Pannella, la Politica che divora per vincere- Ritratto di un leader in exit per morte annunciata- Per lui un coccodrillo che è un invito alla vita.
C’è qualche italiano in buona fede che non nutra per Marco Pannella stima e ammirazione? Magari avversandone le idee, ed essendosi trovando nelle annose battaglie sui diritti e la legalità dalla parte opposta della barricata, caparbiamente difesa dal leader radicale? Non credo. Perché se mai c’è stato in Italia un politico sui generis, che andava su mentre la partitocrazia affondava nel discredito, questo è stato proprio Marco Pannella. Battaglie discutibili, a volte, come la liberalizzazione delle droghe o per il diritto di aborto, una vita privata e un agire pubblico sempre spinti all’eccesso, al paradosso spiazzante, alla provocazione programmata. Sì, tutto ciò è stato Pannella. Ma mai una ruberia, mai la corsa alla poltrona, mai un tentennamento nel difendere la coerenza delle sue idee, costasse impopolarità ed emarginazione. Sguardo sempre limpido e puntato lontano, sui veri problemi, come conviene alla Politica, mai alla contingenza, alla convenienza spicciola, meno che meno al tornaconto personale. Onesto, appassionato, sempre!, anche negli errori, anche nella gestione del partito radicale come fosse una setta di iniziati, una combriccola di devoti affezionati adepti, perché tali dovevano essere coloro che al suo fianco ne hanno carpito le idee, sopportato i capricci, rette le sfuriate, a volte emancipandosi con mutuo accordo, come avviene alla fine, da un padre-padrone ieratico, di una grandezza quasi biblica, e com’è giusto che sia.
Nell’approssimarsi della morte di un personaggio illustre i quotidiani preparano l’articolo di commiato, spesso laudatorio oltre misura. Nel gergo si chiama coccodrillo, il che la dice lunga sui toni che abitualmente si usano nella sua stesura. Anche gli avversari depongono le armi, mitigano i toni, la sospensione delle ostilità è imposta dalle circostanze, se non delle intime convinzioni.
Nel caso di Pannella, siamo di fronte alla cronaca di una morte annunciata, sia per l’avanzata età, 86 anni, sia per i due tumori che stanno consumando la sua forte fibra.
In più, di suo, Pannella mette nell’annuncio dell’inevitabile e imminente exit, toni di sfida e accostamenti paradossali propri di un temperamento indomito, che suonano a taluno scandalizzanti. (cfr. in questo sito: https://www.ninconanco.it/i-toscanelli-di-pannella/)
Per non rimanere spiazzati, quasi alla ricerca di una preventiva, estrema conciliazione (per alcuni sarebbe più appropriato parlare di assoluzione) da quando il leader radicale non esce più di casa, politici e uomini più o meno illustri, alcuni amici sinceri, tanti militanti radicali, hanno iniziato un pellegrinaggio, fra il devoto e l’imbarazzato, che è un inedito per l’Italia. Perché?
Che sia l’ennesima, geniale trovata di Marco, ancora una volta deus ex machina delle sue ”ultime volontà”, che poi sarebbe a dire dell’ultima battaglia?
Non so dare una risposta, ma i tanti articoli apparsi a commento del fenomeno, in Italia e dai corrispondenti esteri, sottolineano la mai smentita originalità del personaggio e dànno la misura del crescente affetto, dell’ammirazione e stima che il suo indefettibile amore per la Politica sta suscitando in molti.
Ho trovato l’articolo scritto da Minum per il Corriere dai toni giusti. Lo trovate qui di seguito. Intanto, auguri! Marco, lunga vita. Non mollare! Lo scrivo adesso, perché so che delle lacrime di poi poco ti importa.
«Hic et nunc,qui e ora. Tutti insieme, finalmente, ce la stiamo facendo. Dai e dai il regime partitocratico sta crollando. È tempo di Stato di diritto, giustizia e legalità. Un popolo di sudditi si trasforma in una moltitudine di cittadini consapevoli e determinati. Una svolta epocale, che si realizza naturalmente, senza violenza, col sorriso, grazie all’impegno di tutti noi. Vince la Politica “per”, la Politica “con”. Ora in alto i calici, brindiamo alla gioia, alle meraviglie della natura, alla bellezza del cielo, a quest’aria fresca che respiriamo». Marco Pannella alza al cielo la sua lattina di Coca Cola. È in piedi, doppiopetto blu, camicia bianca, golf celestino, cravatta di un giallognolo improbabile griffata Versace e pantaloni del pigiama total blu. Non si rivolge a una platea congressuale, ma a una delle piccole finestre della cucina della mansarda dove vive da sempre, a due passi dal Quirinale e da Fontana di Trevi.
