grazie a importanti partner sostenitori, Camera, con i sui mille metri di spazi espositivi e tre grandi eventi annuali, è destinato a completare l’offerta culturale dell’area Nord-ovest italiana, con l’ambizione di unificare tutti gli archivi fotografici italiani attraverso una rete digitale su piattaforma informatica condivisa.
Boris Mikhailov nato in Ucraina nel 1938 ha al suo attivo oltre quarantanni di fotografia. Nato ingegnere, licenziato dal regime sovietico con l’infamante accusa di pornografia (in realtà innocenti nudi della compagna) si reinventa artista in grado di unire arti diverse, dalla scrittura, al teatro, alla pittura e scultura, con alcuni temi ricorrenti e presenti in altri artisti anti regime: l’occhiuta presenza del partito comunista e del KGB, l’oppressione burocratica, la dilagante corruzione.
Mikhailov è un innovatore anche nella tecnica. Nel lontano 1968 applica la sovrapposizione di più diapositive, accostando oggetti, figure o immagini eterogenee e disparate. Nasce la serie Superimposition, con risultati spiazzanti, inverosimili, prospettive instabili, colori astratti, immagini in dissolvenza che trasudano di cultura figurativa e che evocano quelle di film d’autore.
La critica ironica al periodo sovietico è alla base della serie di lavori risalenti agli anni ’70 dal titolo Red Series e Luriki. Fotografie virate color seppia o colorate in cui il benessere della neo borghesia che scopre gli ozi balneari, le prime automobili, i primi oggetti consumistici, viene illustrato attraverso una effimera parodia .
Il Crollo del Muro di Berlino rappresenta per Mikhailov, non solo la dissoluzione e la decomposizione dell’URSS, ma la fine e l’inizio di una nuova nazione, la bellezza del sacrificio, la dimensione religiosa e spirituale, ma tutto ciò in pieno trapasso doloroso, in una città non bella, sporca, piena di poveri e senza tetto. Nasce la serie di Case History in cui il degrado postcomunista raggiunge la punta più acuta. Grandi manifesti, che nell’allestimento di Camera scandiscono come in una Via Crucis il grande corridoio centrale, ritraggono persone posta ai margini, reietti che hanno raggiunto il punto più basso della scala sociale, gente senza più speranza.
E per finire, la svolta drammatica del 2013, con i carri armati russi che invadono il paese dopo avere annesso la Crimea, le immagini della rivoluzione di piazza Majdan a Kiev contro il corrotto presidente post comunista Yanukovich. Immagini nella serie The Theater of War questa volte belle anche esteticamente, dai toni epici, pur nella calma glaciale delle piazze( è l’implacabile inverno ucraino), sventola un’iconografia dimessa, gruppi di ragazzi si stringono e baciano, giocando a fare la rivoluzione, ma terribilmente seri. Accanto ai fascisti dell’estrema destra xenofoba, operai e disoccupati senza rabbia, fermi contro i padroni dei Ming e dei carri armati.
Ha scritto Domenico Quirico, che conosce quel paese: “Ho visto passare autocarri carichi di uomini. Rotolavano con un rombo di tuono… autocarri scuri di fango, scuri anche gli uomini, i soldati, i volontari, sessantenni e ragazzi arraffati sui banchi di scuola o nell’ora in cui tornavano dai campi con le braccia appesantite per il lavoro e il sudore della giornata… l’Ucraina è un paese immenso, instancabile. Vi si trovano i più disperati difetti, ma ha un grande merito; la fede e il dolore vi sono amati”.