Non sogno spesso, o almeno da sveglio non ne ho ricordo. Solo uno ricordo, che col tempo non mi sembra più un sogno, tanto che non saprei oggi dire quanto di reale ci sia in quello che sto per raccontare e quanto di immaginario. L’ambiente è la montagna primaverile o estiva, il pomeriggio, l’ora in cui già declinano i colori e il cielo perde l’opalescenza dell’afa e si fa terso per prepararsi alla sera. Le ombre si risvegliano e i rumori si fanno più ovattati, rotondi e cupi . Un sentiero, appena in declivio, segnato a intervalli da una fila di sassi per trattenere la terra alla furia degli acquazzoni, delimitato da un basso muretto di pietra, a tratti sommerso dall’edera, dai muschi, dalle felci pallide, ricamato in cima dai licheni. A volte sono in tuta, come uno sportivo che si mette alla prova, saltello, poi allargo il passo, supero sullo slancio un gruppo di pietre, poi un fosso, poi mi accorgo che posso saltare più in alto e giungere più lontano. Quando il piede tocca terra sembra non affondare, ma quasi rimbalzare e il rimbalzo è tanto più forte quanto più il ritmo del mio corpo è armonico: l’energia dalle gambe si trasmette al tronco, alla braccia; collo e testa si proiettano anch’esse verso l’alto. Passi prodigiosi, una leggerezza soffice ed elastica, una capacità di mantenersi librati, quasi remigando con le gambe nel cielo, un senso di libertà che solo la mancanza di peso e l’agilità del corpo giovane e saldo sanno dare. Ma posso fare di meglio, scendere più rapidamente il sentiero e rimanere più a lungo librato in aria. Basta infatti assecondare il volo come fanno i saltatori del lungo o del triplo: richiamare le gambe e disegnare i passi nel cielo, comprimere l’aria per rimanere miracolosamente in quota. Non costa fatica, non un rivolo di sudore o un affanno di petto, tutto e semplice e naturale e viene senza sforzi. Che sensazione di freschezza, sento il vento del volo penetrarmi dentro, la luce assorbita dalla pelle che si colora quasi a confondersi coll’erbe del sentiero, l’ombra dei rami bassi, i raggi obliqui del sole che si impigliano in chiazze di luce, che appaiono e spariscono come in un caleidoscopio.
Quando il piede era forte, i muscoli vigorosi e il cuore più leggero di adesso io credo di non avere sognato, ma di avere saltato per sentieri, cantando e sospirando leggero, pensando che anche l’uomo più volare e fare balzi da gigante prima che venga notte.
Immagine di copertina: Marc Chagal:In volo sulla città