Ambrois Vollard è stato un famoso e fortunato mercante d’arte. Vissuto a Parigi fra fine ‘800 e ’900, ha conosciuto i più grandi pittori dell’epoca sua. In particolare gli impressionisti, i simbolisti e i divisionisti, artisti con i quali ebbe frequentazione non solo professionale.
Leggendo le sue Memorie di un mercante di quadri, libro mediocre, nulla viene restituito della complessità e del fascino di quegli anni: quella di Vollard pare una mera contabilità dell’arte, con qualche punta di colore, qualche raro tratto di atmosfera o di costume.
La domanda è d’obbligo: ma come si fa a vivere accanto a eccezionali artisti, a uomini di grande ingegno e dalla personalità spesso affascinante, senza che ciò lasci in noi alcuna eco apprezzabile?
La domanda, però, è anche retorica, in quanto della eccezionalità degli eventi e degli uomini ci accorgiamo sempre (o quasi sempre) dopo, molto tempo dopo.
Un altro esempio di memorie del mondo dell’arte, che si muovono sulla pedestre banalità del quotidiano- il quale si sa non ammette eventi esemplari- sono quelle di Lorenzo Da Ponte, un veneto di Ceneda, morto in Usa in avanzata età, nel 1838.
Librettista eccellente, un poco avventuriero, poeta pari almeno al Metastasio per quanto riguarda briosità, naturale fluidità del verso e musicalità, Da Ponte ebbe il suo momento di splendore a Vienna in sodalizio con Mozart, per il quale scrisse il libretto delle opere maggiori, fino al tedesco Die Zauberflote, che segna un mutamento di gusto nel musicista e nel pubblico di allora.
Ebbene, come per Vollard, nulla di apprezzabile ci viene tramandato del genio di Salisburgo, nemmeno in accenno bozzettistico, uno straccio aneddotico. E non solo del suo rapporto con Mozart, ma della Vienna di fine ‘700, corte e città magnifiche.
Chi, forse suo malgrado, riesce a fare delle memorie della sua vita non solo un snodarsi di vicende autobiografiche senza gusto o colore, ma lo specchio dell’epoca e il riflesso della cultura e del gusto delle élite dominanti, è Giacomo Casanova.
Consiglio di leggere la sua Historie nella aderentissima traduzione che ne fece Piero Chiara- scrittore ora dimenticato ma significativo- per tanti aspetti vicino all’avventuriero e sciupafemmine veneziano.
Al giramondo poliglotta, poeta, diplomatico, ecc. ecc. veneziano l’operazione riesce in quanto parlando di sé e delle sue rocambolesche avventure, nonché della decrepita vecchiaia in Boemia, Casanova ci restituisce del tempo un affresco ancora vitale e ricco di sfumature. In questo caso, la psicologia e lo sguardo sul mondo che ebbe Casanova, e quanto di quel mondo abbiamo ricostruito con gli infiniti frammenti della memoria collettiva, coincidono perfettamente.
Della grandezza del personaggio si accorse anche Fellini ( un’eccezione per un regista così auto ispirato e egocentrico) , che gli dedicò un film, in cui lo rappresenta nelle ambascie di bibliotecario di Dux in Boemia, ritratto memorabile di aspra e inacidita vecchiaia.
Da lì Casanova vede la prima grande rivoluzione moderna, quella del 1789, ma senza capirla, interprete fino in fondo di quel ancien regime di cui fu testimone esemplare.
Tre uomini illustri, tre memorie, un riflessione che ci fa capire quanto sia difficile decrittare le epoche se affidate al filo delle memorie. Se poi la memoria si fa gigantesca, nella realtà condivisa punto 2, allora la battaglia è persa. in partenza.