Genitori violenti e insegnanti picchiati, è il trionfo dell’Italia coatta.Notizie di professori aggrediti riempiono ogni giorno i giornali. È la vittoria dell’Italia coatta, a cui piace prendersela con i deboli. Forse l’idea di una scuola aperta ci ha un tantino preso la mano.
Su un suo blog, tale Trucebaldazzi, esprime così il suo odio viscerale per la scuola. Da rabbrividire!
Leggete:
L’ultimo caso è il genitore di Palermo che va a prendere la figlia (scuole medie), quella gli racconta di essere stata strattonata dal professore (non era vero), lui entra in classe, sferra un micidiale cazzotto all’insegnante, peraltro ipovedente e poco in grado di difendersi, lo atterra, seguono calci e ricovero con 25 giorni di prognosi per emorragia cerebrale (è vero). Prima c’era stato il papà del tredicenne di Treviso, due pizze al docente di matematica troppo assertivo nel chiedere al ragazzino di uscire in cortile insieme agli altri a ricreazione (Versione del padre: «Ho dimostrato a mio figlio che ha un papà che per lui fa di tutto. Chiedere scusa? Non ci penso nemmeno»). Prima ancora la coppia di Avola, mamma e papà quarantenni, che fanno irruzione nella scuola media Vittorini: il pupo ha telefonato lagnandosi dei rimproveri maestro di ginnastica, loro se lo fanno indicare (il mastro, non il pupo) e lo pestano davanti a tutti.
Prima c’era stato il papà del tredicenne di Treviso, due pizze al docente di matematica troppo assertivo nel chiedere al ragazzino di uscire in cortile insieme agli altri a ricreazione
L’Italia coatta dà il meglio di sé nell’istituzione scolastica, dove può cimentarsi con insegnanti di mezza età – categoria poco adusa allo scontro fisico – e dimostrare al mondo come si risolvono i problemi. Probabilmente vorrebbe menare anche altri soggetti, il capufficio che obbliga al cartellino, il vigile che multa la sosta in doppia fila, il gruppo di nigeriani all’angolo che costringe ad attraversare il marciapiede per sicurezza, ma sono tutte categorie a rischio. L’Italia coatta è anche vigliacca, preferisce i maestri. Che di solito non denunciano (non hanno soldi per gli avvocati) e non vengono col machete sotto casa. L’Italia coatta potrà raccontare a se stessa e agli amici che lo ha fatto per per il pupo. Per senso di giustizia. Perché stufa di prepotenze. Più o meno gli stessi motivi di Don Vito Corleone, solo ridotti in miniatura, a misura di tinello.
L’Italia coatta ama prendersela coi più deboli. E’ la stessa che su internet applaude i gendarmi francesi che strattonano l’immigrata incinta («Poteva scendere dal treno se non voleva essere menata, le regole vanno rispettate»), ama la giustizia fai-da-te dei pistoleri, gonfia il petto raccontando come ha scacciato il vucumprà al semaforo. I figli sono piezz’e core ma soprattutto proprietà. Il padre coatto rivendica il diritto esclusivo di menare, intimidire, rimettere in riga la prole, e mal sopporta le interferenze della scuola. «Giù le mani dalla roba mia» dice ogni volta che alza la voce nei colloqui o fa ricorso al Tar per un sette in condotta giudicato immeritato.
L’Italia coatta potrà raccontare a se stessa e agli amici che lo ha fatto per per il pupo. Per senso di giustizia. Perché stufa di prepotenze. Più o meno gli stessi motivi di Don Vito Corleone
La scuola, la società, nulla possono contro questo genere di matti. L’unica, forse, sarebbe rompere ogni rapporto con le famiglie, tornare all’era pre-decreti delegati, la riforma che portò padri e madri nei consigli d’istituto, e rendere l’istituzione impenetrabile e misteriosa, i suoi giudizi inappellabili, le sue gerarchie non contestabili, chiarendo che la patria potestà si ferma al portone delle medie o del liceo e che una volta dentro i ragazzi debbono spicciarsela da soli. È un paradosso, certo, ma l’Italia coatta che sceglie la scuola come bersaglio facile lo fa, anche, perché lì può entrare come nel burro. Non c’è altra istituzione – la sanità, la politica, la giustizia – dove si può fare irruzione ed esercitare analoga prepotenza senza pagare dazio.
L’alternativa è rassegnarsi all’Italia coatta, alimentando sotto il velo di una pedagogia amichevole e tollerante l’escalation del rancore tra famiglie, insegnanti, studenti: non più il conflitto aperto e tutto sommato creativo degli anni dei grandi casini scolastici, delle marce, delle occupazioni, ma le piccinerie vendicative e le rappresaglie balorde che vediamo ogni giorno. Meglio davvero rimettere l’insegnamento sul piedistallo, magari per tirargli i pomodori, che vederlo umiliato dalle risse di cortile.
In copertina un’opera allegorica di Aurelio Carpi