Secondo gli scienziati, che nelle Ande cilene hanno lavorato al telescopio “very large”, le stelle, morendo, esalano l’ultimo respiro. Una stella non è una lampadina che flop e via, non c’è più! La sua agonia dura circa 10 mila anni, in proporzione all’età, stimabile in 100 mila anni.
L’ultimo respiro è un vento pieno di polvere e particelle che si propagano per l’universo grazie alla forza di gravità, aggregandosi nuovamente e facendo ripartire il ciclo di nascita del cosmo e, forse, della vita, com’è successo per noi terrestri.
Fin qui l’arido linguaggio della scienza; i poeti, i musicisti già ci erano arrivati, oggi lo confermano anche gli scienziati. Ma d’ora in avanti, il sognatore romantico che guarda il cielo stellato in cerca di ispirazione o lenimento alle pene amorose, ha un motivo in più per sentirsi vicino alle stelle perché è da lì che viene la vita.
Sentirsi parte infinitesimale del creato è nella coscienza dell’uomo da sempre, ma scoprire che i meccanismi più remoti, più sfuggenti, quelli posti laddove la conoscenza umana si ferma ammutolita, sono in fondo semplici e incredibilmente uguali, ci porta a concludere che esseri inanimati o animati, alla fine hanno un’unica matrice, un’unica forza germinante, un quid inesprimibile, ma altrettanto forte e presente che regola tutto, un amore cosmico inconoscibile e sconvolgente.
Non è un caso che, in tutte le tre Cantiche della Divina Commedia, Dante alza il capo per “riveder la stelle”.