DAL REPORTAGE AL PAESAGGIO O AL RITRATTO; DAL MICRO PARTICOLARE AGLI SCENARI D’INSIEME, CATTURARE L’IMMAGINE NON GARANTISCE IL RISULTATO SE NON SI INTERPRETA IL SOGGETTO, PRESENTI E INVISIBILI NELLO STESSO TEMPO: I CONSIGLI DELL’ART DIRECTOR GIANLUIGI COLIN.
Nel suo saggio Sulla fotografia Susan Sontag parla dell’eroismo della visione: «Fare una fotografia significa partecipare della mortalità di un’altra persona (o di un’altra cosa) ed è isolando un determinato movimento che tutte le fotografie attestano l’inesorabile azione dissolvente del tempo». Ed è proprio il tempo l’essenza della scrittura fotografica, che insieme alla luce, determinano la materia di cui è fatta la fotografia. Ma intorno al termine «fotografia», forse dovremmo imparare a declinare questa parola al plurale: non esiste «la fotografia» ma «le fotografie», con le loro storie e generi, codici, linguaggi, riferimenti culturali, contenuti e finalità. E cercare di comprendere meglio questi «linguaggi» non significa altro che intraprendere un viaggio in un poliedrico labirinto di autori e visioni. La fotografia, quindi, come scrittura dentro un sistema di scritture. E il soggetto di ogni immagine non può che appartenere all’interno di questo sistema. Un esempio? Se per Henri CartierBresson, Occhio del Novecento, il soggetto risiede nel teatro della vita, per un autore come Man Ray (ma vale anche per Andreas Gursky o Cindy Cherman, per citare due nomi) la fotografia è solo il media per una indagine più strettamente artistica. Evocando un titolo di Achille Bonito Oliva sul mondo dell’arte, dovremmo imparare a conoscere, capire e amare le tante «Tribù della fotografia». Senza dimenticare Mark Twain: «Non potete fare affidamento sui vostri occhi se la vostra immaginazione è fuori fuoco».
La scelta del soggetto è la prima tappa che dà vita alla ricerca e al pensiero di un fotografo. Come qualsiasi altro aspetto della fotografia, deve essere supportata da un’idea compositiva e progettuale. La modalità con cui si sceglie di fotografare un dato soggetto dovrebbe essere frutto di un pensiero, e un ricco bagaglio tecnico-conoscitivo è fondamentale per riuscire a veicolare l’immagine nel modo desiderato. Occorrono poi nozioni di estetica, composizione, gestione della luce e del colore, la capacità di interpretare lo sfondo rispetto al soggetto e saper comporre per sottrazione. Ma un buon soggetto, magari particolarmente fotogenico, non basta a garantire un grande risultato fotografico. Se quel dato soggetto sarà in grado di comunicare qualcosa di significativo, sarà soltanto grazie al modo in cui viene catturato.
Nel campo della fotografia di reportage è essenziale risultare dei fotografi «invisibili», capaci cioè di muoversi anche all’interno di luoghi in cui una presenza estranea potrebbe risultare molto sgradita. È molto importante riuscire a instaurare un rapporto di complicità e fiducia con i soggetti selezionati, così da ottenere anche la massima spontaneità al momento dello scatto.
Può essere utile dotarsi di un teleobiettivo, con il quale cogliere dei soggetti anche a una certa distanza, passare così inosservati e fotografare con tempi piuttosto rapidi per evitare il micromosso. In questo modo il soggetto prescelto risulterebbe l’unico vero fattore di interesse all’interno della composizione, con lo sfondo sfocato che fa risaltare ulteriormente la sua figura. Nel caso in cui si possa fotografare a una distanza più ravvicinata, l’uso del grandangolo consente di valorizzare di più il contesto di riferimento, facendo coesistere più elementi diversi all’interno dell’immagine.
Nel genere del ritratto, si consiglia di fotografare con una focale superiore ai 50mm, ponendo la camera ad altezza occhi. In questo modo il soggetto si staglia nitidamente contro lo sfondo e si ha la possibilità di evidenziarne alcune caratteristiche, anche psicologiche, magari con un gioco di ombre.
Allo stesso tempo, utilizzare un obiettivo grandangolare, se non crea delle deformazioni poco gradite, può essere utile per donare una qualità maggiormente immersiva al ritratto prodotto.
Nel caso in cui si stiano fotografando dei bambini, è raccomandabile inquadrarli dal basso verso l’alto, così da evitare un effetto «schiacciato», che poco li valorizzerebbe.
