QUALCHE TEMPO FA

23 Feb 2025 | 0 commenti



Abbiamo abolito il lavoro

Sotto il titolo Abbiamo abolito il lavoro, campeggia la foto del vice premier di allora, il pentastellato Luigi Di Maio che, affacciato sul balcone di Palazzo Chigi, inneggia festante: “abbiamo abolito la povertà”. Siamo nel settembre del 2018.

L’articolista Giuseppe Sottile, racconta la favola melanconica di due giovani siciliani che al lavoro preferiscono starsene al calduccio del reddito di cittadinanza.

Siamo a Gangi, paese sulle Madonie in provincia di Palermo. Un vecchio compagno di scuola e compare del futuro giornalista, ha un solo assillo: la disoccupazione del figlio Vincenzo “croce e delizia del suo ruvido cuore”. Ancora li accomuna il ricordo, il giovanile sogno, di potere lasciare “l’amato e desolato paese della profonda Sicilia per approdare in città luminose, fantastiche, fosforescenti, dal nome altisonante..” Carmelo- questo il nome dell’amico- non si dà pace. Lui in paese ha trovato un lavoro, un posto di maestro elementare, non naviga nell’oro, ma tira avanti dignitosamente. Suo figlio Vincenzo deve però essere più fortunato e scappare da “quella terra pietrosa e da quelle case ammonticchiate come tanti presepi su un cocuzzolo..”

Dopo insistenti telefonate e preghiere, l’invio di curriculum, arricchiti per strada da un  diploma all’Alberghiero, l’asserita, illimitata disponibilità a qualunque lavoro, anche stagionale, se necessario anche “su una nave da crociera o nei faraonici alberghi che, a Dubai o Abu Dhabi, si stagliano imperiosi ai confini dei deserti roventi e implacabili”, finalmente Sottile riesce ad accontentare l’amico: una sistemazione a Bologna, in un ristorante di proprietà di una grande catena imprenditoriale, sotto la guida di uno chef palermitano molto quotato.   

Vincenzo intanto si è fidanzato, lei di nome fa Caterina ed è “una ragazza bella e brava”. Suo nonno, vedovo pensionato, le ha messo a disposizione una casetta a due piani nel centro del paese.

Le cose sono cambiate, la vita è andata avanti, sì ma dove?

La scena finale si svolge nel salotto di casa dell’amico di Sottile, imbarazzante per tutti. Vincenzo dice come “stanno chiaramente le cose… La verità è che io e la mia fidanzata abbiamo ottenuto il reddito di cittadinanza. Siamo in due è prendiamo più di mille trecento euro al mese. Qui in paese la vita non è cara e noi abbiamo anche la casa che il nonno a messo a disposizione di Caterina, quindi non pagheremo l’affitto. Sinceramente possiamo campare tranquilli. So che sembra male dirlo, ma che bisogno abbiamo di lavorare?”

I bassotti benestanti di Figes

Orlando Figes insegna storia al Birckbeck College di Londra. Nel 2019 è uscito un suo libro dal titolo The Europeans, grande tributo alla globalizzazione culturale europea. Il suo sguardo è rivolto al passato, ma, come sottolinea Giulio Meotti nell’articolo del Foglio di cui vi ho detto, dalle sue pagine si prefigurano i sintomi che oggi abbiamo sotto gli occhi: la crisi della globalizzazione, un’Europa sparpagliata e in declino.

L’Europa cui guarda Figes è quella dei primi del ‘900, una cultura costruita sul cristianesimo, la letteratura classica, la filosofia, che attraversa quella fase in cui nessun europeo si poteva sentire in esilio, in qualunque parte dell’Europa si trovasse. Una storia non divisa fra i singoli stati nazionali ma che, sulla scia di una sorta di neo-Rinascimento umanista, riunisce i popoli in un’unica grande culla, in cui l’arte è un’irresistibile forza unificante. L’ Europa, prima della grande guerra mondiale, rappresenta i due terzi del commercio globale, è animata da una borghesia consapevole, creativa, internazionalista, quella delle grandi esposizioni, delle biblioteche pubbliche, dei musei, della luce e gas ad illuminare le città, i grandi caffè,  i passages, unita da un grande senso di identità collettiva, ecc. Ecco perché, scrive ironicamente Meotti, allora, anche i bassotti dei borghesi avevano l’aria di essere benestanti…

Poi arriva il declino, proprio di tutte le epoche sfavillanti. Scriva Meotti: “ Ma il tempo del cosmopolitismo era già passato e, tolta la maschera della cupidigia e della cultura, era arrivato il tempo che l’Europa indossasse quella della disperazione….il tramonto di Spengler, i fasti di Roth, gli ultimi giorni dell’umanità di Kraus, l’esilio suicida di Zweig, la ribellione delle masse di Ortega y Grasset, l’uomo senza qualità di Musil, il collasso della cultura di Jaspers, il nichilismo di Heidegger…. Solo per citare i principali testimoni del grande crollo..”

Insomma, dalle pagine di Figes esce una “fragile e paradossale bellissima Europa unita” attorno a un inventario di memorie, spesso esaltanti, ma assai, irrimediabilmente, sbiadite. animata da ”una generazione che, già in nuce, coltivava l’autodistruzione”. Vi ricorda qualcosa? Non resta che aspettare il naufragio?

Rosso Trump

Non poteva mancare una pagina dedicata dal giornale a Trump. “Where’s my Roy Cohn” è il titolo di un film documentario fatto da Matt Tyrnauer, regista americano, vissuto parecchio a Roma, prima come giornalista, poi regista di stilisti italiani. La frase è attribuita a Trump, che conobbe l’avvocato Roy Cohn a 23 anni a Manhattan. La storia di questo avvocato newyorkese è ciò che il film racconta. Una carriera che lo portò ad essere avvocato capo nella famigerata commissione del senatore Joseph MCCarthy (quello della caccia ai comunisti anni ’50), e da ultimo scelto da Tramp come suo legale.

Cohn era figlio di una ricchissima famiglia ebrea e cresce con una ambizione sfrenata di potere. Si distingue per cattiveria nel perseguitare i “comunisti”, gli infiltrati, gli spioni rossi, scova e perseguita i gay annidati nell’Amministrazione pubblica (anche se lui e MCCarthy erano omosessuali). Cerca di indagare anche lo stato maggiore dell’esercito con accuse inverosimili che lo costringono infine alle dimissioni. Lascia ogni ruolo pubblico e si mette a fare l’avvocato efferato che “vince tutte le cause e lascia morti e feriti sul campo” Fra i suoi clienti i Gambino e le peggio famiglie mafiose. Da ultimo (siamo all’epoca di Regan) non riceve più nemmeno nel suo studio, ma in camera da letto, su un grande letto a baldacchino in mezzo a peluche.

Sentite cosa pensa il regista del rapporto fra i due: “Trump è stato plasmato da Cohn.. La lezione di base è: mai chiedere scusa. Se qualcuno ti colpisce, tu colpisci più forte. E ogni pubblicità è una buona pubblicità. E infine: trovati sempre un “altro” su cui spostare l’attenzione. Per Trump l’altro sono i messicani, gli immigrati. L’importante è riempire il vuoto: riempi e vedi se funziona. Già lo insegnava la propaganda hitleriana”.

E’ il caso di dire che l’allievo ha superato il maestro? Purtroppo, a volte ritornano.

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