È agli «arresti domiciliari» per gravi motivi di salute. Sta rischiando grosso, tanto per cambiare, per le centinaia di digiuni che ha alle spalle, per i due tumori, che cura di malavoglia, per gli acciacchi dei suoi 86 anni. Ma continua a fumare come una ciminiera. E ogni volta che accende una Marlboro lunga sembra ringraziare la Philip Morris, alzando il pacchetto in alto e leggendo con malcelata ironia la scritta «il fumo uccide», aggiungendo «se vietato». Quando smette il suo «comizio» abbraccia chiunque sia al grande tavolo della cucina-studio-salotto, a cominciare da Matteo Angioli e la sua promessa sposa Laura Harth. Sono i due giovani che lo stanno assistendo con amore e dedizione, 24 ore su 24. Come e più di due figli. Ci sono spesso anche la sua storica compagna Mirella Parachini, Rita Bernardini,Maria Antonietta Coscioni. E non si contano i giornalisti di Radio Radicale che si alternano dal grande vecchio,che spesso chiede loro: «Che state a fa’? Andate a lavora’». In via della Panetteria non si è mai fermato il pellegrinaggio di amici di sempre, di vip della politica, ma non solo, e di gente, proprio tanta, che gli vuol bene, dal tassinaro al tabaccaio, che Pannella ha reso ricco. Nessuno viene respinto, al massimo si chiede di passare più tardi perché Pannella riposa. Marco ha sempre gli occhi gioiosi, la massa che lo viene a trovare gli dà un’energia positiva, anche se lo sfianca. Spesso si commuove. Più spesso si commuovono, e tanto, coloro che lo vanno a trovare, riempiendo la casa soprattutto di dolci.
Visite come quelle di Berlusconi, Renzi, D’Alema, monsignor Paglia, diplomatici israeliani e arabi, cantanti come Venditti, Zero, Vasco Rossi. Messaggi dolcissimi e pieni d’amore, come quello di Francesco De Gregori che gli dedicò «Il signor Hood». Tanto affetto e sincera commozione. Pannella però, non di rado, finge di essere fuori di testa, e riesce a prendere agevolmente in giro gli astanti, che si tratti di amici, vip,o nip. Come quando, parlando con me che sragionavo su fede, morte, inferno, paradiso e altre amenità, mi ha guardato con disappunto,per poi commentare in abruzzese stretto: «Ma ti pare che devo parlare con questo qua di Dio e dell’eternità?». Ho avuto la netta impressione che in qualcosa creda, ma penso più all’uomo che al Signore. E comunque ci siamo rassegnati un po’ tutti a tradurre il suo dialetto, visto che il clan degli abruzzesi — Gianni Letta, Ottaviano Del Turco, Guido Venturoni — fa continue irruzioni per chiacchierare e far compagnia a un vecchio amico.
Rispetto alla fine di marzo, Marco ha riconquistato un po’ di tonicità fisica, ma è davvero stanco. È laconico, rispetto ai discorsi alla Fidel che hanno schiantato migliaia di radicali ai congressi e ai convegni. Se apre bocca è per informarsi, per chiedere di accendere Radio Radicale, per guardare notiziari e vecchi film. Quasi sempre interagisce. Si pone come interlocutore, s’incazza, chiede di intervenire. Naturalmente non ha risposta e comincia a parlare. In italiano, francese, abruzzese, recuperando la forza del tono della sua voce, con gli argomenti e gli slogan di sempre. A chi gli dice con affetto, sommessamente, «non farmi preoccupare», replica «col cazzo, te ne devi occupare». A chi si accommiata con un sincero «ci vediamo presto», risponde «ma che presto, subito».