Nell’ambito della fotografia di paesaggio, è sempre molto opportuno conoscere il luogo in cui si andrà a fotografare. Osservare la location in anticipo può aiutare a scoprire dettagli originali, capaci di raccontare davvero l’anima del luogo selezionato. È utile annotarsi quali siano le ore migliori in cui scattare e capire quali condizioni atmosferiche sfruttare. Nel caso in cui si voglia fotografare un fenomeno preciso, qualcosa che dipenda, magari, da un cambio atmosferico particolare e imprevedibile, stabilire in precedenza il punto esatto dove posizionare la camera è sempre un grosso vantaggio. Più si conosce un soggetto e più è probabile riuscire a catturarne un aspetto davvero significativo e originale. Non è poi detto che un determinato luogo debba essere inquadrato nella sua interezza. Concentrarsi su alcuni particolari, selezionando dei dettagli precisi, può essere una strada per ottenere risultati inediti.
Ogni professionista deve inoltre curare ogni aspetto della composizione fotografica. Il modo in cui il soggetto ritratto sarà percepito dipenderà moltissimo dalla struttura compositiva che ha predisposto. Utilizzare la regola dei terzi può essere sempre una buona soluzione per collocare gli elementi dell’immagine nelle aree in cui si concentra maggiormente l’attenzione di chi guarda. Ma ciò non toglie che anche un soggetto posto al centro dell’inquadratura possa essere molto interessante.
«Può sembrare un paradosso, ma trovo la mia comfort zone quando intorno a me regna il caos… manifestazioni, mercati affollati, situazioni impreviste, spedizioni in ambienti sociali e naturali estremi. In quelle condizioni, scatta un meccanismo che mi permette di astrarmi totalmente dalla mia emotività per osservare la realtà che mi circonda con distacco assoluto, con tutti i sensi focalizzati a cogliere i segni topici che raccontino, in modo oggettivo, la situazione in cui mi trovo. Si dice che un fotoreporter prima pensi a fotografare e poi a salvarsi la pelle… per me è così!».
«In molti si definiscono fotografi solo perché posseggono una fotocamera. Professionista o no, sei fotografo se ce l’hai scritto nel DNA, è una passione senza limiti, un motore inesauribile che spinge a muoverci, prendere la macchina fotografica e scattare in qualsiasi situazione possiamo trovarci, sia fisica sia ambientale. Quando scattiamo una fotografia diamo la nostra personalissima interpretazione della realtà: è la nostra maniera di esprimerci, di comunicare, la capacità di raccontare di parlare al mondo. È stare male se non ci riusciamo. La fotografia come scelta di vita è qualcosa che parte da lontano e per quanto mi riguarda ho assorbito la passione di mio padre Alessandro. Fin da piccolo maneggiavo la sua macchina fotografica ed ero anche interessato alle sue riviste e ai suoi libri sul tema. Ma alla fine continuavo più a essere fotografato che a fotografare. Tutto ciò però era come linfa vitale che inconsapevolmente entrava nelle mie vene e alimentava qualcosa che solo dopo anni si sarebbe concretizzato».
«Per un certo periodo della mia carriera ho fotografato solo in esterno, ma non mi reputavo un fotografo completo senza conoscere la luce artificiale, cioè «fare la luce» per valorizzare al meglio un qualunque oggetto in interno. Ho avuto la fortuna di lavorare a lungo in teatri di posa immensi, dove si potevano fotografare contemporaneamente persino due camion con semirimorchio. Mi sento quindi a mio agio sia in interno sia in esterno, ma oggi mi dedico alle frequentazioni fotografiche: una volta individuato in esterno un soggetto interessante (un albero, un monumento, un ponte), lo seguo con costanza (almeno 3 anni!) nelle più disparate condizioni meteo e di luce».
«Mi muovo con attenzione al territorio, cercando di scrutare e sfruttare ogni sua specificità (…), luci e ombre, attimi imprevisti o inattesi. Quando sono a mio agio so dove mi trovo, anticipo con il pensiero la risposta tecnica e prevedo il risultato finale, le zone di luce e ombra e le eventuali dominanti colore. Perché la tonalità di ogni immagine è sempre mitigata dal contesto e dalla biodiversità presente, così come la morbidezza del risultato deve corrispondere al momento. Spesso prevedo il limite ove potrò spingermi in post produzione per rispettare la correttezza formale ed etica. Oggi abbiamo il compito di preservare l’originalità di quanto documentiamo, anche per le generazioni a venire».
Gianluigi Colin, art director Corriere della sera. Testi a cura della redazione Eventi da estratti della collana «Master di Fotografia» In copertina un ritratto di Enzo Isaia.