Il “Ventre di Napoli”, visto dal ventre di New York
A volte allontanandoci vediamo meglio ciò che pensiamo di conoscere: io l’ho scoperto leggendo Napoli da New York
Andate più dietro. Ancora un po’. Un altro poco. Dai, ancora un passo. Ecco, fatto. Ora va bene. Ora siete abbastanza lontani da vedere meglio. Certo non vedrete tutto, è chiaro, per quello vi serve il grandangolo che umanamente non avete, ma già aver fatto qualche passo indietro rispetto a ciò che guardate, è un passo in avanti nell’aprirvi lo sguardo, ecco. E ora guardate. Ora guardo anche io. Sono a 10 ore di volo e 6 di fuso orario. Ora guardo meglio la Napoli che ho lasciato due settimane e qualcosa fa. Mi aiuto a guardare leggendo chi ha visto prima di me, chi ha visto e raccontato bene, benissimo prima di me.
Ecco, è ciò che faccio ora quando nella Subway (metro, era facile) di New York, leggo Matilde Serao, quando nel ventre del Mondo leggo Il Ventre di Napoli. Lo sappiamo vero chi è Matilde Serao? No, non è solo quella che ha il nome della scuola di vostro figlio. Ok, ripassata veloce veloce: è una grande donna, ma grande assai, giornalista e scrittrice, fondatrice de Il Mattino(125 anni or sono), vissuta a cavallo tra l’800 e il ‘900. Ha scritto una marea di cose, ha combattuto una marea di battaglie, è stata giornalista prima che donna e all’occorrenza donna prima che giornalista. Ecco chi è. Nel 1904 ha finito di scrivere il testo di cui sopra. Non lo avevo mai letto, pur conoscendone l’esistenza. E sì che sono napoletana fino al midollo. Anche nella subway di New York. L’ho comprato poco prima di venire qui, non per portarlo qui ma avercelo portato in questa lunga “sosta newyorkese”, è stato decisamente bello. L’ho letto solo nella subway, dove in pratica ti siedi quasi sempre e per il tragitto della mattina. C’ho messo circa 10 giorni. Dettagli. Ma che forse fanno la differenza, qualche volta. Quelli minuziosi raccontati da Matilde, la fanno di sicuro perché raccontano di una Napoli di fine secolo e inizio secolo nuovo. Ora voi direte: “Bello, bellissimo, ma cosa c’entra con la Napoli che hai lasciato ora?” Ecco, apposto: non avete letto la Serao. Perché se voi lo aveste fatto, con gli occhi lontani e il cuore a battere qualche migliaia di chilometri oltre l’Oceano, allora questa domanda non la fareste.
Matilde racconta di quella Napoli, che non è così lontana da questa, una Napoli la sua dove i regnanti politicanti mentono e usurpano il popolo dopo averlo meschinamente abbandonato, e che si aiuta da sola, nelle case piccole dei bassi e della Sanità; una Napoli dove si fregiano le strade principali per renderle belle agli occhi dei forestieri ma dove i vicoli restano uguali a se stessi, luridi, anzi anche peggio; una Napoli che i suoi drammi continua a viverli lontano dai palazzi del Rione della Beltà, nelle sue miserie di popolo-non popolo, figlio e fratello di nessuno, denigrato dalle genti nordiche che di Napoli non si curano, che vorrebbero sventrarla, perché niente c’è da salvarne, in quei vicoli lerci dove nessuno spazza perché nessuno spazzino fa il suo dovere. E dove l’ultimo padre di speranza viene tolto al suo popolo.
