C’è una scena che mi si ripresenta alla mente: mio padre che, prima di morire, chiede di alzarsi dal letto per sbarbarsi e cambiarsi. Ne vedo tutti i particolari, il letto sfatto, i soprammobili accanto a medicinali e bende, respiro l’aria di quella stanza che si affacciava sull’orto e in cui, anche a finestre chiuse, penetrava l’odore dei fichi.
Ebbene, quella scena io l’ho solamente immaginata, ma è più viva che mai nel mio ricordo. Al momento della morte di papà io non c’ero perché il giorno prima ero appena rientrato nella mia città, in attesa della sua morte, che i medici dicevano vicina, ma non così imminente.
Questa scena solo immaginata mi è tornata presente mentre leggevo del culto degli antichi per i morti.
L’ultimo commiato era, e in parte rimane anche ai nostri giorni, un trapasso avvolto di ritualità. Da una parte, per chi rimane, il rito ne addolciva la discontinuità brutale; dall’altra si assicurava agli ultimi gesti del morente la dignità necessaria a presentarsi nel migliore dei modi per il nuovo viaggio verso l’oscura dissoluzione, per la fede illuminato dalla speranza della rinascita. Essere restituiti alla terra, polvere nella polvere, ma vestiti con l’abito migliore, calzati e sbarbati, con il rosario in mano, segno di appartenenza, attorniati da oggetti cari, anziché nudi, cadaveri lividi e freddi.
In antico c’era la tradizione fra le donne di casa di confezionare per tempo il sudario. Un semplice lenzuolo di lino, come quello della Sacra Sindone, ruvido, magari rattoppato. Così, anche ai più poveri era assicurata la dignità, il decoro del trapasso, senza distinzioni che la morte annulla e non ammette.
Eugenio Montale, dicendo questo aforisma: “la morte odora sempre di resurrezione”, alludeva al cammino da farsi nell’incerto aldilà. Ma perché non pensare invece al cammino che ci resta davanti “qui e ora”? E’ forse impossibile pensare che Pasqua è oggi e sempre?
Questo è in fondo il suo vero significato: la vita come continua rinascita, rigenerazione e perfezionamento dello spirito.
Con semplicità lo chiarisce Papa Francesco. Nel suo discorso alla recita dal Regina Caeli in piazza San Pietro il 6 aprile 2015, ha detto: “ Noi annunciamo la risurrezione di Cristo quando la sua luce rischiara i momenti bui della nostra esistenza e possiamo condividerla con gli altri; quando sappiamo sorridere con chi sorride e piangere con chi piange; quando camminiamo accanto a chi è triste e rischia di perdere la speranza; quando raccontiamo la nostra esperienza di fede a chi è alla ricerca di senso e di felicità.”