N’aria ’e primmavera. Questo splendido verso di Marzo, la poesia più popolare di Salvatore Di Giacomo, uno dei personaggi di riferimento della cultura napoletana tra Otto e Novecento, è stato scelto come sottotitolo e in un certo senso sottofondo di una mostra che intende restituirci per la prima volta, in tutte le sue sfaccettature, il vivacissimo profilo di Napoli nella stagione che cavalca i due secoli e si spegne con la Grande Guerra, di quel gusto internazionale identificato in Italia con il termine Liberty. Sono gli anni euforici della Belle Époque, quando una incondizionata fede nei valori del progresso e della modernità investe anche il nostro Paese, uscito, in verità con non pochi problemi, dal faticoso processo di unificazione. Anche sull’Italia, politicamente unita ma ancora socialmente ed economicamente molto divisa, spira almeno nelle grandi città, animate da una borghesia e da un ceto operaio emergenti, un’aria di rinnovamento, quella appunto che caratterizza una stagione come la primavera, quando la natura risorge. Del resto la definizione di Floreale, molto usata in alternativa a quella di Liberty, è estremamente indicativa e ci ricorda come l’iconografia della primavera, mutuata anche dal Rinascimento del riscoperto e adesso idolatrato Botticelli, caratterizza in ogni campo le creazioni di questo stile che pur proponendosi come nuovo, un altro dei suoi tanti nomi è Art Nouveau, ha radici antiche.
Secondo le intenzioni dei due curatori, chi scrive e Luisa Martorelli, Napoli è stata, come Milano, Roma, Torino e Palermo le altre città d’Italia che più hanno vissuto lo slancio della modernità, uno dei centri del Liberty, considerato non solo come uno stile che ambiva a cambiare le arti, ma uno slancio progressista inteso a creare un nuovo modo di vivere. La singolarità della mostra è quella di non isolare le cosiddette arti maggiori, architettura, pittura e scultura, ma considerarle in stretto rapporto con quelle applicate, mobili e oggetti d’arredo, oreficeria e grafica, tessuti e abiti. Il Liberty ha infatti qualificato gli spazi domestici, lasciando la sua impronta negli oggetti d’uso quotidiano, e quelli pubblici, sia nelle facciate decorate dei nuovi palazzi che nei magnifici manifesti pubblicitari che hanno invaso e animato con le loro stupefacenti invenzioni le strade.
Per Napoli, reduce da un periodo di disillusione e di decadenza seguito alla perdita del ruolo di capitale, questo è stato un momento di grande riscatto che si è espresso non solo nel campo artistico, ma anche in una straordinaria vivacità culturale che ha investito sia gli studi e il dibattito intellettuale, avendo come proprio faro l’idealismo di Benedetto Croce, sia la letteratura alta e bassa, e soprattutto i giornali, i cui riferimenti sono personaggi molto popolari come appunto Di Giacomo, Matilde Serao ed Edoardo Scarfoglio. La loro creatura, un quotidiano «Il Mattino», veniva addirittura definito da Carducci come il giornale «meglio scritto d’Italia». Mentre la rivista «Napoli Nobilissima», cui diedero vita nel 1892 Croce e Di Giacomo, si segnalò, oltre che per l’eccellenza della ricerca storica, per la riflessione sulla salvaguardia dei monumenti. Ma Napoli come Parigi è stata anche una capitale della mondanità, con la sua vita associativa che si svolgeva nei circoli e nei luoghi di riunione attorno alla Galleria Umberto I, architettura in ferro e vetro dal forte valore simbolico, o nel celebre e ancora esistente Caffè Gambrinus e nei numerosi café chantant come il leggendario Salone Margherita, dove si esibiscono le sciantose, come Lina Cavalieri e Maria Campi che inventò “la mossa”, e si cominciano a cantare quelle canzoni destinate a divenire immortali e a diffondere in tutto il mondo la napolenità.
Grazie a una serie di riferimenti e a un particolare allestimento, che valorizza gli spazi dal sapore tra Liberty e Art Déco di Palazzo Zevallos con la sua magnifica volta vetrata, le opere, in gran parte poco note o addirittura inedite, selezionate per questa mostra sono state come immaginate sullo sfondo di una città che si è rinnovata prima di tutto da punto di vista urbanistico, grazie al grande piano di risanamento seguito alla epidemia di colera del 1884. Al vecchio e malsano “ventre di Napoli”, descritto magistralmente dalla Serao, subentra la moderna città borghese con le sue strade dritte e ampie, i suoi orgogliosi edifici svettanti, le ville e i grandi alberghi che si insediano nei quartieri di Chiaja, del Vomero e di Posillppo. Questa nuova Napoli,una vera città che “sale”, sarà pronta nell’aprile del 1910 ad accogliere Marinetti e i suoi per una memorabile serata futurista al Teatro Mercadante. Il vecchio scultore Gemito, ospite d’onore, rimane ancora l’artista più rappresentativo e amato della città. Ma oltre a lui la mostra ci presenta anche altri protagonisti come il non ancora abbastanza rivalutato Vincenzo Migliaro, pittore spesso geniale, e un altro grande scultore come Filippo Cifariello che ha goduto giustamente di una reputazione internazionale.
Tra le sorprese di questa rassegna ritroviamo alcuni commoventi capolavori del giovane Felice Casorati che, prima di diventare un protagonista del Novecento, si è fatto le ossa proprio a Napoli dove, al seguito della famiglia che seguiva le peregrinazioni del padre militare, ha trascorso dal dicembre del 1907 al marzo del 1911 tre anni fondamentali nel suo percorso artistico e destinati a lasciare una traccia anche nell’ambiente partenopeo. In uno studio «grande e bello», che riceveva luce «da una finestrona laterale grandissima», realizzò almeno trentotto dipinti di cui quelli esposti, raffinate composizioni di figure, risentono delle suggestioni decorative e simboliste tipiche della cultura figurativa internazionale di quel periodo.
Ma in mostra risaltano anche gli esiti di una pittura dalla tensione sperimentale, che guardava alle Secessioni europee, e soprattutto lo straordinario slancio delle Manifatture nel campo delle arti applicate. La qualità dei vasi, dei coralli, delle tarsie sorrentine è riuscita a trovare il giusto riconoscimento in sedi prestigiose, come l’Esposizione universale di Parigi del 1900 e l’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna di Torino del 1902. Furono soprattutto apprezzati i grandi gioiellieri per l’incredibile estro delle loro creazioni e la maestria nella lavorazione delle pietre dure, corallo, tartaruga, madreperla, spuma di lava.
La mostra offre un campionario esemplare di questi oggetti originalissimi e, per finire, della grafica pubblicitaria di cui proprio Napoli è stata uno dei centri più avanzati in Europa. Sono stati infatti ingaggiati dalle ditte più all’avanguardia, come i Magazzini d’abbigliamento Mele o le conserve Cirio, accanto ai locali, come Scopetta e Migliaro, artisti di fama internazionale, come Dudovich, Metlicovitz e Cappiello, che hanno visto risplendere le loro invenzioni nelle strade assolate e affollate della nuova metropoli proiettata verso il mare.
Articolo del curatore della mostra Fernando Mazzocca per il Domenicale del Sole 24 Ore
La mostra: Napoli Liberty. Gallerie d’Italia, Palazzo Zevallos Stigliano, Via Toledo 185. Napoli. Dal 25 settembre 2020 al 24 gennaio 2021.