MAGRITTE, DALI’ & C

30 Gen 2019 | 0 commenti

TRA DADA E SURREALISMO, I DIALOGHI DELLE AVANGUARDIE CON LA LETTERATURA– ALLA FONDAZIONE FERRERO AD ALBA ESPOSTI FINO AL 25 FEBBRAIO I CAPOLAVORI DELLA COLLEZIONE DEL MUSEO BOIJMANS VAN BEUNINGEN DI ROTTERDAM

 

Renè Magritte

Alla Fondazione Ferrero i capolavori del ’900 dalla Collezione del Museo Boijmans Van Beuningen
Nella straordinaria collezione di arte antica e moderna del Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, che va da Bosch e Rembrandt fino alla Pop Art e oltre, spicca per la sua eccezionale importanza il nucleo di opere del Dadaismo e del Surrealismo: oltre centoventi dipinti e sculture, e una preziosa raccolta di libri, foto e documenti originali. Una parte essenziale di queste acquisizioni, tra cui un buon numero di grandi capolavori, era di proprietà dell’eccentrico poeta collezionista inglese Edward James, amico e sostenitore in particolare di Salvador Dalì e René Magritte, e tra l’altro finanziatore della raffinata rivista Minotaure, principale organo dell’area surrealista che aveva rotto con Breton negli Anni 30. La mostra «Dal nulla a sogno» alla Fondazione Ferrero è incentrata su questo vasto nucleo di opere del museo olandese, esposto per la prima volta in Italia.
Il percorso espositivo, ideato dal curatore Marco Vallora (pur tenendo conto in linea di massima degli aspetti storico-cronologici) si sviluppa liberamente, attraverso nove sezioni di carattere tematico, come una fluida e immaginifica narrazione sfaccettata in cui entrano in gioco i principali elementi costitutivi dei rivoluzionari programmi teorici e operativi dei due più radicali gruppi d’avanguardia della prima metà del ’900. Vengono messi a fuoco sia gli aspetti di diretta filiazione sia quelli fortemente divergenti fra il movimento dadaista nato nel 1916 a Zurigo, durante la guerra, e capitanato dal poeta Tristan Tzara, e quello surrealista ufficialmente fondato da André Breton nel 1924 a Parigi. Dopo la fine dell’avventura dadaistanel 1922, gran parte parte degli esponenti del variegato gruppo (tra cui Ernst, Arp, Duchamp, Man Ray, Picabia) entrano da protagonisti nell’area surrealista.

Paul Delvaux

La poetica anarchica e nichilista dei dadaisti, antimilitarista, internazionalista, nemica del «buon gusto» borghese, esalta nella letteratura e nelle arti visive l’irrazionalità, la spontaneità, la provocazione, l’infantilismo ludico, e la rottura e il «détournement» di ogni schema linguistico codificato, esaltando le potenzialità creative del caso. Breton e i suoi amici imparano molto da questo attivismo (apparentemente) distruttivo e libertario, ma lavorano per innescare e sviluppare un processo di reinvenzione più costruttiva della visione del mondo, ripescando anche le forme più stimolanti e innovative della letteratura e della pittura simboliste (da Poe, Rimbaud, Lautreamont, Jarry ad artisti come Odilon Redon) e rivalutando la carica fantastica della letteratura considerata popolare come quella di Jules Verne o Fantomas. Come scrive Vallora, «ricaricano il cucù dell’immaginario», e si lasciano «invadere dai flussi rapinosi del sogno e dell’inconscio, dalla danza dionisiaca dell’imprevedibile e dell’enigma». Adepti della psicanalisi di Freud (che però li sconfessa) scandagliano i misteri e gli abissi delle pulsioni più profonde e perturbanti, di Eros e Thanatos, a livello individuale e collettivo.

Man Ray

L’esposizione scorre, per così dire, su un doppio binario. In tutte le sale, in una serie di vetrine, sono presentati libri (come Naja di Breton), foto, riviste del movimento (Litterature, La révolution surréaliste, Minotaure), e oggetti «a funzionamento simbolico» come il ferro da stiro con chiodi o il metronomo con la foto di un occhio sull’asta che oscilla, di Man Ray, e il telefono-aragosta di Dalì. E c’è ci sono anche due fondamentali lavori di Duchamp, La boîte verte e La boîte en valise. I materiali di queste vetrine accompagnano, con continui rimandi reciproci, i quadri e disegni sulle pareti e le sculture sui piedestalli, sottolineando un fatto fondamentale e cioè la stretta interconnessione fra la dimensione letteraria e quella figurativa. Emblematico in questo senso è Riproduction interdite del 1937: un uomo visto di spalle (bizzarro ritratto di Edward James) che si guarda allo specchio su cui però è assurdamente riflessa la sua immagine vista sempre da dietro. Sulla mensola sotto lo specchio vediamo, dipinta in modo iperrealistico una copia del romanzo Gordon Pym di Poe.

De Chirico

Un altro esempio di connessione fra letteratura e pittura, altrettanto affascinante e criptico, è Impression d’Afrique di Dalì, in cui le suggestioni del romanzo omonimo di Raymond Roussel (scrittore di culto per Duchamp e tutti i surrealisti) sono reinventate dal pennello metamorfico del pittore che si raffigura al cavalletto. Questi due artisti sono senza dubbio quelli meglio rappresentati in mostra: oltre a quelli citati, possiamo vedere vari dipinti eccezionali come quelli che nella sala finale rimandano agli orrori della guerra: Sulla soglia della libertà del pittore belga, con un inquietante cannone giocattolo; e España, in cui Dalì ha dipinto un terribile teschio, che con una vertiginosa «mise en abîme», è riempito in tutti i suoi fori da immagini di se stesso sempre più piccole. Tra le varie sale tematiche (che affrontano argomenti come il sogno e il doppio, il fascino dell’antico, la fisica vorticosa degli atomi, il rapporto con la cultura di massa) la più intrigante non poteva che essere quella cruciale dedicata alle fascinazioni e perversioni erotiche e sessuali, con lavori di Magritte (delle scarpepiedi con allusioni feticistiche), di Man Ray (il gesso di una Venere nuda legata con corde), la sinistra serie di foto delle Poupée di Hans Bellmer, e anche spezzoni del film L’âge d’or di Louis Buñuel.

Articolo di FrancescoPoli per Tutti libri-La Stampa

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