Ora facciamo un po’ di cambi, un po’ di sostituzioni linguistiche diciamo: allora, al posto di forestieri mettiamoci turisti; al posto di Rione della Beltà mettiamoci Lungomare. Poi, al posto di genti nordiche che vogliono sventrarla, mettiamoci settentrionali che vorrebbero vederla bruciare, invocando il Vesuvio per questo. Sostituiamo i vicoli lerci dove nessuno fa il suo dovere agli uffici, ai comuni, alle amministrazioni dove nessuno fa il suo dovere e infine, per quel padre di speranza, pensiamo a tutti quelli che hanno provato a rendere migliore questa terra ma la Camorra, la mala o chi per essa non l’ha concesso. Ora, non vi sembra straordinariamente attuale? Non vi sembra che ancor oggi Napoli viva e si fondi sulla povertà delle sue genti, che s’arrangiano, in un sostegno continuo e reciproco, forti solo di esso e che dal resto dell’Italia nulla si aspettano? Matilde racconta delle tradizioni di questa Napoli fatta di pasti umili e lavori parimenti poveri, mal pagati e mal sicuri: che cosa pensate sia cambiato? Chi è che a Napoli lavora ben pagato e protetto? Facciamo i conti. Li facciamo davvero? No, tanto ritornerebbero solo più beceri e sconfortanti. Ecco qui, cosa vedo da una subway in orario e quasi mai troppo affollata. Vedo la mia Napoli, dove s’inaugura la Funicolare ma poi si ferma tre volte in 7 giorni, vedo la mia gente soffrire il caldo e saper parlare solo di quello mentre arrestano un politico, accerchiano dei militari e bruciano ancora il nostro Vulcano. Le notizie si susseguono, sono quelle date in pasto ai siti web a cui più nessuno fa caso.
E allora, poi, la domanda sorge spontanea: che si fa? Sul serio, dico sul serio: che si fa? Che fate? Che facciamo? Ci accontentiamo di essere pizza, sole e mandolino e di essere più civili perché ora il casco quasi sempre ce lo mettiamo? Ma no. No, dai veramente. È che Matilde ce lo dice cosa fare: il nostro dovere, come gli spazzini e i comunali di prima. Il nostro dovere e basta. Tutti, però, indistintamente, senza imbrogli, sotterfugi, cazzimma poco bonaria e spirito immolato alla legge del più furbo. Ce lo suggerisce Matilde e in fondo lo sappiamo anche senza averlo letto come lei lo ha splendidamente scritto. È che ci vorrebbe così poco per non essere solo cartolina, per essere molto, molto di più. Con le parole è più facile che con la ramazza è chiaro. Ma qui la speranza non può morire, non sia mai ci muore sotto il naso. Sai che dramma? E allora facciamo tutti quanti quei passi un poco più indietro e guardiamola meglio Napoli. No, non c’è bisogno che prendiate tutti l’aereo per gli States: basta solo allontanarvi un po’. La Napoli vista da qui è una Napoli un poco poco più reale, perché se ci sei dentro non la vedi come dalla subway di New York e non capisci che, come scriveva Matilde, l’acqua miracolosa di Serino la conoscono gli stranieri, è fatta per i forestieri, mica per i napoletani che bevono acqua di pozzo.
A volte bisogna andare nel ventre del Mondo per guardare meglio il ventre di Napoli. Un ventre partenopeo di cui siamo figli e figli vogliamo restare, perché non è giusto esserne strappati via. E lo vedi meglio da qui, dal centro del Mondo che però, non è il centro del tuo Mondo, tu che Napoli la ami e non l’abbandoni. Mai. E mica perché sei provinciale e folckoristico. Non l’abbandoni perché non s’abbandona, non se ne abbandona il popolo e la terra, ma la si salva. E Napoli deve salvarsi da sola, come scriveva Matilde: “Io debbo cominciare per salvarmi, se voglio essere salvata da tutto, da tutti. Nella mie mani è la mia prima risurrezione (…). Farò, io, vedere al mondo (…) che di tutti i doni della sorte io sono degna, io, Napoli, paese di gente onesta, mandando al Comune solo gli onesti, chiedendo ad essi, che da essi si prosegue e si esalti la mia riabilitazione!”. E chest’è.