È un leone, tirannico ma ieratico, che anche quando straparla, esprime gioia, entusiasmo, coinvolgimento, per battaglie di ieri e di oggi, «importanti per tutti». Sono stato decine di volte da Marco in questo momento complicato. Ho libero accesso perché tutti sanno che ci conosciamo e ci vogliamo bene da sempre. Lui, in gioventù, è stato a pensione da mia nonna Zaza, a Monteverde vecchio, assieme al suo grande amico Sergio Stanzani Ghedini. Da bambino mi sono sempre chiesto chi fosse quel simpatico spilungone che si intrufolava con destrezza in cucina, trafficava con la ghiacciaia e si mangiava una mela, una banana, quel che capitava. Un giorno, 50 anni fa, mia nonna mi rivelò che era Pannella. Pensavo vaneggiasse e alla prima occasione chiesi conferma a Marco. Tutto vero. Per me lui è uno di famiglia. E spesso Marco dice di appartenere alla famiglia Mimun. In realtà quella di nonna era la famiglia Bondì, ma fa lo stesso. Non solo in virtù di quel ricordo l’ho sempre ammirato e molto amato. Ho partecipato, o comunque sostenuto, molte delle sue battaglie.
A febbraio mi sono spaventato e preoccupato. Ho avuto l’impressione che qualcosa di terribile stesse per accadere. Una sera Marco mi ha telefonato — non ci vedevamo da mesi — e mi ha chiesto di incontrarci a Torre Argentina, storica sede del Partito radicale. Gli risposi che non avevo macchina e che a piedi avrei faticato troppo. Gli chiesi di rinviare al giorno dopo. Ma lui replicò: «Arrivo, è troppo urgente». Cinque minuti dopo suona il citofono. È lui. Entra in casa, gli chiedo subito: «Cosa accade?» E lui sconsolato: «Se ti dico che non me lo ricordo mi credi?». Resto basito, poi gli offro un caffè. Si siede e mi parla per due ore di una iniziativa alle Nazioni unite. Avrei voluto morire, non ci capivo niente e non me ne fregava nulla. Provo, inutilmente, ad interromperlo chiedendogli se vuole un piatto di pasta. Replica che non ricorda se ha mangiato o meno, ma che non ne ha voglia. Riprende a farfugliare dell’Onu, finché anche lui, preso per stanchezza — sono passate altre due ore — si congeda.
Resto colpito, ma decido di non dirlo a nessuno. Penso a un grave momento di difficoltà che non va divulgato, neppure ai suoi amici, ma decido anche di seguirlo con molta più attenzione. Per questo da mesi gli porto, o gli mando, viveri stravaganti, per indurlo a mangiare e a sostenersi. Yogurt ai lamponi, gelati di frutta e creme, pizza e dolcetti di ogni tipo dal ghetto ebraico di Roma, humus e tahina kosher, uova fresche di campagna, tutta la frutta possibile, mozzarelle e ricotte di Sabaudia o, quando posso, di Vannulo, il numero uno al mondo. Poi fiori, vino, apparecchi per fare centrifughe, macchinette nuove per il caffè. Forniture continue, ognuna è come un abbraccio. Quando mangio con lui, Laura, Mirella, Matteo e col direttore di Radio Radicale Alessio Falconio, per non dispiacermi, finge di mangiare di gusto qualcosa.
Ma il Pannella onnivoro di un tempo, quello che cucinava e si scofanava mezzo chilo di pasta con un sugo di cui era impossibile contare le calorie, purtroppo non c’è più. Ma non molla. Il Marco di ora ama farsi leggere vecchi discorsi, libri e giornali stranieri, è meno verboso e dolcissimo. Sta appassendo e ne è consapevole. Mi ricorda l’immenso Woityla del sacrificio estremo. Ha spesso il sorriso rassicurante dell’indimenticabile rabbino Elio Toaff, suo carissimo amico. Ogni secondo passato con lui, anche quando è stonato, è un diamante da conservare. Con lui non finirà una storia di battaglie, di grandi vittorie e cocenti sconfitte. Quando se ne andrà, ammesso che non ci seppellisca tutti, il suo lascito sarà immenso e le sue battaglie laiche, a cominciare da quella per il diritto alla conoscenza e la promozione dello Stato di diritto, andranno avanti, per il bene di tutte e tutti.
Clemente Minum per Il Corriere della Sere, 19 aprile 2016